Tra la Polverini e la Bonino doveva essere un’elezione all’insegna del fair play rosa, ma i politici maldestri l’hanno inquinata in grigiastro, colore della sporcizia e della pressappocaggine

“Non solo non è vero, ma è vero il contrario!”. Questa frase Berlusconi l’ha pronunciata decine di volte per rafforzare il diniego su parole e concetti degli avversari politici. Tante volte da assumere quasi il senso di uno slogan che si aggiunge ai molti da lui coniati per averla vinta, almeno a parole, nella opinione finale dei suoi elettori-spettatori. Le altre sono dichiarazioni di pericolo sulla presenza dei comunisti, sulla malvagità dei giudici, sulla esistenza di una sinistra “sinistra”; sul rischio rappresentato da una fazione pronta a colpire gli individui “del fare” al solo scopo di “disfare”. Minaccia che deriva da una non meglio descritta setta mancina che ignava, invidiosa e rancorosa ha come unico scopo la guerra al Partito della libertà, e ultimamente “dell’Amore”. Pare impossibile disgiungere il consenso dato alla Popolo della libertà dalla partecipazione al film che ha costruito la carriera politica di Berlusconi; alla rappresentazione che egli ha potuto dare di sé con accuse, colpi di scena e motti reiterati che sono stati un segno indelebile della sua predominante esistenza. Sfido chiunque a dimostrare che non riesce a diventare leader politico di primo piano avendo a disposizione un congruo numero di televisioni, alcune testate giornalistiche, e ingenti mezzi economici. Anche Mister Bean potrebbe apparire intelligente e abile, se ben guidato, avendo tali mezzi a disposizione. Pensiamo quindi che risultati può ottenere chi intelligente lo è davvero. Credo che a parte tutto il Premier si diverta come un matto da quando è entrato i politica. Lavora moltissimo, è vero. Dorme poco ed ha un sacco di pensieri, però sono convinta che non cambierebbe il suo status per tutto l’oro del mondo. Qualcuno direbbe “Già ce l’ha”, ma io intendo tutto l’oro dell’era dell’oro. E lui avrebbe potuto averlo se fosse stato un altro. Ma se la spassa così e gli basta. Un giorno spero possa scrivere e raccontare a noi curiosi come si è divertito, e darci la possibilità di conoscere la parte non ufficiale del Silvio Nazionale, quella in cui in privato si congratula con se stesso per averla data a bere a tanti, per aver convinto i refrattari, plagiato i fiacchi, cambiato il corso della storia, tutto da solo. Perché una cosa è vera. Il mattatore è lui e gli altri, salvo alcuni che mostrano estemporanei soprassalti di autonomia, sono solo comparse che se anche si sostituissero improvvisamente nessuno se ne accorgerebbe. E’ lui il primo attore e il regista, nonché il commediografo dell’opera teatrale talvolta tragica, spesso comica che abbiamo il lusso di vedere apparentemente gratis. Speriamo questo lusso non ci venga addebitato con gli interessi troppo alti alla resa dei conti. La sceneggiatura berlusconiana è efficace per chi non vuol altro che sentire le cose che dice. In fondo c’è gente che non vuol altro che essere rassicurata e lui è bravissimo in questo. In più è familiare. Una figura che entra in casa di tutte le famiglie ogni giorno è come un parente che si è a abituati a vedere spesso. Accadeva lo stesso con personaggi televisivi onnipresenti come Mike Bongiorno con i quali si creava un’affettività tale da sembrare impossibile a taluni di non essere corrisposti e riconosciuti quando lo incontravano. Mi pare che si diverta anche perché la sceneggiatura del Premier non ha nulla da invidiare quanto a spasso alle stravaganti elucubrazioni di Pirandello in Così è se vi pare, o nel Berretto a sonagli, dove chi ha ragione o perde il dritto di averla strada facendo, o risulta pazzo. Nella sua attitudine a rimettere in discussione il torto e la ragione tra protagonisti c’è la volontà incontenibile di vincere sempre ad ogni costo. Ed esiste un unico punto di vista. Il