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QUELL’ OTTUSA GUERRA CONTRO I PRINCIPI DEMOCRATICI

L’articolo di Daniele Biacchessi “Giù le mani dal 25 aprile” sul suo blog Italia in controluce del 18 agosto, è letto in radio, ed è sull’intenzione di spostare il 25 aprile alla domenica successiva. Per sentirlo mi perdo un po’ di rassegna stampa di Massimo Bordin. Mi dispiace perché è la migliore, ma ne vale la pena. Altroché. In 15 righe il vicecaporedattore di Radio24 esprime la sintesi: “E’ come se si chiedesse agli americani di spostare di qualche giorno l’anniversario dell’indipendenza (4 luglio), come se si chiedesse ai francesi di posticipare il giorno della presa della Bastiglia (14 luglio)”. I francesi a un’ipotesi del genere sarebbero già in piazza con il drapeau tricolore, bleu, blanc, rouge, chi in canottiera, chi in chemise Lacoste, agguerriti come il coccodrillo simbolo della Polo di Renè, a cantare “Allons enfants de la Patrie, Le jour de gloire est arrivé. Contre nous, de la tyrannie…”. E speriamo solo a cantare, ma ne dubito. Gli italiani invece, presi in contropiede dalle preoccupazioni della manovra fiscale, intorpiditi dal caldo agostano maggiormente sofferto da masse di cittadini senza vere vacanze, facendo la spola tra spiagge libere e casa d’abitazione, tra il rudere in collina della nonna e il bicamere in periferia, sono statici. Siamo tutti immobili in attesa del peggio. Ma più che altro increduli. Troppo abituati alle regole del convivere democratico, non ci rendiamo conto che zolla dopo zolla ci stanno portando via la terra da sotto i piedi. Così ci rifilano il peggio di ogni possibile soluzione. Contando sulla nostra inerzia, chi governa mette in cantiere progetti di cambiamenti istituzionali, costituzionali, sociali, che non c’entrano nulla con il problema del debito pubblico e con la manovra fiscale, ma che per una strana alchimia perversa, dovendo predisporre l’antidoto al male, pensano che sia arrivato il momento della resa dei conti e preparano la pozione avvelenata. Perché per loro il male è la democrazia, per loro il male è “La sovranità che appartiene al popolo”, per loro il male è il decoro della persona che lavora e che quindi ha diritto ad uno statuto dei lavoratori. E’ lui il soggetto: il lavoratore. Ma questi assoggettati della politica illiberale non intendono mantenere l’uomo al centro della fruizione del diritto. Lo Statuto dev’essere, secondo costoro, “dei Lavori”. Sono i lavori a preoccuparli, perché si sforzeranno di “pensare” a come rendere tali lavori sempre più proficui per chi in essi investe e sempre più miserabili per chi lavora. Sicché non ci saranno limiti a diminuire le paghe, imitando Cina e Bangladesh, e osservando gli italiani nelle loro reazioni; nell’accettazione disperata di qualsiasi cosa purché si lavori: cococo – cocopro – a tempo determinatissimo – interinale, o ancora in nero. Scrutando come con la lente al microscopio la nostra trasformazione da italiani viziati dal diritto costituzionale in ibridi dalla pelle chiara ma lo standard comportamentale indo asiatico: poveri, precari, senza futuro, ma con la testa china ed il sorriso stampato per la gratitudine di esistere comunque. Anche con le pezze al culo. Li gratificherà molto la nostra trasformazione in cinesi. Senza offesa per gli orientali della repubblica popolare ma sono certa che questi autoritari gestori del precariato italico proveranno un senso di libidine profonda nell’immaginare di trasformarci tutti in cinesi. Con la globalizzazione si pensava di elevare verso l’alto la qualità della vita dei “senza diritti”, ed è accaduto che invece ci siamo noi livellati verso il basso. Ma l’asticella è continuamente spostata verso giù, sicché la soddisfazione massima potranno provarla quando ci vedranno strisciare per terra senza midollo né spina dorsale. Reclamano il diritto di licenziare.(AGI – Roma, 17 ago: Manovra: Crosetto, giusto poter licenziare liberamente) Ma c’è già il diritto di licenziare. Da che è nata la repubblica si licenzia per comportamenti scorretti del lavoratore. Si mettono gli operai in cassa integrazione quando la fabbrica è in crisi, si manda via chi è disonesto. Ed è paradossale che lo reclamino adesso. Quando c’è la crisi. E’ come se in un naufragio con tanti annegati, invece di salvare i pochi in canotto, si buttassero a mare tutti. E’ questo che vuol dire il diritto di licenziare: buttare a mare i pochi che mantengono in piedi l’economia facendo acquisti, magari con cambiali e prestiti perché hanno il posto fisso. Tutto ciò non ha senso. Lo avrebbe se dopo una sperimentazione ventennale dello pseudo-liberismo esasperato e ignorante l’Italia fosse fiorente. Non lo è. La maggior parte degli italiani non è mai stata così male. Abbiamo rubato i sogni ai giovani, possessori quando va bene dell’ultimo modello di telefonino acquistato con la paga precaria di un mese. Uno specchietto per allodole. Per negare a se stessi e agli altri di non aver nulla, oltre al diritto di mandare cento sms al giorno (ma a chi, al Padreterno?) con l’ultrasconto in offerta speciale. Nulla. Neanche più la voglia di cercare lavoro. Per entrare nel limbo degli inoccupati o dei disoccupati. E quanto siamo bravi in Italia ad aumentare le tipologie dei “non lavori”. Si intende cambiare lo Statuto. Non tanto per fare lo statuto “dei lavori” quanto quello dei “non lavori”. Dove il soggetto principale è il denaro, e i beneficiari quella piccola percentuale di straricchi. E’ un dato statistico Banca d’Italia che il 10 % delle famiglie italiane detiene circa il 45 % della ricchezza nazionale; ed è così da dieci