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La compromessa vicenda degli intrecci finanziari d’assalto

. (2. E voi ballate) Rovigo il 13 marzo 2009, all’assemblea degli Industriali si è sentito il grido d’allarme della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che ha ammonito: “La crisi è profonda e pesante. Il vero problema è che la crisi oggi colpisce soprattutto l’industria manifatturiera, colpisce soprattutto il Nord e le imprese migliori, quelle che hanno investito di più, quelle che esportano e che oggi si trovano con fatturati tagliati del 30, 40 e 50% “. La numero uno della Confindustria dichiara con l’occasione di non condividere alcune decisioni governative, come quella per il Ponte sullo Stretto, poiché si devono invece destinare più soldi per completare tutte le piccole opere che potrebbero partire subito. Bersani l’esponente del Pd rinforza da par sua le reiterate richieste di Franceschini sull’assegno ai disoccupati e su una manovra che garantisca un rientro di somme da impiegare anche per le piccole imprese, attraverso misure efficaci come il contrasto all’evasione fiscale e il controllo di alcuni meccanismi di spesa pubblica. Il deciso intervento in Veneto di Emma Marcegaglia chiede poche cose al Governo, molto chiare, per uscire da questa crisi. “Certe cose – ha detto – non possono più essere accettate in un Paese diviso a metà: da una parte chi lavora e affronta la crisi e dall’altra chi vive di spesa improduttiva”. Nella sua analisi del difficile momento economico, ha insistito sulla necessità che le banche facciano la loro parte e che sul controllo, oltre alla vigilanza dei Prefetti, ci sia un ”ruolo attivo anche del mondo imprenditoriale” Giusto. I controlli. Da noi, e dovunque il problema è tra i più dibattuti. Ad alcuni mesi dal default di Lehman Brothers, il mondo è impantanato in una palude economica. Di fronte alla massa di denaro pubblico che i governi devono impegnare per salvare le banche, negli Usa, in Germania e in Gran Bretagna si cercano cambiamenti nei controlli. Gli Usa hanno attaccato il segreto bancario svizzero, in un braccio di ferro con il colosso Ubs. In Europa ugualmente ci si attrezza e Dominique Strass Kahn direttore del Fmi intende affrontare la questione a colpi di dinamite. I paradisi fiscali in cui le banche, anche italiane, hanno società sono: Cayman, Bermuda, Nauru, Panama. Poi vi sono società partecipate in Lussemburgo, Montecarlo, Svizzera. Difendersi dai raggiri è una nuova consapevolezza da acquisire per i risparmiatori. Dopo la mela avvelenata dei mutui immobiliari sub-prime che ha provocato disastri da far crollare le economie americana, europea e asiatica, hanno stabilito record negativi i raggiri di diversi avventurieri della finanza, tra cui Bernard Madoff, accusato di aver ha derubato almeno tre milioni di persone per circa 50 miliardi di dollari, l’imprenditore nipponico Kazutsugi Nami, arrestato a Tokyo con l’accusa di aver truffato 37mila persone per 126 miliardi, il finanziere texano Robert Allen Stanford, che si ritiene abbia messo in piedi un imbroglio da otto miliardi di dollari promettendo ai clienti rendimenti annui del 10 per cento; come pure Charles Ponzi e Richard S. Piccoli che sono riusciti a truffare negli States cittadini e piccoli risparmiatori con una sorta di catena di Sant’Antonio a largo raggio. I liberal americani da Thurow a Krugman hanno denunciato la deregolamentazione selvaggia nella finanza e puntato l’indice verso le responsabilità della Federal Reserve e nelle norme di Bretton Woods (dalla conferenza nell’omonima cittadina New Hampshire da cui derivarono nel 1944 nuovi accordi in campo monetario). In Italia la legge tutela i risparmiatori e le banche possono essere condannate al risarcimento tramite sentenza. E’ da esempio il giudizio sull’anatocismo, cioè gli interessi sugli interessi illegali, vinto in Cassazione dall’avvocato Roberto Vassalle di Mantova, uno dei legali più noti in Italia che in Tribunale ha avuto ragione anche sul rimborso dei Bond argentini. Ci si chiede quanto pesa l’origine sociale e la diffusione del precariato nella crisi finanziaria. Emiliano Brancaccio, docente di Macroeconomia presso l’Università del Sannio e membro della consulta economica della FIOM conferma che il punto per individuare le radici della crisi si trova rievocando il conflitto tra capitale e lavoro. “La crisi in corso – afferma il prof. Brancaccio – può esser letta come un riflesso della pressoché totale assenza di quel conflitto a livello globale. Tutto parte da una constatazione: la debolezza del movimento dei lavoratori ha fatto sì che venisse creato un mondo di bassi salari. Questo mondo però è strutturalmente instabile, e adesso iniziamo a rendercene conto. Ogni paese oggi punta a tenere bassi i salari e la domanda interna, e cerca quindi all’esterno dei propri confini uno sbocco per le proprie merci. Questo meccanismo nel corso dell’ultimo decennio ha funzionato grazie al fatto che gli Stati Uniti hanno agito da “spugna assorbente” delle eccedenze produttive di tutti gli altri paesi. Tuttavia, questa “spugna” funzionava non certo perché i salari dei lavoratori americani