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SALTI DELLA QUAGLIA IN IDV

Scilipoti e Razzi… e sono dieci! Ma come fa Di Pietro a scegliere i parlamentari fuggiaschi?

Ha un’abilità speciale. Li sceglie in prossimità delle elezioni. In genere lanciando una sorta di Opa (Offerta pubblica di acquisto). Ve ne sono diverse, pubblicate sulle più note agenzie di stampa. Lo dice apertamente e se ne vanta. Anni fa, nel corso di una riunione dell’Esecutivo nazionale a cui presi parte, invitai Tonino ad affidarsi a persone sicure, a chi nel movimento si era speso per molti anni dando prova di affidabilità, concretezza, idealità. Gli dissi che erano tanti, donne e uomini, a costituire il tessuto connettivo del partito del quale fidarsi. La questione all’ordine del giorno (era il luglio del 2006 in via dei Prefetti a Roma) riguardava l’opportunità di entrare nel gruppo dei Democratici. Gli ricordai l’amara esperienza dei Democratici dell’Asinello e aggiunsi che si può andare ovunque avendo una rete di persone su cui contare. Donne e uomini che a contatto con altri in coalizione potevano creare sinergie e tener sempre presente quali sono le fondamenta di costruzione di un movimento. Le basi su cui si poggia tutta la struttura partitica i principi statutari e il programma. Lui rispose che non era un problema, che non gli interessava nulla di tutta questa gente del partito e che non aveva bisogno di loro. Questi si aspettano addirittura di essere candidati! Mentre un po’ prima delle elezioni ci sono folle pronte a saltare sul carro elettorale Idv. Altra gente, diversa da chi conosce da tanti anni, aspiranti concorrenti che apportano linfa nuova. Mi pare che più che linfa si siano incassati tanti problemi e fregature. Ma Di Pietro è affascinato dalle novità. Persone le più diverse, e quale sia l’elemento principale del loro appeal non è dato sapere. A parte alcuni casi di personaggi popolari come Franca Rame o Pietro Mennea e pochi altri, sono capitati in Idv stanchi riciclati di altri partiti, millantatori di consensi mai dimostrati, azzeccagarbugli, traffichini, e incolti maneggioni. Brutti e rozzi non in maniera occulta. Evidenti al primo sguardo, perché se osserviamo le facce di alcuni di loro davvero non si capisce come Di Pietro si sia fidato ad accoglierli e non abbia sussultato per la paura al nel vederseli davanti. Invece ha steso tappeti rossi e li ha fatti eleggere. I parlamentari raccogliticci che l’Idv si è ritrovata nel tempo sono fuggiti poi verso il miglior offerente privando il Movimento di tanti bravi attivisti respinti nelle retrovie. Restati in ombra. Tutti quelli che per anni hanno speso tempo e ingegno a far crescere l’Idv e che Di Pietro non ha preso in alcuna considerazione. Un maltrattamento che sono in tanti ad aver subito, specialmente le donne, che una per una ho conosciuto nelle loro prerogative quando ero a capo del Dipartimento Pari Opportunità, lavorando all’emersione e al riconoscimento dei diritti di cittadinanza di attiviste e dirigenti con elevate qualità umane e politiche. In alcuni leader si identifica talvolta una sorta di sindrome di Laio che distrugge i figli migliori, proprio perché li riconosce in quanto migliori e li teme. E’ una teoria di cui parlava Donnici con alcuni di noi per tentare di capire certi meccanismi mentali di respingimento dei più valenti in Idv. Accade nei partiti, nelle società, nei posti dove quotidianamente si misura il talento. Beniamino da neuropsichiatra approfondisce i motivi di ciò che a noi sembravano inspiegabili contorsioni mentali. Più semplicemente dalla mia esperienza posso tentare di capire perché Di Pietro ha avuto un fare sprezzante con la componente femminile del suo partito. Andando a ritroso nel tempo è un fatto documentato che ha voluto eleggere oltre il 90 per cento di parlamentari maschi e ha tenuto all’angolo le donne che pur preparate e capaci non si sono risparmiate nella costruzione della casa comune, ed hanno dimostrato di non essere inferiori in attitudine, passione e impegno politico. Nel primo anno la scelta era di 21 uomini eletti contro un’unica parlamentare alla Camera dei Deputati. Tutte le altre le ha respinte con sprezzo e fastidio, nonostante i brillanti curricola. Mi chiedo quanti