LA QUESTIONE IMMORALE

Anche le api nel loro piccolo si sono rotte… Brutto segno! Dire “piccolo” è un azzardo. Il piccolo per le api non esiste. Faccio un uso spigliato del sottotitolo, e mi pento già mentre scivolo su mezzi spiccioli di comunicazione per attenuare la gravità dell’argomento e rendere facile la lettura. Le api sono grandiose. La questione “immorale” ci lascia afflitti. Dalla Campania all’Abruzzo, dalla Toscana alla Calabria, alla Basilicata, assistiamo a nuove tangentopoli nelle nostre esasperate esistenze e ci domandiamo se c’è un legame tra le mazzette di tangentopoli vecchie e nuove e la moria di api. Il nesso è nel lasciare il mondo affidato a energumeni brutali e moralmente guasti. La sensibilità manca, l’equilibrio e il rispetto sono assenti. Persiste invece – di tali insaziabili incettatori – il procedere come pachidermi su cristalli di Boemia calpestando tutto, distruggendo e dissipando pezzi di esistenza dell’umanità per soddisfare l’egoismo delle vite arroganti che raccolgono benefici momentanei senza dare nulla al futuro di tutti. Gravemente minacciate dalle onde elettromagnetiche dei nostri cellulari le api rifiutano di rientrare negli alveari se nei paraggi vengono piazzati ripetitori o congegni elettromagnetici. L’informazione data da alcuni studiosi tedeschi dell’Università di Landau spiega che il loro sistema di navigazione è sconvolto al punto che non riescono più a trovare la strada per le arnie. Chi era a dire : “Se le api dovessero scomparire, al genere umano resterebbero cinque anni di vita?” Einstein?. Vediamo i dati. L’APAT (Agenzia Per la protezione dell’Ambiente e i servizi Tecnici) informa che nel solo 2007 il numero delle api in Italia si è dimezzato. In Europa c’è una perdita tra il 30 e il 50% , e negli Stati Uniti nel fenomeno da spopolamento detto Ccd (Colony collapse disorder) si arriva fino al 60-70%. Concorrono alla sparizione delle api l’inquinamento atmosferico, gli insetticidi, la scarsità d’acqua, i cambiamenti climatici, l’elettromagnetismo e gli ogm. I devastatori, gli scellerati che a tutto questo non hanno badato nella corsa all’accaparramento di potere e denaro sono ancora nella fase del doverci pensare e capire se è vero che bisogna correre ai ripari prima che inizi l’era disgraziata in cui una dopo l’altra le calamità siano irreparabili. All’estero come da noi non pare che ancora si sia presa coscienza del dover decidersi – e di corsa – di cambiare registro. In Italia, nei programmi dei due poli non si vede un progetto di moralizzazione di ambiente e politica. E’ altro quello di cui sembrano preoccuparsi i leader dei partiti da destra a manca. Dichiarazioni e chiacchiere sul potere, giochi di correnti, esame sulla questione morale vista come possibilità di trovare un capro espiatorio e andare avanti alla stessa maniera. E mentre discutono la nave va a picco come sul Titanic nell’ultima suonata dell’orchestra. Il segnale è brutto. Le api sparite sono un punto di quasi non ritorno e il mondo naturale ridotto così male si arrenderà prima o poi all’autodistruzione in cui ci stiamo accanendo. Cosa può farci tornare la speranza se non un vero cambiamento? Una trasformazione da imporre come dovere improcrastinabile a soggetti nuovi, che si attivino a comporre gli scomposti, disintossicare i contaminati, sanare intere aree malsane. Sistemi e progetti che agiscano come i minuscoli sensori (nanonasi) trovati dagli scienziati del Massachusetts Institute of Technology (Mit), e descritti sulla rivista Nature Nanotechnology. Sono nanotubi di carbonio che una volta entrati nella cellula vivente avvolgono il Dna e si legano ad agenti che danneggiano il materiale genetico. Cambiano il colore della luce emessa dalla tossina presente nella cellula e assicurano che i farmaci stiano combattendo il