fossero alti, ma perché negli USA montava un debito privato colossale, in grado di finanziare qualsiasi eccedenza di spesa rispetto ai redditi. […] Il sistema era ormai talmente drogato che permetteva a un operaio di pagare i debiti di un mutuo accendendo un nuovo prestito, e di rimborsare i soli interessi del prestito attivando una carta di credito, e così via. Insomma, parafrasando un grande economista, Hyman Minsky, potremmo parlare di “ultra-speculative working poors”, cioè di poveri tramutati loro malgrado in ultra-speculatori”. Un così fragile castello di carta era una bomba ad orologeria che alla fine è scoppiata, ma il problema è che a pagarne le conseguenze potrebbero essere ancora una volta i lavoratori, mentre i padroni di Wall Street, che hanno fabbricato quella bomba, potrebbero addirittura guadagnarci. E l’ironia delle conseguenze sta proprio nel fatto che i fautori del liberismo a tutti i costi rientrano dalle loro perdite o ci guadagnano grazie all’intervento dello Stato. Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, è convinto che ci sia il rischio reale per gli Usa di entrare in una “malattia giapponese”, una recessione “lunga un decennio” come quella che ha colpito il Giappone negli anni Novanta ed a tal proposito ha dichiarato che I il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, è stato eccessivamente ottimista a dire che nell’arco di tre anni l’economia degli Stati Uniti uscirà dalla crisi. Bernanke spiega che il piano di capitalizzazione degli istituti prevede che il Tesoro acquisti azioni privilegiate a seconda delle necessita’ nelle 19 maggiori banche del paese dopo averle sottoposte a uno ‘stress test’ con il quale determinare quanto capitale sarebbe necessario per far fronte alle perdite nello scenario peggiore. “Non ci sarà alcuna implicazione di controllo fino a quando le perdite previste nel caso peggiore si verifichino” Wanda Montanelli ( to be continued…)

Differentemente SOCIALE

Nonostante le caste anche musicali, c’è un piccolo segnale di cambiamento nel festival di Sanremo 2009 e altrove Signorina grandi firme a imitazione della moda anni 30 ma in contrasto con l’aria di imbarazzo, gli occhiali e labbra rosse come due papaveri incollati sul viso. Arisa ha vinto e ci siamo accorti che sarebbe successo quando nello straordinario duetto con Lelio Luttazzi il maestro ottantaseienne, in un’irresistibile alchimia di ritmo e sonorità swing, l’aveva accompagnata la sera prima al pianoforte, divertendosi e moltiplicando il nostro divertimento. Tra la politica in disamina di sé, il Pd che ripara il colpo degli ultimi risultati elettorali, gli accordi in itinere dei partiti extraparlamentari per trovare una piattaforma comune per le europee. Tra le notizie sulla violenza e le annunciate prese di posizione dei sindacati in quest’Italia in crisi, che non fa torto al resto del modo, osservare il Festival di Sanremo può essere un sano esercizio per misurare il grado di maturazione della nostra democrazia; in un particolare aspetto, forse anche futile, ma che è lo specchio di come ci si muove negli ambiti del guadagno e del prestigio per trovare sentieri liberi e percorribili o riscontrare consuete chiusure come avviene in circuiti più diversi. Come quelli politici, delle professioni, delle istituzioni, e dovunque esistano mira di conquiste appetibili ai giovani. Vediamo alla lente di ingrandimento una tra le protagoniste delle nuove proposte cercando di capire perché una impacciata ragazza ha vinto il festival di Sanremo, e osservandola schiudiamo uno spaccato sociale forse degno di attenzione. Vestita di nero, con la spallina calata giù, i capelli corti, gli abiti come le ‘signorine’ di Boccassile nelle Grandi firme pubblicate da Pitigrilli, in uno stile anni 30-40 già riproposto dal trio ‘sorelle Pappini’, nato nel 2004 con icona identica nell’abito scuro e il trucco acceso. Arisa, nome ben scelto al posto dell’originale Rosalba Pippa è timida senza infingimenti, e Paolo Bonolis ne ha esasperato la delizia comica osservandola come specie rara da proteggere, tra il sornione e il tenero-protettivo; convalidandone, in aggiunta al dixieland degli accordi musicali, il successo. Bisogna anche dire che la canzone “Serenità” è incantevole, e con la direzione d’orchestra di Federica Fornabaio ci ha concesso di poter intonare un ritornello tutti, vincitori e vinti, nell’esibizione finale e commossa di Arisa. Le note positive di questo Sanremo 2009 sono presto dette, nonostante la bufala iniziale di Mina che si è solo intravista in un video sapientemente costruito che accompagnava il suo lancio discografico. Non ci siamo rimasti troppo male perché lo sapevamo e adesso, fingendo di crederci, siamo pronti a firmare di aver visto Mina a Sanremo, per essere volenterosi e premianti nello sforzo costruttivo del direttore artistico che una volta tanto dopo decenni non ci ha annoiato. Il disincanto, la vena comica dissacratoria, l’assenza di formalità del conduttore hanno aiutato la gradevolezza così come il senso del ritmo e dei tempi dello spettacolo. Superato anche il fatto che non ci ricordiamo nessuna delle canzoni in gara, o quasi, tranne personalmente