dei parlamentari fatti eleggere da Di Pietro abbiano redatto lo Statuto, quanti scritto il programma dell’Unione per l’Idv, quanti creato una rete di donne e incentivato circoli andando sin dal 1998 in giro per l’Italia in treno o in camper; quanti fondato il primo organo di stampa, gli uffici comunicazione, i circoli per l’Ulivo in rappresentanza di Idv, i primi dipartimenti. Quanti abbiano ideato sportelli e accoglienza per la cittadinanza, progetti comunitari, manifestazioni contro la violenza. Uno dei consueti progetti lo presentai in occasione, della riunione in sede nazionale già citata. Era una serie di eventi da fare nel 2007, anno europeo per le Pari Opportunità, con i fondi previsti dall’art. 3 della legge 157/99, previsti e dati al partito “Per la partecipazione attiva delle donne alla politica”… Lui, Di Pietro, disse che si trattava di un progetto bellissimo, che però non avrei dovuto svolgere io, ma qualcun’altra che ancora non sapeva chi sarebbe stata. Rammento che Franca Rame sconcertata prese le mie difese pur non conoscendomi, e che in molti si mostrarono dispiaciuti per la sua scortese risposta. Alberico Giostra, il giornalista autore de “Il Tribuno” spiega, nella prefazione del suo libro, che Di Pietro e Berlusconi sono due facce della stessa medaglia. Sono padroni dei partiti che hanno fondato ed hanno una serie di curiose rassomiglianze che invito ad approfondire nella lettura del corposo manoscritto edito da Castelvecchi. Per la mia esperienza posso sicuramente confermare che nel rapporto “donne e politica” le somiglianze ci sono eccome. Tutti e due, salvo poche eccezioni, non fanno avanzare di un passo donne che non siano loro propaggini. Diramazioni cioè di se stessi. Donne di cui fidarsi per l’esclusività del legame e il condizionamento che le lega al proprio volere di “presidenti padroni”. Sono questi gli uomini che con la loro visione machista del mondo impediscono quel camminare insieme che è il primo fattore di crescita della democrazia. Ma un’analisi profonda di questa nostra asfittica democrazia bisognerà farla per bene. Ieri sera Rosy Bindi ha spiegato, battendosi energicamente in tv a Ballarò, la defaillance culturale che stiamo subendo. Coltivati in un clima privo di sani principi registriamo il proliferare di eventi negativi come la compravendita di voti in parlamento. Nemmeno più nascosta ma alla luce del sole. Che possiamo aspettarci di altro? Per cambiare occorre prima capire dove si è sbagliato. Intanto non si può che constatare che chi semina senza aver cura del terreno raccoglie turzi. 15 dicembre 2010, Wanda Montanelli

E VOI BALLATE…

Il mondo va a picco come il Titanic, ma gli storditi dal benessere si illudono davvero che esistano le caste protette ad oltranza Il profumo dei soldi ottenebra anche le menti più acute e all’interno dell’area di sperpero di beni e servizi utilizzati nella vita agiata non si pensa al mondo che c’è là fuori. Mi viene in ricordo il Titanic e tutti i ricconi che mai avrebbero immaginato che l’isola viaggiante derivata dal super progetto di William Pirrie e Thomas Andrews avesse potuto inabissarsi. Il Titanic era considerata una nave assolutamente sicura, al punto che fu detto che “neppure Dio avrebbe potuto affondarla”… Aveva una stazza di 46.328 tonnellate e poteva trasportare 3537 persone. A bordo il lusso era la parola d’ordine, gli alloggi sfarzosi dotati di soggiorno con sala di lettura, palestra; e per il tempo libero piscina coperta, bagno turco, campo di squash. Adesso, in questo ottuso ignorare le tempeste che agitano i mari su cui poggia l’ordine mondiale, che fanno i ricchi? Come sul Titanic continuano a ballare, pensando erroneamente che loro non saranno travolti dai flutti dell’oceano di povertà e sofferenza in cui sta annegando tanta gente. Uso l’aggettivo “ricchi”, perché finalmente si può tornare a parlare di ceti sociali senza timore di apparire ancorati al passato, al tempo in cui esistevano i poveri che si distinguevano in maniera chiara ed evidente dai ricchi. Pensavamo ormai superato quel tempo per dei passaggi che hanno portato via via all’uniformazione epidermica, puramente ingannevole nella sostanza, dato che la conquista paritaria di benessere sociale mai si è completata. Dal