anni a questa parte. Durante questo tempo il 90% della popolazione italiana si è accontentata di spartirsi il restante 55 percento della ricchezza prodotta. Certi illiberali di governo non apprezzano le cose dai contorni netti: la Festa del 21 aprile, lo Statuto dei lavoratori, la Costituzione italiana. Non amano niente di tutto questo gli ottusi. Troppo bene è scritta la nostra Carta fondamentale, compresa da tutti e chiara. Non va bene. Bisogna mettervi mano e renderla più confusa e incomprensibile. Dati i risultati, dato che il Paese è fermo, chi governa dovrebbe domandarsi se è meglio concentrare la ricchezza in poche mani e bloccare tutto o scegliere di re-distribuirla per incentivare i consumi gli investimenti, la produttività. Essere non-ottusi significa cercare la spinta propulsiva che si trova in quell’unica strada del bene pubblico, del mettere le persone, donne e uomini, al centro degli interessi di chi si occupa di gestire la cosa pubblica. Eppure è facile dedurre che il successo in economia va perseguito attraverso la ricerca della felicità di più gente possibile. La felicità interna lorda, il Fil dovrebbe essere l’obiettivo di chi governa. E’ un discorso di generosità, ma anche se volete di egoismo intelligente. Wanda Montanelli, 19 agosto 2011

NON E’ VERO CHE IL MARE NON BAGNA NAPOLI

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Da Valenzi a de Magistris un salto generazionale, forse davvero ultima speranza per Napoli

E’ una brutta immagine. Il film di Nicholas Meyer mi dava meno afflizione. The Day After del 1983 Sapevo che era finto. A Napoli oggi è tutto vero, purtroppo. Chi come me ha lasciato da molto tempo Napoli per cercare altrove sbocchi alla propria esistenza, spera che un giorno qualcuno compia il miracolo e che il senso di rifiuto che ci ha allontanato possa trasformarsi in nostalgia, o invidia per chi è rimasto. Ancora così non è. Abbelliamo i nostri ricordi con aneddoti dell’infanzia, storie di generosa umanità, memorie del palcoscenico aperto a qualsiasi improvvisazione ‘a braccio’ da commedia dell’Arte che nei vicoli di Napoli si rappresenta tutti i giorni. Ci beiamo del consunto dvd di ‘Natale in casa Cupiello’ progettando di andare a comprare bellissimi pastori a San Gregorio Armeno. La strada famosa per l’arte presepiale la incrociamo da Spaccanapoli l’insieme di sette vie che solca geometricamente il centro storico. Siamo lì domenica 19 giugno, al ritorno da Ischia, anticipato appositamente per mangiare la pizza. Non una pizza qualsiasi, ma “la pizza” di Michele a Forcella. Sul traghetto con i miei amici passiamo tempo a discutere se sia il caso di andare da Brandi, l’originale inventore della pizza in omaggio alla regina Margherita di Savoia. L’orario per fortuna non ci dà scelta. Alle quattro del pomeriggio solo Michele è sicuramente aperto. Esulto in silenzio perché sono anni che tentano di dirottarmi da Brandi senza riuscirci. Il Rettifilo dopo via Marina espone cumuli di immondizia e cassonetti bruciati. Ancora qualche residuo carbonizzato spande nell’aria un odore acre e un’immagine surreale. Da piazza Garibaldi percorriamo a piedi un lungo tratto di strada osservando i palazzi tardo ottocenteschi di corso Umberto. Pochissima gente per strada nella torrida giornata pre-estiva. I negozi tutti chiusi. Bancarelle nessuna. Neanche i nigeriani con le cinture taroccate. In via Cesare Sersale scorgiamo ancora saracinesche abbassate. Michele è chiuso. Accidenti avevamo dimenticato che fa riposo la domenica.“Iatevenne add’ o Trianon. E’ fernuto l’impasto!” raccomanda il proprietario della storica pizzeria Michele quando la chilometrica fila di avventori esaurisce le scorte di pasta fermentata. Però stavolta basta voltarsi per notare anche l’altra saracinesca abbassata. Oltre Forcella, proseguiamo per la stretta via Duomo. Una donna anziana magrissima vende poche sigarette su una cassa di legno di frutta. Dei rumeni bevono birra acquistata in un minimarket arabo. Il kebab è offerto da un cartello colorato al di fuori di una stretta porta. E’ una specie di basso e ci hanno fatto una bottega araba. Un giovane con la camicia aperta e una grossa catena al collo ci osserva: “Una pizzeria aperta?” gli chiedo e lui ci manda più su alla pizzeria del Presidente, “pecché Clintòn (con l’immancabile accento sulla seconda sillaba) “primma s’accatte e cravatte ‘e Marinella e po’ se magna a pizza ‘addo Presidente”. Avanziamo nel cuore di Napoli, dietro di noi quattro giovani procedono a passo veloce. Un altro ci viene incontro con il motorino. “Non cerchiamo il pericolo?”, mi dicono gli amici. Quattro giovani ci seguono. E’ l’ipotesi di uno scippo. “No, non succede niente a Forcella. Guardali negli occhi e ci vedi il mare”. “Ma se sono con gli occhi neri”. “Non hai letto Proust” rispondo. Se a Napoli togli il mare spegni anche la luce negli occhi dei suoi abitanti. Quando mi capitò di leggere “Il mare non bagna Napoli” di Anna Maria Ortese, provai lo stesso senso di spegnimento dei rumori, delle voci e della musica. Come nella domenica pomeriggio davanti ai cassonetti bruciati e il Corso semideserto. A quel tempo esprimevo la mia passione politica attraverso le canzoni, e nel 1983 all’elezione del sindaco Valenzi composi il brano “Non è vero che il mare non bagna Napoli”. Maurizio Valenzi era considerato un sindaco galantuomo semplice e leale, un campione dei valori della libertà e uguaglianza. Il primo sindaco comunista, ed io salutai la sua elezione come un evento estremamente positivo. La sinistra che inseguo è un po’ a modo mio, quindi non da comunista, ma da attenta osservatrice dei mali di