quella già citata di Arisa e la sofisticata e intelligente “Il bosco delle Fragole” di Tricarico, eliminata come sempre avviene per le migliori, il cui refrain irresistibile tornerà ad allietarci riconquistando i refrattari della prima ora, è chiaro il successo nelle cifre d’ascolto. Allora che cos’è il filo che ci ha tenuti collegati a Raiuno se non il segnale di un piccolo cambiamento del rendere parzialmente accessibile ciò che un tempo era un luogo solo aperto alle discografiche con mezzi di ingresso che ben conosciamo in termini di tariffe e/o scambi in partecipazioni di artisti: un giovane sconosciuto in cambio di un big, così ci si accordava. Oppure con una vera e propria tangente di entrata, un’altra di percorrenza, e il botto conclusivo per chi voleva investire nella vittoria finale. Sì anche questa volta la presenza di Maria De Filippi ha di certo dato un valore all’esibizione del vincitore Marco Carta che dalla sua scuola di cantanti televisivi proviene. Ma non è la stessa cosa. E’una sponsorizzazione lecita. Lo hanno votato in tanti non diciamo di no, e il terreno di coltura in cui in questi anni sono cresciuti i ragazzi che quel programma seguono, ha prodotto semini che si traducono in milioni di messaggi SMS di voto. Niente di male è una forma di scelta popolare anche questa. Tuttavia il piano della ricchezza dell’offerta formativa dovrebbe prevedere un’alternativa al programma della De Filippi, qualcosa di culturalmente diverso per i giovani, anche più arduo, ma impostato su altre basi oltre all’esercizio della vocalità e del comportamento estetico. Mario Luzzatto Fegiz su Corsera ha definito la canzone vincente il trionfo della banalità. Ma chi in questo mare naviga questi pesci piglia. L’assuefazione al gusto elevato deve avvenire con il mezzo di usufruizione più comune che è la tv, oltre alla scuola e alla famiglia che sono le altre agenzie preposte a trasmettere principi e sapere. Se invece ogni giorno si trasmettono fiere delle banalità, ecco che il bisogno di entusiasmarsi dell’audience si indirizza alla semplicicità mediocre che è qualcosa di diverso dalla semplicità raffinata e suggestiva. Tuttavia Amici è un modo legittimo di aprire nuovi percorsi, come SanremoLab, il concorso promosso dal Comune di Sanremo da cui proviene anche Arisa dopo aver frequentato il C.e.t , Centro Europeo di Toscolano (Umbria) di Mogol. SanremoWeb in aggiunta è una vera e propria innovazione con la prima edizione di concorso on line in cui Ania, una cantautrice napoletana presentando “Buongiorno gente” ha vinto l’accesso alla finale del sabato sera. Uno più uno più uno fanno tre. E’ qualcosa in confronto al nulla e alle forche caudine del vecchio sistema. Sappiamo di trucchi anche con i televoti, di apparati per acquistare i consensi musicali per chi ha somme da investire. Pazienza la perfezione non si trova così presto dopo anni di negoziazioni inenarrabili. Bonolis ha registrato suo malgrado delle eliminazioni non previste. Concediamo alla direzione artistica di aver reso più leggero, demitizzato con la vena comica il festival 2009; di aver avuto qualche buon intuito come la scelta del mentore ufficiale. Ma bastava fermarsi lì perché di padrini effettivi in aggiunta che poi hanno determinato la differenza se ne poteva fare a meno. Come molti sanno, numerosi degli artisti in gara nelle nuove proposte erano sponsorizzati da qualcuno di stretta appartenenza familiare o artistica: la figlia di Zucchero Fornaciari, la figlia di Canzian dei Pooh, la corista di Lucio Dalla, Sal Da Vinci spinto da Gigi D’Alessio autore del suo brano, e così via. Niente da dire su abilità vocali, studio e preparazione scenica, ma quanti oltre a quei dieci raccomandati hanno le stesse se non migliori capacità, e forse qualche originale creazione musicale, se non una vera e propria gavetta fatta calcando palcoscenici di terz’ordine magari andando nel tempo libero fare il barista per guadagnarsi la vita? Non mi si tacci di populismo, ma mi chiedo come sia possibili uscire dall’impianto irremovibile delle caste? Perché il figlio del fornaio non può fare il notaio e il figlio del notaio non fa il cameriere pagandosi gli studi per l’università? perché la gara, le gare, della vita non esistono per tutti con le medesime opportunità in partenza? Come si può credere di cambiare il mondo se poi sono sempre gli stessi ad occupare gli stessi posti? I medesimi, in ruoli istituzionali e i figli e i nipoti li ereditano. Nelle università si fanno concorsi ad usum delfini. Nei paesini piccoli o grandi si bandiscono concorsi dove il diploma previsto dal regolamento è l’unico che il figlio del sindaco possiede. Quando si rimescoleranno le carte? Dappertutto e soprattutto in politica? Se ritornando al mondo musicale possiamo rammentare che esisteva una scuola di cantautori genovese da cui un giorno emerse Luigi Tenco che pur grandissimo nella sua arte, non sopportò un sistema di appiattimento di scelte e sponsorizzazioni puramente commerciali. Aveva ragione. Non da uccidersi, ma aveva ragione se la canzone”Vedrai vedrai” riproposta ieri da Ornella Vanoni può da sola rappresentare la dignità d’esistenza del 59mo festival della