tumore distruggendo il dna malvagio. La loro funzione è di “segnalazione” visiva dell’elemento nocivo e di “riparazione”. Affidandosi alla scienza e sapendo esattamente che cosa l’intelligenza umana può dare o togliere ci si libera da chi nuoce? Certamente sì se la scienza è applicata con metodo e appresa nelle prerogative di ogni campo influente nell’esistenza umana, tra cui la “scienza politica” vista come premessa ai piani decisionali dei programmi governativi. Ma al metodo scientifico di trasformazione o riparazione del mondo va sommato il sistema delle conoscenze, fattori culturali che devono precorrere le decisioni e dare buoni livelli di informazione in corso d’opera. Ciò a dire che le decisioni che incidono nella vita di ognuno non devono cadere dall’alto, né passare lontane e sconosciute. La Comunicazione strettamente connessa a risultati di consenso è ormai presente nelle progettualità della politica, dell’economia, e dell’imprenditoria, fino al punto di accettare ormai di avere ragione o torto a seconda di come l’informazione è presentata al pubblico. Ben sa di questa importanza il giornalista che ha lanciato le sue scarpe al Presidente Bush e per farlo ha cercato il momento il cui, per rischiando la sua incolumità personale, sapeva che avrebbe avuto ragione del suo gesto. Perché il mondo lo guardava. Il balzo del Presidente per evitare le scarpe è considerata un’eccellente performance da cowboy e George W. Bush ironizzando ha affermato di aver visto solo “un bel paio di 44”. Ha detto poi ai giornalisti – spostandosi sull'”Airforce one”da Bagdad a Kabul per andare dal presidente Hamid Karzai – di non aver capito nulla di quel che urlava lo scatenato Muntazer al Zaiti. Il giornalista di Al Baghdadia (tv satellitare di opposizione del Cairo) ha oggi un braccio rotto, le costole fratturate, e lesioni a un occhio. Il fratello Dourgham ha dichiarato che Muntazer è rinchiuso in una cella di massima sicurezza all’interno della cosiddetta Zona Verde, il complesso super-fortificato del quartier generale della coalizione multinazionale guidata dagli Usa e dal governo iracheno. Il reporter sciita è però diventato un eroe non solo degli iracheni, ma di tutto il mondo arabo. In Libia la figlia di Gheddafi gli ha promesso un premio e i giornalisti tunisini hanno chiesto la sua immediata liberazione. Ma torniamo in Italia e guardiamo a noi. La politica appassiona di meno. Gli astenuti aumentano e la gente ormai non distingue tra destra e sinistra sopraffatta dalla nausea di queste nuove ruberie: Il petrolio lucano con danni ai cittadini e all’ambiente, gli appalti nel comune di Napoli, gli arresti di Pescara. E la punta dell’ Iceberg che emerge lascia intuire che cosa c’è sott’acqua di enormemente corrotto e diffuso. Che fare? Dove trovare pulizia morale e sana politica? Una domanda emerge naturale. Quante donne sono implicate in questa corruzione? Tra i nomi di assessori indagati, amministratori con le mani in pasta, o capibastone infiltrati nelle fila dei partiti, di donne non se ne vede l’ombra. Bella scoperta si potrebbe obiettare. Non avendo il potere – le donne – non possono rubare. Eppure qualche donna in posti strategici c’é. Non affiora mai il nome di una donna nelle storie di tangenti e corruzione. Né nella prima, né in quest’ultima tangentopoli. Che pensare? Ha ragione Andrew Samuels? Lo spirito di empatia delle donne salverà il mondo? O invece il Potere sarà sempre nei pugni chiusi di uomini accentratori? “Difficile non vederlo come una creazione dell’élite maschile, che trova il massimo piacere nel gestirlo e soprattutto nell’usurparlo..” scrive Mino Vianello – riguardo al potere – sul libro elaborato con Elena Caramazza “Genere Spazio Potere, Verso una società post-maschilista”. Quando avremo la forza e la volontà di cacciare i