Napoli, mi piacque quel sindaco tunisino-livornese di cui tutti parlavano bene. “No, non è vero che il mare non bagna Napoli / che la speranza col vento non soffia più. No, non è vero che dentro son tutti morti / se tocchi il fondo qualcosa ti spinge su…” E poi da quando andavo all’asilo ogni tanto sentivo qualcuno dire nel pieno dell’ esasperazione: “Adda venì baffone!” Chi fosse baffone non era dato di sapere, perché la spiegazione più accettabile, tra tante strampalate che mi venivano dette, era che un giorno qualcuno con i baffi sarebbe arrivato a mettere le cose a posto, ed aiutare i poveracci che penano la vita. Beh, de Magistris non ha i baffi. Nemmeno è comunista. Che dire? Potrebbe avere la luce negli occhi come i ragazzi di Forcella, e come la bambina apparsa a Gilberte Swann, lungo il sentiero dei biancospini nella Recherche. Noi che vediamo il mare dove non c’è, e gli occhi del colore che ci piace immaginare, non ci rassegniamo. L‘elezione di de Magistris, con un salto generazionale, è forse l’ultima speranza di Napoli. Dovrebbe capirlo anche chi fa grezzo ostruzionismo per questioni di potere fine a se stesso. L’analisi degli interessi incrociati che auspicano il fallimento del Sindaco venuto da lontano è su tutti i giornali, da qualsiasi parte la si osservi. Pensando a costoro mi viene in mente un imbecille che un paio di anni fa buttava rifiuti e liquami nella Grotta Azzurra. Faceva karakiri. Come adesso i camorristi o gli oppositori di regime. Certe volte mi chiedo dove credono di poter andare questi guastatori quando avranno avvelenato tutto? Di contro leggo: “de Magistris per ora può avvalersi del completo sostegno della cittadinanza che, compatta, si è dichiarata solidale con il suo sindaco. Infatti, in molte zone della città sono sorti comitati autonomi di raccolta differenziata e molti disoccupati si stanno adoperando per ripulire le spiagge e il lungomare. Si sta diffondendo rapido il porta a porta, che in alcuni quartieri raggiunge una percentuale di riuscita pari al 65%. Nel futuro progettuale del Sindaco c’è la necessità di costruire un impianto di compostaggio che renda Napoli e la Campania completamente autonome e indipendenti, e libere dai rifiuti per strada”. Allora ritrovo il mio testo: “Dopo il contagio, la gente si immunizzò Lungo il letargo e grave la malattia/ ma la speranza col vento poi ritornò”. Giugno 2011, anno della Rinascita. http://www.vogliounasinistramodomio.net/contenitore/cantautori/ Wanda Montanelli

AL VOTO AL VOTO!

CONTRO L’INCUBO NUCLEARE ESORCISMI DI SETTE RAGAZZI SOSTENUTI DA GREENPEACE E DA TANTA PARTE DEL PAESE CHE TORNERA’ A VOTARE

E a Milano altre 5 schede elettorali per l’ambiente

“I pazzi siete voi” Intervista ai sette protagonisti chiusi in un bunker antiatomico

Non si mangia l’insalata. Né latte, formaggi, carne o pesce. Noi che siamo andati alla ricerca di scatolette arrugginite ai tempi di Chernobyl sappiamo che significa. Era 25 anni fa il 26 aprile 1986. E’ la storia che si ripete per chi non è promosso nell’evoluzione sociale come gli studenti asini che ripetono l’anno per insanabile zucconaggine. Nell’ottantasei Tripoli e Bengasi erano bombardate come adesso. Al tempo l’ordine lo dava il presidente-attore Ronald Reagan, oggi i ribelli libici sostenuti dalla Nato. Chissà perché non siamo in grado di mettere fine ai problemi che precarizzano e mettono in pericolo la vita di tanta umanità. Quella del nucleare era una battaglia vinta. Il referendum l’8 e 9 novembre 1987 dopo un anno e mezzo dal disastro atomico russo ottenne la partecipazione di massa ed un enorme successo dei tre sì dei quesiti (dal 72 all’80%) . I governi di allora dal 1988 al 1990 di Goria, passando per de Mita e poi Andreotti stabilirono definitivamente il 26 luglio 1990 con la delibera del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) la fine del programma nucleare. Gli abitanti di Latina, Trino, Caorso e Montalto di Castro tirarono un sospiro di sollievo. Tutti gli italiani festeggiarono. Invece rieccoci a non mangiare insalata. Non per il batterio Escherichia coli mutato come un killer trasformista che per colpire le sue vittime non si fa riconoscere. La prudente attenzione agli ortaggi non lavati non c’entra. Si ritorna a distinguere la foglia larga, il latte in polvere, i cibi confezionati pre-catastrofe anelati come preziosità, e le ossidate scatolette di aringhe e fagioli acquistate a caro prezzo come delicatessen dal valore inestimabile. Come la guerra in Libia si è ripetuta la catastrofe nucleare a Fukushima e di conseguenza la motivazione a votare al referendum. La moviola che ci riporta gli stessi avvenimenti del passato è vista e diffusa. I tentativi di frenare la trasmissione di immagini e l’ondata di emozioni che come lo tsunami giapponese invadono l’immaginario pubblico non hanno del tutto funzionato. I nuclearisti di governo non sono riusciti a frenare la comunicazione sui referendum. L’informazione, anche quella obbligatoria delle tv pubbliche, è partita con notevole ritardo. Ma i movimenti, le associazioni, i blogger, gli artisti hanno funzionato alla grande. Celentano fa da capofila e val la pena citarne uno per tutti, non fosse altro perché sappiamo che il ragazzo della via Gluck si è dimostrato rispettoso della natura in tempi non sospetti. Tra i partiti da Bonelli a Vendola, da Bersani a De Magistris le dichiarazioni a favore del referendum, che comprende il Sì per l’acqua pubblica e quello per l’abolizione del legittimo impedimento, si consumano in piazza, nei portali internet, sui fogli cartacei di tanta stampa ecologicamente rivolta alla pulizia di mari, cieli