canzone italiana. Luigi Tenco nel 1967, portava in gara “Ciao amore ciao”, che concluse nella tragedia la sua carriera d’autore. Oggi la scuola genovese, quella napoletana, quella del seminario romano di via Nomentana, sono finite. I talenti ci sono sempre però e dar loro una possibilità di sorgere alla luce del palcoscenico è un dovere di democrazia. Ma in ogni ambito, è un dovere democratico, non solo in quello dello spettacolo. Le opportunità spettano ad ognuno. Se una parola si può spendere in favore di qualcosa che si muove nel senso del cambiamento direi che anche Xfactor è una prima, seria e dura selezione di talenti. Con tutti i benefici dell’errore umano di scelta mi pare che Simona Ventura, Mara Maionchi, Marco Castaldi (Morgan ) facciano sue Raidue un rigoroso lavoro in cui per primi essi stessi credono. Per la prima volta si assiste ad una gara in diretta di provini che si possono superare perché si è bravi senza dover dare nulla in cambio, né soldi, né prestazioni sessuali, né concessioni di diritti Siae, né nulla. Evviva. Sono pochi, ma tangibili segni di mutamento. Ho repulsione per il sudiciume, ma credo doveroso intravedere un bambino vitale da non buttare via con l’acqua torbida.Un piccolo nascituro di informe volontà democratica lo vedo. Lo salverei. In attesa che altri nascano e crescano moltiplicandosi in nuove strade dei diritti alle pari opportunità. http://www.youtube.com/watch?v=2ppf4dmdDSA Wanda Montanelli 23 febbraio 2009

Obama: una straordinaria occasione di abbronzatura globale

circumnavigando il fenomeno nella leggerezza di un naviglio libero da zavorre ideologiche, fieramente felice di vivere in Italia senza dilemmi dell’essere Bruni

Tutti vogliamo entrare nel corso del tempo, aprire le vele della nostra imbarcazione ideale nel mare del cambiamento che abbiamo intuito essere importante, epocale, ma difficile da spiegare come le teorie della Fisica quantica sull’infinitamente piccolo e l’incommensurabilmente grande. La vittoria di Barack Obama, “Una cosa straordinaria per il mondo – secondo Massimo Cacciari – di rilievo culturale antropologico incalcolabile negli effetti che potrà avere”, ci ha coinvolti oltre le previsioni e ognuno ha reagito a suo modo. Carla Bruni, première dame di Francia, prende spunto da una valutazione di melanina sulla pelle di Obama fatta da Berlusconi per dichiarare che si vergogna di essere italiana. Lei sta bene dov’è – non ne sentiamo la mancanza – vicino al marito Nicolas preoccupato per l’Europa. Il Sarkozy inquieto che scrive il 3 ottobre una lettera ai membri del Consiglio europeo sulla grave mancanza di fiducia che scuote l’economia mondiale invitandoli presso il Consiglio di Bruxelles ad accordarsi per assicurare il rispetto del quadro giuridico dell’Unione europea. Trattasi di ambasce da economia globalizzata, o “economia canaglia” come definita nel testo di Loretta Napoleoni che prende in esame il lato oscuro del nuovo ordine mondiale. Fenomeno nuovo secondo l’esperta di economia, derivato da cause complementari e interagenti in tempi diversi come le teorie liberiste di Thatcher e Reagan, la caduta del muro di Berlino e il conseguente rapporto perverso tra democrazia e schiavitù seguito alla trasformazione in “democratici” di 118 paesi sui 63. Paradossalmente dopo l’abbattimento del muro di Berlino è cresciuta la schiavitù decolonizzata passata negli anni ’90 a 27 milioni di persone. Schiavi nell’economia “globalizzata e canaglia” che ha sviluppato prodotti canaglia quali oggetti come taroccate borse di Gucci, farmaci falsi, pesce pescato illegalmente, latte tossico di plastica alla melamina. Legami con prodotti innocenti come un pezzo di formaggio della Kraft che appartiene alla Philip Morris multinazionale del tabacco. O della nostra fede nuziale “contaminata” dalla schiavizzazione nelle miniere d’oro dei bambini del Congo da parte dei signori della guerra. Vincoli mondiali che amplificano ogni minima perturbazione locale al tutto universale. Processi globali irreversibili ormai trasformati in sistema caotico sensibile e reattivo come la teoria della fisica dell’entanglement di Dean Radin per cui oggetti separati sul piano fisico possono non esserlo se osservati sul piano della fisica dei quanti. La separatezza tra gli oggetti sul piano macroscopico che si dissolve e un numero incredibile di relazioni stabilite da coppie di particelle nello spazio e nel tempo è la spiegazione, e l’effetto farfalla che ne deriva non è soggetto a predizioni deterministiche stabilite dal libero arbitrio. I vari livelli del sistema caotico reattivo interagiscono tra il caos e le proprietà frattali – da cui i modello polifrattale di interconnessione dal livello molecolare fino alla globalità del sistema nervoso. Libero arbitrio che secondo Chris King in “Chaos, Quantum-transactions and Consciousness” dimostra come l’equazione energia-momento-massa di Einstein pone gli oggetti quantici di fronte a biforcazioni superabili attraverso scelte (vedi Accles, Penrose e Hameroff) di sistemi viventi influenzati non solo dalla causalità, ma anche dalla retro causalità. Ciò a dire che gli esiti delle scelte non sono determinabili a priori