corrotti a pedate? Non scarpe, non bombe, non tranelli. Ma come i nanonasi indicatori di cellule dovremmo entrare nei nuclei del sistema politico, istituzionale, economico e “lanciare segnali di allarme” per mandare via le unità nocive del sistema sociale corrotto. Il tabù è duro da vincere. La partecipazione delle donne alla politica è vista come un’anomalia da combattere. Questione di paura? Convinzione che certi giochi di profitto con noi non funzionano? Complesso di colpa? Cosa? Cosa è che fa ergere mura altissime contro le donne? Non solo dal mondo del potere politico. Non soltanto. Il complesso meccanismo della comunicazione – che avrebbe una missione di partecipazione sociale da svolgere – ha rinunciato alla funzione di grimaldello delle casseforti in cui è chiuso il potere fine a se stesso. Quasi fosse un tabù non se ne parla, anche quando argomenti sul tappeto ce se sarebbero molti per affrontare il problema dal punto di vista politico, sociale, morale, antropologico. L’occasione più volte offerta da una causa civile in corso (unica nel suo genere) che si appella al giudice per discriminazione femminile supportata da centinaia di documenti, 9 tomi e 170 testimoni – tra cui diversi parlamentari indicati come persone a conoscenza dei fatti – non viene accolta e indagata. Quasi vi fosse un divieto tacito o un freno culturale non viene analizzato dai nessuno dei Talk-show o programmi di analisi politica. Si potrebbe parlare dell’annoso problema dei rimborsi elettorali, che – documenti alla mano – non tornano nella quadratura del bilancio delle azioni positive per promuovere la partecipazione attiva delle donne alla politica. Si potrebbero approfondire questo ed altri aspetti. Ma nessuno si impegna. Questione di paura di toccare un argomento tabù? Chi ha paura di che cosa? Di chi? Vogliamo essere generosi e credere si tratti di un fattore culturale… Però se anche il Dalai Lama ha superato il divieto sacrale nei confronti delle donne cosa si attende? Che un grande fratello dia il beneplacito? Il Dalai Lama dice – in risposta a una domanda fatta da Vanity Fair – perché no? “Se la forma femminile sarà più utile, il Dalai Lama sarà donna”. Pourquoi pas? dicono i francesi per dire sì. Il XIV Dalai Lama, l’Oceano di Saggezza, ha capito quale è l’aria che si respirerà nel futuro è ha detto Perché no? L’eremita delle montagne innevate del Tibet non ha chiuso fuori le donne. Dichiara che la reincarnazione femminile è la più alta perché in questo mondo di orrori e prevaricazioni, potrebbe essere più utile che parole di tolleranza e di pace, sgorgassero dalla bocca di una donna. Si avverte il desiderio di rinascita spirituale, di affrancamento dal un rozzo materialismo attraverso una rivoluzione risoluta e dolce. Ferma e consapevole di dover dire tanti no e somministrare la medicina amara della cura radicale. Ma perché avvenga i mezzi di comunicazione di massa devono incominciare a fare con convinzione la parte loro. Solo pochi fino ad oggi hanno dato ascolto alle lotte contro la discriminazione agite anche attraverso lo sciopero della fame, oltre che con la chiamata in giudizio di Antonio Di Pietro. Ringraziamo tutti – a partire dalla stampa estera e spagnola in special modo – le agenzie e i quotidiani che si fa presto a trovare perché sono in questo blog. Ringraziamo tutti i blog e siti che ci hanno dato spazio e che digitando su Google il nome di chi scrive si leggono ancora, tranne quelli censurati dalla presidenza del partito in questione. Segnaliamo uno spiraglio di intelligenza politica. Di due giorni fa l’articolo di Liberazione scritto da Antonella Marrone “DISCRIMINARE LE DONNE E’ UNA QUESTIONE MORALE O NO?” dove, cogliendo un lancio di agenzia Agi, si suggerisce di mettere in primo piano la “Questione femminile” dato che la immoralità diffusa non porta nomi di donne. Vogliamo parlarne tutti insieme appassionatamente? Io non ho paura. 21 dicembre 2008                            Wanda Montanelli