e politica nostrana. La tv generalista di Stato non ha fatto bene il proprio dovere e il 24 maggio 2011 il segretario dei Radicali, Staderini era in video travestito da fantasma per protestare contro il silenzio Rai sui referendum. Però grazie alla rete le notizie volano da un sito all’altro. Nuotano nel fiume di byte con mille rivoli e affluenti dei Comitati per l’acqua, i Gruppi pro-referendum, gli eventi pubblici sui quattro Sì. Su Facebook, Twitter, Myspace, e passano da file a file nell’inarrestabile corsa alla mobilitazione del 12 e 13 giugno. I Pazzi siete voi, è l’iniziativa di sette ragazzi.. Stanno in un bunker antiatomico come se fosse esplosa una centrale nucleare. Sono sostenuti da Greenpeace e provano a vivere come se fuori l’atomo nefasto fosse pronto a devastare la natura umana, come già fa a Fukushima purtroppo. Le particelle radioattive sono all’esterno della loro casa sigillata esistente in un quartiere di Roma. Si chiamano Alice, Luca, Giorgio, Alessandra, Marco Silvio e Pierpaolo. C’è segretezza assoluta sul luogo che comunque potrebbe essere al Testaccio, come al quartiere Prati di Roma, a Ostia come a Trastevere. Li intervisto tramite la loro addetta stampa di Greenpeace Rebecca Borraccini. In quale zona di Roma vi trovate? Risposte dei ragazzi nel bunker: Vorremmo mantenere segreta la nostra collocazione geografica, perché siamo convinti che tutti debbano sentirsi chiamati in causa. Un incidente nucleare potrebbe avvenire ovunque ci sia una centrale. Gli abitanti dei dintorni si sono accorti di voi? R: Ci sembra che nessuno si sia accorto di noi. Un po’ per la posizione fortunata della casa, un po’ per la nostra discrezione. Se così non fosse, allora abbiamo avuto la fortuna di avere “vicini modello”! Ripetereste l’esperienza? R: Certamente, 1000 volte. Siamo convinti della protesta che stiamo portando avanti, e del fatto che il paese aveva bisogno di svegliarsi; noi l’abbiamo fatto a modo nostro, scegliendo un tipo di azione che, oltretutto, ci sta formando e migliorando come persone. Se fuori dalla casa ci fosse davvero contaminazione e doveste restare moltissimo tempo chiusi, cosa vi piacerebbe avere con voi (qualcosa di irrinunciabile) R: Le persone a noi care. Probabilmente, per i motivi più disparati, in caso di incidente nucleare potresti non avere vicino chi vorresti, e questo credo possa essere devastante nel caso l’incidente sia reale e non simulato Siete stati nel bidone per continuare la protesta. Mi raccontate? Plausi, critiche, adesioni. R: Pierpaolo e Giorgio si sono spostati in un container di 4 metri per 5 a forma di bidone radioattivo. La protesta, così estremizzata, ha avuto molti appoggi. La notizia ha viaggiato molto, e questo non può che farci piacere! Mostriamo che la nostra generazione ha ideali, e ha il coraggio di rinunciare a qualcosa pur di raggiungere un traguardo più alto, in questo caso, il bene comune. Chi ritenete sia il politico più ecologista d’ Italia tra Di Pietro e Vendola? Forse un terzo? E chi? R: Finora abbiamo pensato che la politica, con le sue scelte, possa e debba occuparsi anche di ambiente. Sia Di Pietro che Vendola, hanno portato avanti scelte intelligenti. Noi appoggiamo e pubblicizziamo non il politico ma le sue scelte (vedi referendum, vedi lo sviluppo delle rinnovabili in Puglia). Chi ci crede davvero e chi fa finta di essere ambientalista per cavalcare la tigre? (tra i politici e i ruoli istituzionali) R: Non vogliamo fare nomi, la nostra non è una protesta contro determinate figure politiche ma contro delle scelte sbagliate e illogiche sul nucleare. Chi è ambientalista si vede dalle scelte più ecologiche e sostenibili, chi vuole fingersi ciò che non è si smentirà da solo con dichiarazioni contraddittorie e fatti in disaccordo con le parole. Che cosa dovrebbe fare secondo voi tra le priorità un vero, sano sincero, ecologista ministro dell’ambiente? R: Dovrebbe fare il suo lavoro: prendere a cuore l’ambiente e cercare di difenderlo. Dovrebbe interessarsi alle varie situazioni ambientali del territorio che è sotto sua tutela, ascoltare quelle associazioni ambientaliste che, proprio per la loro struttura, hanno meglio presente le situazioni delle singole regioni. Tanto andrebbe anche fatto nel rapporto con l’economia: l’ambiente è una grande risorsa che non va prosciugata. Non pensate che una donna sinceramente ambientalista non avrebbe mai pensato di riportare il nucleare in Italia? Una donna che si reputa ambientalista e che pensa che il nucleare sia il futuro è conseguenza logica che a noi possa sembra contraddittoria. In quel caso ci sono due possibilità: o ignora i rischi e la salute per l’uomo e l’ambiente e allora dovrebbe informarsi, oppure è in mala fede Un mondo affidato alle donne (non quelle della danza bunga) non sarebbe secondo voi più giusto, pulito e con obbiettivi al futuro dei figli? R: Le donne hanno sicuramente caratteristiche ottime a livello organizzativo. Pensiamo che, se ci fossero più donne competenti in politica, sicuramente le scelte sarebbero più umane, soprattutto quelle ambientali. Siamo però per la meritocrazia: uomo o donna ognuno può dare il suo contributo per migliorare la politica e la res publica, governando con buon senso, intelligenza e moderazione. 10 giugno 2011, Wanda Montanelli

C’era una volta un piccolo naviglio…