dal sistema che sfugge ad un approccio puramente deterministico. Di conseguenza si ottengono due effetti: da una parte si generano strutture ordinate che prendono la forma di strutture frattali; dall’altra, una piccola perturbazione locale può essere amplificata fino a diventare un evento che coinvolge tutto il sistema. L’esempio classico è quello degli attrattori di Lorenz, osservati in meteorologia, rispetto ai quali si giunge a ipotizzare che il battito d’ali di una farfalla in Amazzonia possa causare un uragano negli Stati Uniti. Siamo perciò tutti irrimediabilmente legati nella politica come per la fisica. Ecco il grande interesse alla magia delle formule vincenti e alle rare previsioni azzeccate in economia sociale. L’accademia di Stoccolma ha premiato Paul Krugman con il Nobel per un’originale teoria del commercio internazionale concepita nel 1979 quando il 55enne docente a Princeton era fresco di laurea. Le sue pubblicazioni sul New York Times amate dai Liberal e odiate dai Conservatori, denigrate e contestate per decenni, hanno azzeccato negli oltre 500 articoli che ha scritto, previsioni sui crac e sulle difficoltà economiche dell’America. Si chiede Massimo Gaggi sul Corsera se questo barbuto anti Bush, già collaboratore di Clinton con alterne fortune, diverrà un principe della consulenza per Barack Obama. Ormai consapevoli in ogni parte del mondo che siamo tutti imbarcati insieme nel cataclisma generale osserviamo la formula Obama che, allo stesso modo delle teorie della fisica, non deriva da una solo aspetto del sociale della politica e dell’economia. Il suo successo proviene dal basso, da sommatorie cioè di molecole in interazione rispecchiata poi nella totale immagine del mondo, cioè Internet. Formule magiche scoperte nel tempo e nello spazio della politica si sono rivelate possibili come la straordinaria occasione di Barack Obama oggi. Forse. Anna Guaita in “Buona Fortuna Obama!” (Messaggero 4 novembre) lo definisce un possibile nuovo Franklin Delano Roosevelt, e apprezzando l’eleganza dello spirito democratico di John McCain che lo ha chiamato “il mio Presidente”, rende giustizia al corale plauso per la vittoria del Senatore dell’Illinois. Ma concordano in tanti, a partire da Walter Veltroni già entusiasta di lui in tempi non sospetti fino a Massimo D’Alema, Fassino e Franceschini; da Gentiloni ad Anna Finocchiaro, a Vannino Chiti e con qualche nota critica nello stesso PD, il filosofo Cacciari; dal Prc di Franco Giordano fino alla destra di Gasparri e Storace per arrivare a Berlusconi, e alla sua frase augurale pronunciata davanti al premier russo Medveded: “E’ giovane, bello, e… abbronzato!.” Sapete qual è la più straordinaria conseguenza di questa affermazione? Che dal 4 novembre ad oggi non si parla d’altro. A torto o a ragione, in rivoli di considerazioni e critiche, giustificazioni e condanne, tutte interessanti per carità, tranne l’infelice battuta di madame Sarkozy, che non avendo fatto alcunché per migliorare l’Italia non si sa di che cosa si lamenti o recrimini. Berlusconi prorompe nel fattore Obama oscurando di colpo Veltroni e tutti i meritevoli riconoscimenti in tema di primogenitura. Una battuta e si spazzano via il kennediano “I care” e l’attuale pragmatico “Si può fare”, versione nostrana dell’obamiano “Yes, we can”. Non si saprà mai se Mike Bongiorno faceva le sue gaffe a caso o ci cascava lui stesso. Fatto sta che gli hanno dato la fama e l’ingresso permanente nei testi di storia dello spettacolo. Berlusconi entra con la sua battuta in primo piano ogni volta che a qualsiasi titolo si parla di Barack Obama, e vi resta a lungo protagonista seppure sull’onda della polemica. Si va bene, Mike è un uomo di spettacolo e lui è il presidente del Consiglio, ma serve ribadirlo? O dovremmo invece osservare il video scanzonato del nuovo presidente Usa http://it.youtube.com/watch?v=RsWpvkLCvu4 , dire “Quante storie per un po’ di melanina!” e aggiungere: “Non ne parliamo più… non importa”, dimostrando di credere che la sua voleva essere davvero una carineria, non invece una voluta frase propulsiva sulla scena della politica internazionale, per far dimenticare Veltroni che per primo aveva creduto in Obama. La cosa che non si capisce è come mai gli si da’ addosso dopo le esperienze del passato che lo hanno fatto crescere il maniera inversamente proporzionale alle attestazioni di disistima dei suoi avversari. Tra tutti forse solo D’Alema ha capito che se si vuol fare un favore a Silvio Berlusconi si deve parlar male di lui. Gli altri non ci riescono. Se fingessimo di credere che la frase sul nuovo presidente d’America voleva essere una carineria potremmo anche prestare fede all’ipotesi che con la poliedricità propria del presidente del Consiglio egli possa passare dall’essere il miglior amico di Bush al più attento osservatore delle teorie obamiane. Da imprenditore forse potrebbe egli stesso far proprie, almeno in parte, le teorie di B.O. sull’investimento per l’ambiente. Cinque milioni di posti di lavoro nel futuro degli Usa, e da noi quanti possibili? E’ previsto che la BP, come ha già iniziato a fare in gran Bretagna, potrebbe aiutare Obama nel riconvertire gli