dopoguerra in poi in Europa si era cambiato modo di vestire e talvolta di vivere. In Francia gli operai avevano iniziato ad andare in giro con la chemise Lacoste mentre in Italia avveniva quell’omologazione dovuta all’avvento della cultura di massa spiegata da un interessante punto di vista di Pier Paolo Pasolini alla fine degli anni ’60. Secondo Pasolini il livellamento culturale riguardava tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale si uniformava attraverso lo strumento televisivo, visto che il Potere voleva (come vuole) che si parli e si agisca in un dato modo. Non c’è parola che un operaio pronunzi in un intervento – scriveva Pasolini – che non sia “voluta” dall’alto. Ciò che resta originario nell’operaio è ciò che non è verbale: per esempio la sua fisicità, la sua voce, il suo corpo; pertanto unificare i linguaggi alla media televisiva significa controllarli all’interno di un unico mondo-lingua, fatto di espressioni e slang comuni modellanti una nuova coscienza di classe “televisiva”, una super-classe che abbatte le classi tradizionali in un superamento delle differenze, tuttavia fittizio e virtuale. Se un tempo l’operaio vestiva con la tuta e si esprimeva con un suo linguaggio, oggi che questa differenza si è persa risulta perdente anche la forza di classe. Per i salariati il vestito conformante è una conquista falsa e mai come in questo caso si può dire che “l’abito non fa il monaco”, perché il tutto è dovuto al medium di massa incontenibile e tracotante, che forgia, omogeneizza, appiana le differenze sia linguistiche che comportamentali, sia intellettuali che di classe. Secondo Pasolini non c’è niente di più feroce della banalissima televisione La mediazione che diventa un Tutto e tutto canalizza in direttive comportamentali che si innestano nell’uomo mutandolo e ammansendolo. La distinzione tra ricchi e poveri, non è qui indicata per incoraggiare un’avversione di classe ma per capire. Secondo il rapporto Eurispes 2009 gli italiani che possono contare su un capitale superiore ad un milione passano nel giro di tre anni a un incremento del 98%, e nel 2010 saranno 712 i paperoni storditi dall’opulenza e come sul Titanic frastornati al suono dei violini. Da noi come altrove le categorie dei marpioni a qualunque titolo e ruolo in quanto referenti dell’attuale disordine mondiale vivono la distrazione musicale e ballando ignorano gli richiami all’ordine. Parimenti sull’inaffondabile transatlantico fin troppi furono i messaggi ignorati. Era, ricordiamo, il 14 aprile 1912, e alle 13.30 la nave a vapore Baltic avvisò il capitano del Titanic che a 400Km di distanza dalla loro rotta era presente del ghiaccio. Il messaggio fu preso sottogamba. Alle 13.45 arrivò un secondo comunicato da parte del batiscafo Amerika, ma non giunse mai al ponte di comando. Un terzo avvertimento da parte del Californian che sostava bloccato tra i ghiacci segnalava la presenza di grossi pezzi di ghiaccio nella rotta del Titanic, però l’operatore radio del Californian fu zittito perché in quel momento il marconista del Titanic, stava inviando i messaggi personali dei passeggeri. Alle 23.40 le vedette avvistarono un iceberg praticamente davanti alla nave e il resto lo sapete. Qui mi viene in mente l’arguto aneddoto che raccontava Nino Manfredi sul canotto inviato tre volte dal santo protettore al suo protetto che era così convinto di essere unto dal Signore da pretendere di passare al guado le acque alte di un torrente. Tanto erroneamente convinto da soccombere e poi deplorare il mancato soccorso una volta giunto in Paradiso. I tre canotti in aiuto non erano stati presi in considerazione, né era stata avvertita l’imminenza del pericolo. Forse la sopravvalutazione di sé implica anche il diritto di scelta del come salvarsi? Non è così, occorre stare attenti anche quando i problemi sono fuori dall’immediata circostanza, ed è curioso constatare, tornando al Titanic, come “i messaggi personali dei passeggeri” contavano più di ogni altra cosa. L’errore di poter credere di aver acquistato con i soldi l’incolumità, e quindi l’intangibilità del proprio benessere dalle incidenze esterne, in quel caso l’iceberg, è stato fatale.. Ma noi abbiamo ancora qualche speranza. Wanda Montanelli ( to be continued…)