. Misurata, 4 aprile 2011 “Il barcone che abbiamo preso con mio padre e mia madre ci costa i risparmi di una vita. Non quella trascorsa, ma quella futura. Pagheremo i Dallai con il lavoro che faremo in Italia o in Francia o in Germania. Siamo partiti in fretta e furia e solo la mattina avevamo mangiato il Biriyani. Siamo usciti però dalle baracche di Dhaka molti giorni fa, camminando per un po’ vicino al canale e poi verso il porto di imbarco con mezzi di fortuna. L’organizzazione ci ha avvertiti che si poteva partire. Dopo molte settimane di attesa era arrivato finalmente il nostro giorno. Abbiamo dormito sulla stuoia sulla spiaggia per aspettare la notte dell’imbarco. L’amica della mia mamma ci aveva dato un dolce e un pane per il viaggio. Lo abbiamo mangiato. Mio padre ha detto: “Shimul hai portato le scarpe?” e io gli ho detto che sì, le scarpe nuove che mi hanno regalato i parenti il giorno del mio compleanno le ho nella mia sacca, vicino al la fionda che ho fatto con un ramo d’albero. Io ho sette anni e gli altri bambini che stanno nella barca sono di varie età, ma non parliamo la stessa lingua. Il mare è mosso, ma il sogno è bello e non mette paura. In Bangladesh il sogno è di tanti miei amici che sono rimasti. Il mio l’ho quasi raggiunto. Presto arriveremo a Lampedusa, isola italiana, terra di conquista del diritto alla vita…”. Lampedusa 6 aprile 2011 Le agenzie di comunicazione battono la notizia del naufragio di molti dei migranti: “Un barcone con a bordo almeno 200 migranti si è ribaltato questa notte a 40 miglia a sud dell’isola di Lampedusa, in acque maltesi, e decine di cadaveri sono state avvistate in mare questa mattina, compresi quelli di alcuni bambini sopravvissuti, migranti provenienti da Somalia, Nigeria, Bangladesh, Costa d’Avorio, Chad e Sudan, hanno detto che quando i soccorsi sono arrivati sul posto il barcone stava già affondando, riferisce l’Oim, aggiungendo che tra i passeggeri a bordo c’erano circa 40 donne e 5 bambini. Solo due donne sarebbero sopravvissute. “I sopravvissuti sono tutti in stato di shock” (…) Agenzia Reuters Cosa gli abbiamo fatto credere? Che in Italia c’è la felicità? Il breve racconto di Shimul è immaginario. Ma la storia drammaticamente vera. E’ il risultato della globalizzazione. Questa espansione degli orizzonti dal volto disumano che mostra la civiltà occidentale come un miraggio da raggiungere e delude presto per le contraddizioni che esprime. Secondo molti il processo di globalizzazione è solo l’estrema evoluzione del fenomeno di colonizzazione iniziato con la scoperta dell’America. Solo che per acquisire i nuovi schiavi non occorrono investimenti in navi e negrieri. Gli uomini partono da sé e si indebitano per raggiungere posti in cui lavorare a qualsiasi costo e prezzo. Tutto è meglio della fame e della paura. Le immagini divulgate dei mass media con modelli di società in cui tutto è bello sono invitanti. Si tratta di luoghi dove i gatti e i cani hanno menù gourmet, e l’unico problema per gli umani è quello di non ingrassare. Come uno spot di promozione e vendita il prodotto “qualità della vita in occidente” affascina popolazioni che emigrano verso di noi. Sono oltre venti anni che si parla e si scrive di re-distribuire meglio ricchezza e opportunità. Poco o nulla si è fatto per aiutare in modo produttivo e concreto la crescita economica dei paesi poveri. Ma quando li si aiuta lo si fa spesso in terre con ricchezze minerarie in cui il sospetto obiettivo è un tornaconto, invece che l’umanità. In questi giorni di umanità se ne vede ben poca. La strana modalità operativa di questo periodo emergenziale è che l’Europa sembra lavarsi le mani del genere umano in trasmigrazione.Stupisce soprattutto l’ incoerenza della Francia spintasi avanti per l’intervento in Libia che oggi non ammette che attraverso il permesso di soggiorno temporaneo gli immigrati possano entrare in zona Schengen. Quindi anche da loro. Secondo l’accordo per la prima volta firmato il 14 giugno 1985 si è deliberata l’introduzione di un regime di libera circolazione per i cittadini degli Stati sottoscrittori. Nel 1995 l’accordo è divenuto “Convenzione di Schengen” tra Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, e successivamente si è ancora perfezionata in “ l’Acquis di Schengen”. Ad oggi accettato anche da Spagna, Portogallo, Grecia , Austria, Finlandia, Svezia Danimarca. Mentre l’Irlanda, il Regno Unito, l’Islanda e la Norvegia hanno dato solo una adesione parziale. Ora però tanti stati membri non intendono far passare i migranti con il permesso di soggiorno italiano. La domanda che viene spontanea è: questa Europa esprime decisionismo solo quando il problema riguarda l’imbustamento obbligatorio delle mozzarelle o il pensionamento delle donne a 65 anni? Perché adesso non ha la stessa risolutezza per obbligare gli stati in convenzione Schengen a fare il loro dovere e caricarsi del problema umanitario, che non deriva da un capriccio, ma da un nord Africa in subbuglio? Come possono ritenere che solo l’Italia abbia il dovere umano politico e istituzionale di porre rimedio ad un problema così difficile? Ma lezioni di umanità possiamo dargliene. Salvo qualche rozzo personaggio come il barista di Roma che ha messo un cartello “Vietato l’ingresso agli animali e agli immigrati”. E’ uno solo, spero il più imbecille d’Italia, e conviene sdrammatizzare come Benigni ne “La vita è bella” quando spiega al figlio che ognuno è nella facoltà di scegliere il cartello che vuole. “A te cosa non piace? “ I ragni” risponde il bambino. “Allora mettiamo, nella nostra libreria, il cartello “Vietato l’ingresso ai ragni ed a visigoti”. Lezioni di stile e generosità italiana. Checché se ne dica siamo sempre i primi ad accogliere chi ha bisogno. E’ vero che la geografia mette la nostra penisola sdraiata in mare come una generosa madre pronta a consolare naufraghi e naviganti, e il nostro dovere lo abbiamo sempre fatto. I buzzurri bisogna educarli. Una capatina a Napoli la consiglierei al barista ignorante, dove nei bar non solo entrano tutti, ma per chi non ha mezzi economici c’è pronto un caffè pagato dai più abbienti. Poca cosa è vero, per chi è povero, ma un gesto di accoglienza così aumenta il significato sociale di eguaglianza. Il racconto di Shimul, pensato per essere più vicino a chi parte, ha una storia, dei sogni, una vita che si mette in gioco, perché l’uomo non può fare a meno di provare a migliorare la propria esistenza, anche mettendo in conto che per vivere si debba rischiare di morire. Wanda Montanelli, 10 aprile 2011