Obama: una straordinaria occasione di abbronzatura globale

circumnavigando il fenomeno nella leggerezza di un naviglio libero da zavorre ideologiche, fieramente felice di vivere in Italia senza dilemmi dell’essere Bruni

Tutti vogliamo entrare nel corso del tempo, aprire le vele della nostra imbarcazione ideale nel mare del cambiamento che abbiamo intuito essere importante, epocale, ma difficile da spiegare come le teorie della Fisica quantica sull’infinitamente piccolo e l’incommensurabilmente grande. La vittoria di Barack Obama, “Una cosa straordinaria per il mondo – secondo Massimo Cacciari – di rilievo culturale antropologico incalcolabile negli effetti che potrà avere”, ci ha coinvolti oltre le previsioni e ognuno ha reagito a suo modo. Carla Bruni, première dame di Francia, prende spunto da una valutazione di melanina sulla pelle di Obama fatta da Berlusconi per dichiarare che si vergogna di essere italiana. Lei sta bene dov’è – non ne sentiamo la mancanza – vicino al marito Nicolas preoccupato per l’Europa. Il Sarkozy inquieto che scrive il 3 ottobre una lettera ai membri del Consiglio europeo sulla grave mancanza di fiducia che scuote l’economia mondiale invitandoli presso il Consiglio di Bruxelles ad accordarsi per assicurare il rispetto del quadro giuridico dell’Unione europea. Trattasi di ambasce da economia globalizzata, o “economia canaglia” come definita nel testo di Loretta Napoleoni che prende in esame il lato oscuro del nuovo ordine mondiale. Fenomeno nuovo secondo l’esperta di economia, derivato da cause complementari e interagenti in tempi diversi come le teorie liberiste di Thatcher e Reagan, la caduta del muro di Berlino e il conseguente rapporto perverso tra democrazia e schiavitù seguito alla trasformazione in “democratici” di 118 paesi sui 63. Paradossalmente dopo l’abbattimento del muro di Berlino è cresciuta la schiavitù decolonizzata passata negli anni ’90 a 27 milioni di persone. Schiavi nell’economia “globalizzata e canaglia” che ha sviluppato prodotti canaglia quali oggetti come taroccate borse di Gucci, farmaci falsi, pesce pescato illegalmente, latte tossico di plastica alla melamina. Legami con prodotti innocenti come un pezzo di formaggio della Kraft che appartiene alla Philip Morris multinazionale del tabacco. O della nostra fede nuziale “contaminata” dalla schiavizzazione nelle miniere d’oro dei bambini del Congo da parte dei signori della guerra. Vincoli mondiali che amplificano ogni minima perturbazione locale al tutto universale. Processi globali irreversibili ormai trasformati in sistema caotico sensibile e reattivo come la teoria della fisica dell’entanglement di Dean Radin per cui oggetti separati sul piano fisico possono non esserlo se osservati sul piano della fisica dei quanti. La separatezza tra gli oggetti sul piano macroscopico che si dissolve e un numero incredibile di relazioni stabilite da coppie di particelle nello spazio e nel tempo è la spiegazione, e l’effetto farfalla che ne deriva non è soggetto a predizioni deterministiche stabilite dal libero arbitrio. I vari livelli del sistema caotico reattivo interagiscono tra il caos e le proprietà frattali – da cui i modello polifrattale di interconnessione dal livello molecolare fino alla globalità del sistema nervoso. Libero arbitrio che secondo Chris King in “Chaos, Quantum-transactions and Consciousness” dimostra come l’equazione energia-momento-massa di Einstein pone gli oggetti quantici di fronte a biforcazioni superabili attraverso scelte (vedi Accles, Penrose e Hameroff) di sistemi viventi influenzati non solo dalla causalità, ma anche dalla retro causalità. Ciò a dire che gli