investimenti in attività di energia pulita. Se da qui partisse un percorso virtuoso in progetti di crescita coniugati al rispetto dell’ecologia ne saremmo felici. Se le previsioni si riveleranno azzeccate, pur nel difficilissimo impegno del nuovo presidente d’America, anche per dare impulso a cambiamenti in zone di sofferenza come l’Africa, a giusto titolo il Kenia avrebbe il 4 novembre come ricorrenza nazionale. Per festeggiare un cambiamento che auspichiamo nella stessa data potremmo celebrare l’inizio del cambiamento in Italia. Con investimenti per milioni di posti di lavoro in energia pulita, programmazione e semplificazione del problema giustizia con cause risolte a sentenza in pochi mesi data l’efficienza di moderni uffici e preparatissimi addetti ai lavori. Festeggiare riforme vere della scuola con investimenti nella ricerca e cancellazione dell’infame sistema del nepotismo e le assunzioni parentali; festeggiare mari puliti e fiumi trasparenti, incremento economico da immondizia riciclata; pianificazione delle Pari opportunità per tutti con l’abbassamento del gap che penalizza le donne nei luoghi delle decisioni. Festeggiare una Sanità sana e moderna snella nelle prenotazioni di alto livello nella qualità delle prestazioni e luoghi sicuri per chi va in giro di giorno o di notte. Festeggiare il rimpadronirsi della città da parte delle donne in assenza di malintenzionati, stalker o criminali. Festeggiare la crescita dei posti li lavoro veri con stipendi di sostanza e portafogli adatti a comprarsi un po’ di futuro. Festeggiare il prodotto non canaglia di una economia blasonata e riconoscibile da un “Marchio etico” di qualità che da tanto cerco di promuovere, con il quale si rende riconoscibile il fatto che nessun bambino e nessun tipo dell’esistente è danneggiato dalla produzione dello stesso. Se così fosse il 4 novembre potrebbe esserci una triplice festa internazionale di Italia-Kenia-Stati Uniti. Se l’effetto Obama avesse apportato modifiche agli errori del governo Berlusconi sarebbe grandioso festeggiare e obbligatoriamente rammentare a tutti i partecipanti abbronzati o no che mentre avveniva il principio del cambiamento noi ci eravamo preoccupati di una battuta sull’abbronzatura di Obama. Neanche fosse stato il battito d’ali della farfalla in Amazzonia. Wanda Montanelli, 11 novembre 2008

MEDITERRANEO: UN PROGETTO COPYRIGHT

un ” modello di vita” buono per farne un Partito

Caratteristiche di positività, attaccamento alle tradizioni e proiezioni nel futuro. Il meglio e il buono che abbiamo. Vero come l’olio extravergine, Grato come il pane di grano duro e Profumato come il Zilath, rosso vino degli etruschi. Moderno e antico insieme come la casa di pietra mimetizzata tra i cespugli di corbezzolo, con i pannelli solari che appena si intravedono nella macchia mediterranea. Se la fortuna di essere italiani ogni tanto è dimenticata per le traversie che ci disturbano con il pessimismo dei mutui raddoppiati, la crescita ferma, gli scempi di scorie nocive seppellite in siti naturali di rara bellezza, non tutto è offuscato. Se le cattive abitudini e i pessimi esempi della casta, che ormai “casta” non è, non foss’altro per il fatto che diventa plurale ogni giorno di più dati i molteplici privilegi di potere che scaltri conduttori si sono assicurati; se tutto questo può indurci in tentazione di fare le valigie e fuggire in Patagonia, poi qualcosa ci trattiene qui, come l’ancora nel mare in bonaccia, che fa temere una prossima tempesta, ma incanta sulla quiete della distesa azzurra e induce a pensieri lievi. Pensieri che germogliano su notizie positive come quelle che ricordano l’unicità italiana dei luoghi di bellezze paesaggistiche, musei a cielo aperto, ingegno, tradizioni, filosofia del buon vivere, come quella che faceva dire a Cesare Musatti, padre della psicanalisi italiana, che la psicoterapia serviva a insegnare a ricchi ebrei a vivere come gli italiani. Capacità di vivere in modo semplice e salutare, da cui nasce la Dieta mediterranea, candidata a patrimonio Unesco dell’umanità. Dieta che è la sintesi storica della civiltà delle popolazioni del Mediterraneo e della forte identità agganciata a robuste radici di un ambiente naturale dalle caratteristiche inconfondibili. L’insieme di questi fattori rappresenta un patrimonio non solo di cultura della salute, ma di rivalutazione antropica del rapporto dell’uomo con il cibo. Rapporto fatto di esperienza, vita a cospetto di mare, uliveti e distese dorate di grano maturo. Cibo e salute, concretezza, misura dei valori nutrizionali, saggezza. Una vera filosofia esistenziale che abitua a rispettare e a rispettarsi nel contesto naturale generoso che ci ospita. Modus vivendi che è stato oggetto di studio del cardiologo statunitense Ancel Keys (noto durante la II guerra mondiale per la formula della cosiddetta “razione K” delle truppe militari degli States, che da lui prende il nome) vissuto per oltre 40 anni sulla costa del Cilento, a Pioppi, dove attivò un laboratorio di ricerca comparata tra vari Paesi con abitudini alimentari del tutto differenti. Ricerca da cui deriva il famoso Seven Countries Study, comparazione dei regimi