Teoria della coltivazione

“L’uso massiccio del mezzo televisivo non ha effetti immediati sul pensiero ma produce nel lungo termine un effetto di “coltivazione” e provoca un cambiamento della percezione della realtà, facendo vivere lo spettatore in un mondo modellato su ciò che viene trasmesso nella televisione” (George Gerbner 1919-2005 Annenberg School of Communications) Nessuna novità rispetto alle esperienze passate di altri soggetti politici, se non la pervicace resistenza, dell’attuale Premier, nella trincea di lotta politica di un manipolo di uomini asserragliati contro l’esterno. Il mondo parallelo da confutare. Guerra di parole e guerra di immagini, interviste selezionate e messaggi autogestiti. E insieme alle notizie, si crea una nuova realtà mediatica ad usum delphini. Utilizzando un linguaggio “della gente”, un ragionamento tanto banale quanto efficace, di immediata presa emotiva. Da decenni l’effetto sperimentato sul pubblico risulta positivo considerando gli incoraggianti esiti, e si persevera nella scelta del linguaggio semplice in cui l’elettore si riflette. Il “passaggio dal paradigma della superiorità al paradigma del rispecchiamento(1) è la formula testata da ripetere sempre e in ogni occasione, secondo Berlusconi, per stabilire un continuo rinnovo del patto fiduciario tra lui e i suoi elettori. Con un ricorso sistematico – come scrive Morcellini – ad uno stile appellativo che si rivolge alla “maggioranza degli italiani”, ai fruitori fedeli, “alla gente che non è stupida”. Con espressioni che stabilendo “quasi un’identità tra emittente e destinatario del messaggio, ottengono l’effetto di creare una circolarità comunicativa molto efficace”(2). La stretta relazione tra ciò che vediamo in televisione e l’idea che ci facciamo della realtà è un apparato concettuale attraverso cui si può arrivare a indirizzare il pensiero dei “fruitori semplici di tv”. Laddove per semplici si intende persone che non hanno né voglia, né tempo, né talvolta la condizione culturale di confrontare le informazioni e metabolizzarle dopo un’attenta analisi critica. Conformarsi agli argomenti del messaggio tv è meno impegnativo, più semplice e adeguato ai riferimenti sociali abituali. La Teoria della coltivazione di George Gerbner assegna, infatti, alla tv la funzione di “agente di socializzazione”, oltre che “principale costruttore di immagini e rappresentazioni mentali della realtà sociale” (3). Le scelte, anche politiche, quindi i consensi elettorali, poggiano sul rapporto di conoscenza e di fiducia cresciuto con l’esposizione mediatica di un soggetto. Un’operazione politica può partire da opzioni preliminari sulla base di categorie e successivamente offrire la proposta di un’ottima raffigurazione soggettiva della categoria emersa come favorita. Le fiction, i telefilm, gli episodi ripetitivi inducono a preferire alcune particolari professioni, ed è provato che i telespettatori sovrastimano chi lavora come medico, avvocato, detective, proprio in virtù della ripetizione di successi dimostrati dalla finzione televisiva. Coltivare consensi equivale a modellare la realtà puntando sugli effetti cumulativi di permeazione nelle coscienze, per cui nel lungo tempo la televisione porta lo spettatore a vivere in un mondo che “somiglia” a quello mostrato dal teleschermo. Le principali agenzie educative come la scuola e la famiglia, o i punti di riferimento tradizionali come la religione, divengono secondari nella visione dell’esistente dei fruitori di tv che vivono in un “mondo televisivo” che non coincide con quello reale. La tesi fondamentale della teoria di Gerbner è che “il mezzo televisivo fornisce allo spettatore, dall’infanzia all’età adulta, una visione del mondo comune e condivisa, operando in tal senso nella direzione di una unificazione della realtà”, una omogeneizzazione culturale. Per questo si parla di coltivazione e di “mainstream of our culture”, “principale corrente culturale” derivata dalla realtà rappresentata. L’uso politico dei mezzi di comunicazione di massa demandato agli esperti non si limita a sistemi di divulgazione elettorale ufficiali quali le tribune politiche. La comunicazione fatta in campagna elettorale, anche quando sfacciatamente costituisce prevaricazione sul diritto all’informazione equilibrata, è meno pericolosa delle soap-opera, le trasmissioni scanzonate, i talk-show. Come tutto ciò che perdura nel tempo e costruisce procedimenti mentali atti a incidere sul modo di pensare di ogni persona. In effetti gli spettatori di fiction, o di programmi di leggero intrattenimento, meglio che nelle tribune politiche “imparano” un mondo che è diverso da quello reale. I forti consumatori di televisione (almeno 4 ore al giorno) attuano uno “spostamento di realtà” e risultano influenzati dai contenuti televisivi nella loro percezione del mondo, “determinando uno scarto, empiricamente rilevabile tra ‘television answer’ e ‘reality choice’, che può quantificare gli effetti di coltivazione indotti dalla