Sulla nuova libertà delle donne a cui assistiamo non sono d’accordo con Laura Onofri e, almeno questa volta, devo dar ragione a Concita De Gregorio

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Sicuramente non sono state scelte dai vertici del partito (quei tre o quattro uomini che comandano, quando non si tratti di un padre padrone). Non hanno dovuto cedere a ricatti, passare da letti di capi partito, lavorare il doppio degli uomini compiendo in triplo salto mortale per dimostrare che sono brave. Sì, immagino che siano stremate per la campagna elettorale, così come sono stremati gli uomini del loro stesso movimento, e tutti gli altri candidati di qualsivoglia simbolo.

Sono state scelte – Chiara e Virginia – attraverso la piattaforma in rete che per quanto ancora imperfetta, è l’unico sistema che sfiora molto da vicino il meccanismo ineccepibile della democrazia. Non sono sorelle, né figlie, né amanti di pezzi grossi. La parentopoli elettorale le vede estranee. Non sono pronte a tutto pur di far carriera in politica, come igieniste dentali di non lontana memoria, o attrici scosciate dell’ultima ora.

Talvolta ho scritto di donne propaggine nelle mie analisi derivanti da un’esperienza quindicennale in politica. Ho sempre comunque difeso le donne pur dovendo prendere atto che ramificazioni del potere maschile hanno attecchito in grandissima quantità nel terreno fertile della politica-affare. Salvo alcune donne elette nei partiti di sinistra, o tra i radicali, che quanto a donne capilista sono stati all’avanguardia fin dagli anni settanta; oppure, onore al merito, in movimenti di destra come quelli in cui ha militato Giorgia Meloni durante lunghi anni di più che rispettabile gavetta.

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Al confronto degli esigui numeri di donne vincenti di cui possiamo raccontare la storia, sono elevate le cifre di donne che – in ogni partito – hanno lavorato duro nelle retrovie, con competenza, passione politica, capacità. Sono tanto numerose che dovrei scrivere un trattato per nominarle tutte. Io queste donne me le ricordo, le ho nel cuore, ed è per loro che oggi non sono d’accordo con Laura Onofri e devo dar ragione a Concita De Gregorio, che considera Chiara Appendino e Virginia Raggi realmente libere dal potere maschile e dunque indipendenti dai vertici del partito.

Penso che Laura Onofri compia uno sbaglio a non salutare con gioia questa novità, apprezzando il vento nuovo di libertà per le donne, che pur lievemente soffia. Sicuramente la Raggi e la Appendino non sono propaggini di uomini di potere cresciute a loro immagine e somiglianza. Credo che si possa onestamente dire lo stesso della Meloni che merita il suo successo, come di tante altre donne che vivono – pur essendo estremamente in gamba – nelle retroguardie dell’ inveterato potere politico di colore celeste che avanza da oltre mezzo secolo senza soluzione di continuità.

Tengo a chiarire che non sono attualmente iscritta a nessun partito, per cui le mie dichiarazioni sono assolutamente libere. Posso dire quel che mi piace senza apparire faziosa. Difendo le donne ma amo e rispetto gli uomini che svolgono attività politica con sincera motivazione. Per esempio non mi dispiacerebbe che vincesse Giachetti a Roma, per la sua storia, l’esperienza positiva in giunta romana, il suo passato da radicale (ricordate Montanelli quando scriveva che i radicali profumano di bucato?). Sarei però felicissima che vincesse Virginia Raggi. La prima donna sindaco di Roma, nel periodo in cui probabilmente vedremo eletta la prima presidente donna degli Stati Uniti d’America. Ci sono persone che nell’impervio percorso delle pari opportunità fungono da apripista, per segnare la strada alle altre ragazze che seguiranno. Credo che Virginia sia una di loro.

Wanda Montanelli,  9 giugno 2016