alimentari per un totale di 12.000 casi, in sette paesi di tre continenti (Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati Uniti e Jugoslavia) che convalida i benefici sulla salute della dieta mediterranea fatta di pasta, pesce, prodotti ortofrutticoli, olio d’oliva. Saggezza alimentare fondata sulla sacralità del cibo, rispetto di se stessi, parsimonia, che abbassa notevolmente la percentuale di mortalità per cardiopatia ischemica dei popoli del bacino mediterraneo. Buona salute, quindi, studiata da Keys nel Cilento, e poi presso il laboratorio di igiene fisiologica all’università del Minnesota. Impostata sulla centralità dell’uomo e legata ai saperi della Magna Grecia ed al pensiero eleatico di Parmenide e Zenone. Frutto di un mangiare sano di piatti poveri con verdure, legumi, pasta fatta in casa. Prima che lo studioso statunitense scomparisse nel 2004 gli venne conferita la Medaglia al merito della Salute Pubblica dall’allora ministro, prof. Girolamo Sirchia, su richiesta di Alfonso Andria, Presidente della Provincia di Salerno, oggi Ministro ombra per le Politiche Agricole del PD che sostiene con Paolo Scarpa (Presidente della Commissione Agricoltura del Senato) la mozione proposta dal Senatore Paolo De Castro per ottenere il riconoscimento Unesco. Patrimonio dell’Umanità come la Grande Muraglia cinese, la piana delle Piramidi di Giza, la Torre di Londra, la grande barriera corallina, la Samba di Bahia o la laguna di Venezia.Mi viene da riflettere sul valore della conoscenza semplice. L’applicazione dell’uguaglianza e della democrazia del vivere e del nutrirsi. Disciplinata da leggi naturali, da esperienze ataviche, da scelte originate dalla contingenza. Dal giudizio superiore di valutazioni che allontanano potere e ricchezza. Una sovranità popolare che detta le leggi nutrizionali e assume la rivincita sull’opulenza smodata delle grasse libagioni castigate con attacchi di gotta e infarti del miocardio. Un insegnamento filosofale, un monito: “Règolati secondo i principi primari, altrimenti la natura si vendica”. Se tutto questo si potesse tradurre in progetto sociale si dovrebbero trasformare i principi della dieta mediterranea in norme della parsimonia nell’utilizzo delle risorse comuni e del buon vivere sociale. Partendo dalla suddivisione degli alimenti in quantità sufficiente per tutti. E da qui la distribuzione del bene pubblico, le opportunità, il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro, all’ambiente non inquinato. L’eredità da lasciare ai nostri discendenti così come l’abbiamo ottenuta. Pensate che enorme danno se i nostri antenati non ci avessero lasciato in eredità ulivi e vitigni. Se qualcuno nel passato (di pazzi ne sono vissuti molti in ogni epoca) avesse deciso di estirpare tutte le piante per l’olio o il vino. Potremmo bere Coca Cola con la spigola alla brace senza neanche soffrire della mancanza di un Vermentino di Sardegna o di un popolare Frascati. La dieta mediterranea è l’opposto dell’ingordigia dell’arraffare. Se il ciclo di metabolizzazione dei beni, la regola della fruizione dei diritti, avesse parametri simili a quelli che regolano lo scambio tra il corpo e la dieta mediterranea, potremmo pensar a un corpo-Stato che consapevolmente non spreca le risorse, le distribuisce saggiamente, non si ingozza, rifugge la superchieria e i privilegi, risparmia, ed è sano nella sua assoluta applicazione dei principi di democrazia. Anche perché non avrebbe scelta. In caso di errata applicazione delle regole l’intoppo del corpo democratico lo porterebbe presto a correggere l’errore. Applicando in politica i principi dell’equilibrio alimentare, ad ogni ingordo componente di una impudica casta verrebbe quanto meno la podagra come un segnale di “stile di vita indecente” che non ci si mette subito a regime porta al colpo fatale senza ritorno. L’idea vincente di queste ponderazioni conduce ad una formula moderna di partito e a un sistema esemplare di gestione pubblica realizzato attraverso la cancellazione dei metodi obsoleti, clientelari, spreconi, dittatoriali e opportunistici della politica in generale. Secondo studi recenti, tra cui quelli di Confindustria, la nostra politica è “costosa e senza progetto”. Costituire un esempio di trasformazione nell’amministrazione pubblica che si basi sul pensiero semplice, non violento, come le calme acque mediterranee o come l’assunto di Gandhi sulla non-violenza che è legge del nostro essere in un futuro al femminile. Per restituire i diritti alle persone, economici, legali, ambientali, culturali, ricreativi e sociali di appartenenza e vera cittadinanza per tutti. Un modello snello, di buone prassi e amore sociale. Con un’attenzione alla cultura e al meglio della modernità realmente utile. Un’ottica femminile della semplificazione, distante dal potere fine a se stesso, rispettosa delle risorse naturali e l’ambiente, ottimista e attiva in un costante progresso. Una gestione saggia, parsimoniosa, pragmatica, di equa divisione delle risorse e opportunità. Un farsi del bene come la dieta mediterranea, alimentazione etica. Un modello vincente. Per la gran parte dei cittadini italiani. Il copyright c’è. Servono sponsor.