Tv “(4). In termini semplici avviene che la rappresentazione del sociale presente nell’universo televisivo non è assorbita in maniera selettiva, non è scelta e scartata nelle parti meno rispondenti alla realtà, e gli stimoli o in messaggi in essa contenuti producono risposte sulla base di “quel” mondo rappresentato. La coltivazione delle coscienze, quindi le azioni che le persone producono dopo anni di questo sottoporsi ad una particolare riproduzione della realtà, è ciò che maggiormente ci deve preoccupare. Cosa può interporsi tra l’influenza dei media e il soggetto fruitore? Secondo le due principali scuole di pensiero da una parte c’è la convinzione che i media sono onnipotenti e in grado quindi di manipolare facilmente il comportamento dei soggetti fruitori, e dall’altra l’opinione che esistono comunque delle variabili che filtrano potere dei media. Secondo Wolf, e McQuail, (1992, 1994) gli effetti dei media sono in qualche modo “mediati” dalla fruizione “attiva” dell’ audience con una “influenza negoziata dei media” attraverso le relazioni interpersonali del contesto sociale di appartenenza (neolazarsfeldismo) (5). Se viene trasferita in ambito sociale e politico per un preciso scopo, la manipolazione delle coscienze può essere solo il risultato di un’attività perdurante negli anni, per modificare la quale si dovrebbe operare per altrettanti anni avendo gli stessi mezzi a disposizione. Il lavoro sulle immagini, la valutazione sui meriti, gli stati d’animo, definiscono alcuni principi di base che costituiscono il patrimonio culturale, educativo, valoriale dei soggetti sovraesposti al messaggio tv. In conseguenza del quale moduli comportamentali si diffondono, azioni si compiono, scelte di vita in bene o in male vengono assunte. E’ vero che quello che noi siamo germoglia – secondo Wolf e McQuail – da ciò che leggiamo, dalla stima dei vicini di casa, dall’affetto della famiglia o da circostanze casuali. Esiste però, oltre a tutto questo, il rapporto fitto con la tv e con i mezzi di comunicazione dai quali derivano convinzioni sulla realtà rappresentata. Ciò che una volta era il personale universo quotidiano, viene soppiantato da nuovi rapporti amicali, a senso unico verso modelli televisivi. La credibilità dell’intrattenitore, la reiterazione del messaggio, l’apparente candore disinteressato di affermazioni a favore di una causa, sono potenti impulsi di indirizzo del consenso. Le quattro parole dette da Iva Zanicchi alla vigilia delle politiche nel 2001, durante un talk-show, riferendosi a Berlusconi candidato premier: “Lasciatelo provare poveruomo!” hanno reso più consensi di innumerevoli tribune o cartelli. Certo la risposta tangibile è venuta da soggetti “coltivati”, cresciuti secondo un esempio televisivo di riferimento, un paradigma di rispecchiamento. Sulla base di un modello che secondo la teoria della coltivazione “non riflette ciò che ogni individuo fruisce in televisione, ma ciò che ampie comunità assorbono durante lunghi periodi di tempo”. Ci sono schiere di donne affezionatesi a Berlusconi da quando le telenovelas sono entrate nella loro vita. Gabriele Romagnoli scrive su di Diario, nel 2001, che direttore di un diffuso quotidiano, molti anni fa, prima della “discesa in campo”, andò a trovare Berlusconi nella sua villa di Arcore per chiedergli: “Cavaliere, ha mai pensato a candidarsi a sindaco di Milano?”. L’altro tacque e attraverso l’interfono disse: “Portatemi le lettere di oggi”. Un maggiordomo entrò con un sacco pieno di posta. “La media è diecimila al giorno – disse il Cavaliere – Sono tutte donne, mi scrivono per ringraziarmi, dicono che, da quando ho imposto le trasmissioni tv anche al mattino, ho cambiato la loro vita. Capisce? Io cambio la vita delle persone e lei pensa che dovrei candidarmi per Milano?”(6). Era tanto tempo fa, la coltivazione era solo agli inizi. Ma tecniche sempre più marcate sono state messe in atto in circa vent’anni per migliorare il terreno di crescita nella possibilità di manipolazione delle coscienze. Puntare per esempio sulla paura di un ipotetico nemico è uno dei cardini della teoria della coltivazione. Ripetere che pericolosi avversari sono in agguato per farci del male, paga. Per esempio i comunisti. Quelli di ieri e quelli di oggi, che – ancora peggiori nella ingannevole patina di uomini di mondo – tramano progetti eversivi, pur passeggiando nel borgo innevato di Saint Moritz, mistificati sotto sconvenienti sciarpe di cachemire. La paura dello straniero, l’extracomunitario, il violento che viene da lontano, è stato oggetto di campagna elettorale del Pdl con annessa Lega, che ha dato risultati anche oltre ogni previsione. Scrive Gerardina Roberti: “Nel caso della violenza si verifica un differenziale di coltivazione: il soggetto fortemente esposto svilupperà la convinzione che nella realtà si sperimenti un elevato livello di violenza e che egli abbia consistenti probabilità di rimanerne vittima”(7). Leva importantissima, inoltre, della ripulsa nei confronti di una non meglio identificata “sinistra” è l’affabilità contrapposta allo snobismo, il linguaggio amicale contro il detestabile e altezzoso modo enunciativo dell’intellighenzia comunista. Il soggetto livellatore del gap invece parla come mangia, scherza, sfotte, ride, è il primo a dare la mano e a sorridere, sembra buono, sembra generoso, sembra vicino e tangibile. L’enorme potere di costruzione della realtà da parte dei media può “sostituire alla verità una realtà mediata dalla propria visione distorta e semplificata. E’ in tal senso che i media, e in particolare la Tv, coltivano – secondo Gerbner – rappresentazioni