esiti delle scelte non sono determinabili a priori dal sistema che sfugge ad un approccio puramente deterministico. Di conseguenza si ottengono due effetti: da una parte si generano strutture ordinate che prendono la forma di strutture frattali; dall’altra, una piccola perturbazione locale può essere amplificata fino a diventare un evento che coinvolge tutto il sistema. L’esempio classico è quello degli attrattori di Lorenz, osservati in meteorologia, rispetto ai quali si giunge a ipotizzare che il battito d’ali di una farfalla in Amazzonia possa causare un uragano negli Stati Uniti. Siamo perciò tutti irrimediabilmente legati nella politica come per la fisica. Ecco il grande interesse alla magia delle formule vincenti e alle rare previsioni azzeccate in economia sociale. L’accademia di Stoccolma ha premiato Paul Krugman con il Nobel per un’originale teoria del commercio internazionale concepita nel 1979 quando il 55enne docente a Princeton era fresco di laurea. Le sue pubblicazioni sul New York Times amate dai Liberal e odiate dai Conservatori, denigrate e contestate per decenni, hanno azzeccato negli oltre 500 articoli che ha scritto, previsioni sui crac e sulle difficoltà economiche dell’America. Si chiede Massimo Gaggi sul Corsera se questo barbuto anti Bush, già collaboratore di Clinton con alterne fortune, diverrà un principe della consulenza per Barack Obama. Ormai consapevoli in ogni parte del mondo che siamo tutti imbarcati insieme nel cataclisma generale osserviamo la formula Obama che, allo stesso modo delle teorie della fisica, non deriva da una solo aspetto del sociale della politica e dell’economia. Il suo successo proviene dal basso, da sommatorie cioè di molecole in interazione rispecchiata poi nella totale immagine del mondo, cioè Internet. Formule magiche scoperte nel tempo e nello spazio della politica si sono rivelate possibili come la straordinaria occasione di Barack Obama oggi. Forse. Anna Guaita in “Buona Fortuna Obama!” (Messaggero 4 novembre) lo definisce un possibile nuovo Franklin Delano Roosevelt, e apprezzando l’eleganza dello spirito democratico di John McCain che lo ha chiamato “il mio Presidente”, rende giustizia al corale plauso per la vittoria del Senatore dell’Illinois. Ma concordano in tanti, a partire da Walter Veltroni già entusiasta di lui in tempi non sospetti fino a Massimo D’Alema, Fassino e Franceschini; da Gentiloni ad Anna Finocchiaro, a Vannino Chiti e con qualche nota critica nello stesso PD, il filosofo Cacciari; dal Prc di Franco Giordano fino alla destra di Gasparri e Storace per arrivare a Berlusconi, e alla sua frase augurale pronunciata davanti al premier russo Medveded: “E’ giovane, bello, e… abbronzato!.” Sapete qual è la più straordinaria conseguenza di questa affermazione? Che dal 4 novembre ad oggi non si parla d’altro. A torto o a ragione, in rivoli di considerazioni e critiche, giustificazioni e condanne, tutte interessanti per carità, tranne l’infelice battuta di madame Sarkozy, che non avendo fatto alcunché per migliorare l’Italia non si sa di che cosa si lamenti o recrimini. Berlusconi prorompe nel fattore Obama oscurando di colpo Veltroni e tutti i meritevoli riconoscimenti in tema di primogenitura. Una battuta e si spazzano via il kennediano “I care” e l’attuale pragmatico “Si può fare”, versione nostrana dell’obamiano “Yes, we can”. Non si saprà mai se Mike Bongiorno faceva le sue gaffe a caso o ci cascava lui stesso. Fatto sta che gli hanno dato la fama e l’ingresso permanente nei testi di storia dello spettacolo. Berlusconi entra con la sua battuta in primo piano ogni volta che a qualsiasi titolo si parla di Barack Obama, e vi resta a lungo protagonista seppure sull’onda della polemica. Si va bene, Mike è un uomo di spettacolo e lui è il presidente del Consiglio, ma serve