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Apr
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Misurata, 4 aprile 2011
“Il barcone che abbiamo preso con mio padre e mia madre ci costa i risparmi di una vita. Non quella trascorsa, ma quella futura. Pagheremo i Dallai con il lavoro che faremo in Italia o in Francia o in Germania. Siamo partiti in fretta e furia e solo la mattina avevamo mangiato il Biriyani. Siamo usciti però dalle baracche di Dhaka molti giorni fa, camminando per un po’ vicino al canale e poi verso il porto di imbarco con mezzi di fortuna. L’organizzazione ci ha avvertiti che si poteva partire. Dopo molte settimane di attesa era arrivato finalmente il nostro giorno. Abbiamo dormito sulla stuoia sulla spiaggia per aspettare la notte dell’imbarco. L’amica della mia mamma ci aveva dato un dolce e un pane per il viaggio. Lo abbiamo mangiato. Mio padre ha detto: “Shimul hai portato le scarpe?” e io gli ho detto che sì, le scarpe nuove che mi hanno regalato i parenti il giorno del mio compleanno le ho nella mia sacca, vicino al la fionda che ho fatto con un ramo d’albero.
Io ho sette anni e gli altri bambini che stanno nella barca sono di varie età, ma non parliamo la stessa lingua. Il mare è mosso, ma il sogno è bello e non mette paura. In Bangladesh il sogno è di tanti miei amici che sono rimasti. Il mio l’ho quasi raggiunto. Presto arriveremo a Lampedusa, isola italiana, terra di conquista del diritto alla vita…”.
Lampedusa 6 aprile 2011
Le agenzie di comunicazione battono la notizia del naufragio di molti dei migranti: “Un barcone con a bordo almeno 200 migranti si è ribaltato questa notte a 40 miglia a sud dell’isola di Lampedusa, in acque maltesi, e decine di cadaveri sono state avvistate in mare questa mattina, compresi quelli di alcuni bambini sopravvissuti, migranti provenienti da Somalia, Nigeria, Bangladesh, Costa d’Avorio, Chad e Sudan, hanno detto che quando i soccorsi sono arrivati sul posto il barcone stava già affondando, riferisce l’Oim, aggiungendo che tra i passeggeri a bordo c’erano circa 40 donne e 5 bambini. Solo due donne sarebbero sopravvissute. “I sopravvissuti sono tutti in stato di shock” (…) Agenzia Reuters
Cosa gli abbiamo fatto credere? Che in Italia c’è la felicità?
Il breve racconto di Shimul è immaginario. Ma la storia drammaticamente vera. E’ il risultato della globalizzazione. Questa espansione degli orizzonti dal volto disumano che mostra la civiltà occidentale come un miraggio da raggiungere e delude presto per le contraddizioni che esprime. Secondo molti il processo di globalizzazione è solo l’estrema evoluzione del fenomeno di colonizzazione iniziato con la scoperta dell’America. Solo che per acquisire i nuovi schiavi non occorrono investimenti in navi e negrieri. Gli uomini partono da sé e si indebitano per raggiungere posti in cui lavorare a qualsiasi costo e prezzo. Tutto è meglio della fame e della paura. Le immagini divulgate dei mass media con modelli di società in cui tutto è bello sono invitanti. Si tratta di luoghi dove i gatti e i cani hanno menù gourmet, e l’unico problema per gli umani è quello di non ingrassare. Come uno spot di promozione e vendita il prodotto “qualità della vita in occidente” affascina popolazioni che emigrano verso di noi. Sono oltre venti anni che si parla e si scrive di re-distribuire meglio ricchezza e opportunità. Poco o nulla si è fatto per aiutare in modo produttivo e concreto la crescita economica dei paesi poveri. Ma quando li si aiuta lo si fa spesso in terre con ricchezze minerarie in cui il sospetto obiettivo è un tornaconto, invece che l’umanità.
In questi giorni di umanità se ne vede ben poca. La strana modalità operativa di questo periodo emergenziale è che l’Europa sembra lavarsi le mani del genere umano in trasmigrazione.Stupisce soprattutto l’ incoerenza della Francia spintasi avanti per l’intervento in Libia che oggi non ammette che attraverso il permesso di soggiorno temporaneo gli immigrati possano entrare in zona Schengen. Quindi anche da loro.
Secondo l’accordo per la prima volta firmato il 14 giugno 1985 si è deliberata l’introduzione di un regime di libera circolazione per i cittadini degli Stati sottoscrittori. Nel 1995 l’accordo è divenuto “Convenzione di Schengen” tra Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, e successivamente si è ancora perfezionata in “ l’Acquis di Schengen”. Ad oggi accettato anche da Spagna, Portogallo, Grecia , Austria, Finlandia, Svezia Danimarca. Mentre l’Irlanda, il Regno Unito, l’Islanda e la Norvegia hanno dato solo una adesione parziale.
Ora però tanti stati membri non intendono far passare i migranti con il permesso di soggiorno italiano. La domanda che viene spontanea è: questa Europa esprime decisionismo solo quando il problema riguarda l’imbustamento obbligatorio delle mozzarelle o il pensionamento delle donne a 65 anni? Perché adesso non ha la stessa risolutezza per obbligare gli stati in convenzione Schengen a fare il loro dovere e caricarsi del problema umanitario, che non deriva da un capriccio, ma da un nord Africa in subbuglio? Come possono ritenere che solo l’Italia abbia il dovere umano politico e istituzionale di porre rimedio ad un problema così difficile?
Ma lezioni di umanità possiamo dargliene. Salvo qualche rozzo personaggio come il barista di Roma che ha messo un cartello “Vietato l’ingresso agli animali e agli immigrati”. E’ uno solo, spero il più imbecille d’Italia, e conviene sdrammatizzare come Benigni ne “La vita è bella” quando spiega al figlio che ognuno è nella facoltà di scegliere il cartello che vuole. “A te cosa non piace? “ I ragni” risponde il bambino. “Allora mettiamo, nella nostra libreria, il cartello “Vietato l’ingresso ai ragni ed a visigoti”.
Lezioni di stile e generosità italiana. Checché se ne dica siamo sempre i primi ad accogliere chi ha bisogno. E’ vero che la geografia mette la nostra penisola sdraiata in mare come una generosa madre pronta a consolare naufraghi e naviganti, e il nostro dovere lo abbiamo sempre fatto. I buzzurri bisogna educarli.
Una capatina a Napoli la consiglierei al barista ignorante, dove nei bar non solo entrano tutti, ma per chi non ha mezzi economici c’è pronto un caffè pagato dai più abbienti. Poca cosa è vero, per chi è povero, ma un gesto di accoglienza così aumenta il significato sociale di eguaglianza.
Il racconto di Shimul, pensato per essere più vicino a chi parte, ha una storia, dei sogni, una vita che si mette in gioco, perché l’uomo non può fare a meno di provare a migliorare la propria esistenza, anche mettendo in conto che per vivere si debba rischiare di morire.
Wanda Montanelli, 10 aprile 2011