del mondo stereotipate, appiattite. L’individuo sarebbe così coltivato dalla televisione e tenderebbe ad assumere schemi di atteggiamento/comportamento dettati da essa. Ne consegue che l’individuo non soddisfa affatto il proprio bisogno originario (di interpretazione del reale), ma un bisogno di affabulazione (di sostituzione del reale con il verosimile)”. Un “effetto cumulativo di dipendenza”, che Geraldina Roberti, ritiene parta dalla riflessione sui media come agenti di socializzazione e, confidando sul fattore tempo, determini l’effetto condizionante. La realtà oggettiva, senza possibili alterazioni, con la evidenziazione della propria intrinseca verità “viene indicata come il bias, ossia il trattamento equilibrato o meno dei differenti fronti di opinione su un argomento specifico” (8). “Richard S. Salant, presidente della CBS News, disse in proposito: “I nostri giornalisti non fanno le notizie dal loro punto di vista: Le fanno da nessun punto di vista”(9). Tuttavia l’analisi di come il concetto di obiettività varia in relazione ai telegiornali ed alla natura soggettiva delle notizie, porta a considerare che il sommarsi di più versioni di uno stesso accadimento è uno strumento per soggettivarne la comprensione con il minor danno da condizionamento unilaterale. Gianni Statera ritiene in proposito che “se si può definire operativamente il concetto di ‘imparzialità’ è difficile pretendere di fare lo stesso con un concetto propriamente filosofico come quello di ‘obiettività’. Non solo, infatti, i dati, gli eventi, gli ‘oggetti’ non parlano da sé, ma anzi di regola acquistano senso solo se inseriti in un quadro di riferimento cognitivo a caratterizzare il quale intervengono weltanschauungen dominanti, influenze socioculturali, ambientali, connesse alla subcultura prevalente nell’istituzione in cui si opera”(10). Torniamo in conseguenza alla circolarità comunicativa, “alla strategia che stabilisce quasi un’identità tra emittente e destinatario del messaggio, che è – secondo Mario Morcellini – uno degli espedienti con cui Berlusconi è riuscito ad agganciare istanze proprie di quella parte dell’elettorato di cui è il naturale esponente – la media e piccola imprenditoria – alle istanze generali della nazione”(11). Il linguaggio di Berlusconi riesce a costituire “il segno di una volontà tranquillizzante” che non comporta “alcuno sforzo di decodificazione da parte del ricettore del messaggio (…). ‘L’io credo’, l’anafora ossessiva di contenuto fideistico con cui Berlusconi inizia quasi ogni enunciato dei suoi discorsi è uno degli elementi rivelatori di una geografia linguistica che si articola su scelte lessicali ed espressive molto omogenee e ripetitive, che definiscono un microcosmo comunicativo enfatico e apodittico, nell’ambito del quale si organizza un sistema di valori espressi secondo un sistema ben preciso” (12). Le strategie di marketing politico di Berlusconi sono concordate con gli esperti pubblicitari e comunicatori di cui si avvale da sempre. Lui stesso dichiara che la tecnica di promozione è la medesima sia per lanciare un libro che una forza politica. L’intercettare i bisogni degli italiani implica anche una ulteriore possibilità, quella cioè, di ricorrere alle profezie che i ricercatori della scuola di Palo Alto in California ritengono più che utilizzata in politica. La profezia dell’evento, cioè, che provoca la sua realizzazione. Il “Self fulfilling prophecies” coniato da Robert K.Merton, (13) è commentato, nell’ipotesi di causa-effetto da annuncio, in un’intervista su “Repubblica” del senatore Norberto Bobbio per esprimere, già anni fa, una seria preoccupazione riguardo alla situazione politica italiana: ”Lo stesso emettere delle profezie provoca – o così si spera – la realizzazione delle profezie stesse. Di fatto – dice Bobbio – gli strumenti di comunicazione possono favorire questo prodigio: dando per certo che qualcosa accadrà si aiuta un po’ a farla accadere” (14). L’adeguamento al desiderio profetizzato, la conferma dell’esistente contro la paura del diverso, il senso di inadeguatezza, il timore del peggio, conduce ad apprezzare l’universo virtuale che tranquillizza e pertanto va difeso a spada tratta. Non si fa altro in fondo che accogliere una eloquenza consolatoria facile e riconoscibile per proteggersi da un mondo che è visto come altro da sé. Considerato comunque ostile, anche se fosse l’unico reale. Wanda Montanelli, 25 gennaio 2011 . . (1) Giuseppe Antonelli, Sull’italiano dei politici nella Seconda Repubblica (in L’italiano oltre frontiera, atti del V Convegno Internazionale [Lovanio, 22-25 aprile 1998], a cura di Serge Vanvolsem et alii, Leuven University Press – Cesati, Lovanio-Firenze, 2000); (2) Mario Morcellini, “Elezioni di tv”, pag. 177, Costa & Nolan 1995; (3) George Gerbner 1919-2005 Annenberg School of Communications) (4) Geraldina Roberti, docente Univ. Di Siena, Ritorno ai Powerfun media, Gli effetti a lungo termine, 2004-2005 (5) Mauro Wolf, Gli effetti sociali dei media, Milano, Bompiani, 1992 (6) Gabriele Romagnoli A qualcuno piace Silvio, , Diario pag. 26, 30 marzo 2001, editoriale Diario S.r.l., Milano (7) Geraldina Roberti, docente Univ. Di Siena, Ritorno ai Powerfun media, Gli effetti a lungo termine, 2004-2005 (8) David L. Altheide, “Creare la realtà”, pag 18, Eri 1985 (9) ibidem (10) Gianni Statera, Introduzione a David L. Altheide, “Creare la realtà”, pag. 7, Eri 1985; (11) Mario Morcellini, “Elezioni di tv”, Costa & Nolan pag. 178, 1995; (12) Ivi, pag . 179; (13) Robert K.Merton, Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna 1959 (14) Mario Morcellini, Cit, pag 184;