suo. C’è da gustare, nell’aspetto spettacolare, la visione dei vorticosi giri che la frittata berlusconiana compie prima di ricadere ribaltata nel piatto. Un po’ teatro drammatico, un po’ prestidigitazione, un po’ finzione acrobatica. Alla fine la rappresentazione dà i suoi frutti al popolo televisivo che non aspetta che di mangiarne. Così per spiegare che il Pdl ha ragione anche in questa confusa ricostruzione intorno alle liste per le regionali nel Lazio nega che vi sia stata una lotta al coltello fino all’ultimo sui nomi da inserire in lista, non ammette l’errore di un proprio dirigente, come non rivela chi sono i “pesci grossi” (“io sono un pesce piccolo” ha detto Alfredo Milioni, presidente del XIX Municipio di Roma quando ha capito che la scusa del panino non reggeva) che hanno imposto le sbianchettature e le modifiche in chiusura di liste. Irregolarità che anche altri partiti fanno, ma che nessuno avrebbe la sfrontatezza di presentare, una volta colto il flagrante, come colpe altrui. Invece secondo il premier la colpa è sempre degli altri. Sicuramente di chi ha ben interpretato l’art 122 della Costituzione in tema di disciplina sulle elezioni regionali. Certamente degli invidiosi sinistri “di sinistra” che hanno nostalgia di dittature prive di consultazioni elettorali. Dei giudici del Tar che hanno quadri del “Che” alle pareti. Soprattutto dei radicali che hanno fatto una gazzarra e si sono macchiati del reato di essere al posto giusto al momento giusto per osservare qualcosa di anomalo che stava avvenendo. Insomma la colpa è di tutti meno che di se stessi. Senza un minimo di autocritica verso il pressapochismo dei propri dirigenti di partito, o del fatto lampante, compreso anche dagli stessi elettori del PdL, che un partito serio dovrebbe avere con congruo anticipo i nomi di politici attendibili e di valore iscritti per la competizione elettorale. E nello specifico una regione così importante come il Lazio dovrebbe mettere in corsa persone con un loro background valutato in corso di approfondite riunioni. Il che non dovrebbe lasciar spazio a improvvisatori e avventurieri inseriti in lista all’ultimo minuto. Ma almeno la lista della candidata presidente è stata riammessa. L’onesta Polverini a mio parere non sarebbe male se fosse forte al punto tale da condurre la regione senza il fardello dell’entourage che la promuove. La sua azione in difesa dei diritti delle donne, le idee su quelli dei lavoratori, il suo operato non credo siano poca cosa per chi deve scegliere e votare. Tuttavia abbiamo in gioco realtà oggettive che presumono un’attenta valutazione. Il nucleare per esempio che Berlusconi intende appiopparci nella forma costosa inquinante e vecchia che servirà a far danno a noi e tanto favore a Sarkozy per sbolognarci le sue attrezzature. Credo che per lei, pur candidata della Popolo della libertà, ci sarà poca libertà. Per cui si voterà Bonino. Per quel pizzico di sana follia che c’è nei radicali che gli impedisce di mettersi sull’attenti nell’accettare le imposizione altrui. Quella singolarità che li fa guardare diritto dentro il cuore dei problemi per tentare di risolverli in modo pragmatico senza dare nulla per scontato. Quella follia che li riporta in gioco e nel farlo rimette in discussione tutti, chiunque essi siano. Non approvo proprio tutto delle tante iniziative radicali, ma adesso per dare un’impostazione nuova alla conduzione della cosa pubblica, per scongiurare il pericolo del nucleare, per dare un taglio ad abusi e usi avvezzi allo spreco, e infine per dimenticare la stagione Marrazzo, credo sia bene scegliere Emma Bonino. Ognuno nella sua preferenza di partito, ma radicali perché no. Non foss’altro per la trasparenza con cui pubblicano tutte le loro spese e i loro guadagni sul sito radicali.it. Non fosse che per una certa nostalgia di politici di spessore e di razza. Meglio se donne. Roma 12 marzo 2010 Wanda Montanelli