ribadirlo? O dovremmo invece osservare il video scanzonato del nuovo presidente Usa http://it.youtube.com/watch?v=RsWpvkLCvu4 , dire “Quante storie per un po’ di melanina!” e aggiungere: “Non ne parliamo più… non importa”, dimostrando di credere che la sua voleva essere davvero una carineria, non invece una voluta frase propulsiva sulla scena della politica internazionale, per far dimenticare Veltroni che per primo aveva creduto in Obama. La cosa che non si capisce è come mai gli si da’ addosso dopo le esperienze del passato che lo hanno fatto crescere il maniera inversamente proporzionale alle attestazioni di disistima dei suoi avversari. Tra tutti forse solo D’Alema ha capito che se si vuol fare un favore a Silvio Berlusconi si deve parlar male di lui. Gli altri non ci riescono. Se fingessimo di credere che la frase sul nuovo presidente d’America voleva essere una carineria potremmo anche prestare fede all’ipotesi che con la poliedricità propria del presidente del Consiglio egli possa passare dall’essere il miglior amico di Bush al più attento osservatore delle teorie obamiane. Da imprenditore forse potrebbe egli stesso far proprie, almeno in parte, le teorie di B.O. sull’investimento per l’ambiente. Cinque milioni di posti di lavoro nel futuro degli Usa, e da noi quanti possibili? E’ previsto che la BP, come ha già iniziato a fare in gran Bretagna, potrebbe aiutare Obama nel riconvertire gli investimenti in attività di energia pulita. Se da qui partisse un percorso virtuoso in progetti di crescita coniugati al rispetto dell’ecologia ne saremmo felici. Se le previsioni si riveleranno azzeccate, pur nel difficilissimo impegno del nuovo presidente d’America, anche per dare impulso a cambiamenti in zone di sofferenza come l’Africa, a giusto titolo il Kenia avrebbe il 4 novembre come ricorrenza nazionale. Per festeggiare un cambiamento che auspichiamo nella stessa data potremmo celebrare l’inizio del cambiamento in Italia. Con investimenti per milioni di posti di lavoro in energia pulita, programmazione e semplificazione del problema giustizia con cause risolte a sentenza in pochi mesi data l’efficienza di moderni uffici e preparatissimi addetti ai lavori. Festeggiare riforme vere della scuola con investimenti nella ricerca e cancellazione dell’infame sistema del nepotismo e le assunzioni parentali; festeggiare mari puliti e fiumi trasparenti, incremento economico da immondizia riciclata; pianificazione delle Pari opportunità per tutti con l’abbassamento del gap che penalizza le donne nei luoghi delle decisioni. Festeggiare una Sanità sana e moderna snella nelle prenotazioni di alto livello nella qualità delle prestazioni e luoghi sicuri per chi va in giro di giorno o di notte. Festeggiare il rimpadronirsi della città da parte delle donne in assenza di malintenzionati, stalker o criminali. Festeggiare la crescita dei posti li lavoro veri con stipendi di sostanza e portafogli adatti a comprarsi un po’ di futuro. Festeggiare il prodotto non canaglia di una economia blasonata e riconoscibile da un “Marchio etico” di qualità che da tanto cerco di promuovere, con il quale si rende riconoscibile il fatto che nessun bambino e nessun tipo dell’esistente è danneggiato dalla produzione dello stesso. Se così fosse il 4 novembre potrebbe esserci una triplice festa internazionale di Italia-Kenia-Stati Uniti. Se l’effetto Obama avesse apportato modifiche agli errori del governo Berlusconi sarebbe grandioso festeggiare e obbligatoriamente rammentare a tutti i partecipanti abbronzati o no che mentre avveniva il principio del cambiamento noi ci eravamo preoccupati di una battuta sull’abbronzatura di Obama. Neanche fosse stato il battito d’ali della farfalla in Amazzonia. Wanda Montanelli, 11 novembre 2008

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