L’IGNOBILE STORIA DELLA PERSECUZIONE DI E.T.

Quando manca il buon senso e l’autoironia di chi da piccolo leggeva Topolino Due sere fa Antonello Piroso su La7 ha ricordato l’odissea di un uomo onesto incappato in uno dei più grandi errori giudiziari dei nostri tempi. Non ho mai creduto nemmeno per un momento che Enzo Tortora potesse essere colpevole. Nel 1983 mi trovai in una trasmissione tv che andava in onda alle ore 19,00 su Raidue, “Tv30”, dove emerse una domanda sui suoi inizi di carriera (Campanile Sera del ’59 con Renato Tagliani e Mike Bongiorno). Dissi alcune parole in difesa del presentatore che si trovava in stato di detenzione. La trasmissione si registrava e si trasmetteva in differita dopo qualche ora. Mi accorsi però che prima di trasmetterla era stata tagliata la mia frase: “Spero che Enzo Tortora venga presto liberato perché è un galantuomo, un uomo per bene”. Chiamai gli autori del programma per protestare. “Perché avete censurato la mia frase su Tortora?”. “Perché è meglio che non entriamo in questa storia – mi risposero – La Rai non si può esporre con dichiarazioni innocentiste”. “E’ una mia opinione – replicai – di cui mi assumo ogni responsabilità. Voi non c’entrate”. Non ci fu modo di convincerli, ed era inutile replicare, tanto ormai la trasmissione era andata in onda. Il clima era quello. Non si parlava di Tortora. Si attendevano le prove della sua colpevolezza. Pochi ragionavano sull’assurdità delle storie da banda Bassotti e commissario Basettoni che venivano scritte su quotidiani e settimanali. Il patto di sangue con il taglio dei polsi, l’appartenenza alla camorra, i centrini fatti ad uncinetto che qualche camorrista aveva mandato per venderli a Portobello. Cose da ridere. Non è che mi ricordo tutto, so che allibivo a quel tempo per l’assurdità della tesi accusatorie. Come ci si poteva credere? Insomma eravamo cresciuti imparando a conoscere storie, vita e miracoli dei presentatori. Mike Bongiorno, Enza Sampò, Enzo Tortora. Come potevamo credere a baggianate del tipo dello spacciatore di droga. Un uomo ricco, elegante, lineare, composto, sereno. La tipologia del drogato è un’altra. Come si fa? Ce ne accorgiamo quando succede. È vero che ci sono, in tv alcuni personaggi, anche famosi, un po’ su di giri. Parlano fuori dalle righe, con un livello innaturale di concentrazione, e talvolta con performance che ci fanno venire dubbi sulla naturalezza dei comportamenti. Si vede se uno è impasticcato, o “fatto” di qualcosa. Tortora invece era un uomo sereno, per bene, rassicurante. Anche antipatico forse per alcuni, ma comunque onesto. Eppure in tanti si schierarono dalla pare dei colpevolisti. Mi irritavo quando dalla gente comune sentivo dire che se l’avevano incarcerato “qualcosa sotto sotto doveva esserci”. Ed erano estenuanti le discussioni per farli ragionare sulle contraddizioni, le illogicità delle accuse che peraltro venivano mosse da dei pentiti di bassa lega e senza riscontri oggettivi. Devo qui dire qualcosa su Vittorio Feltri. Raramente condivido le cose che scrive. Insomma siamo molto lontani come modo di pensare. Tuttavia nel 1985 apprezzai l’onestà intellettuale di questo giornalista in occasione del processo a Tortora. Era sulla Domenica del Corriere che lessi un suo articolo. Per tutti questi anni mi sono chiesta se rammentavo bene … mi pareva fosse la Domenica del Corriere. Oggi lo so di certo perché quell’articolo l’ho ritrovato (viva Internet http://www.rosanelpugno.it/rosanelpugno/node/7504) Feltri scriveva: ” […] quando il direttore del mio giornale, che è il Corriere della Sera mi notificò la decisione di inviarmi a Napoli non avevo alcuna idea se il papà di Portobello avesse più o meno combinato ciò che la Procura partenopea gli addebitava. E, francamente poco mi importava. Conoscevo Tortora, l’avevo incontrato due o tre volte: ma non si può certo affermare che la nostra fosse un amicizia. E, se devo essere sincero, mi era più antipatico che simpatico: trovavo odiosi i suoi toni affettati, certi atteggiamenti melliflui, il perbenismo ossessivo. Della vicenda giudiziaria due cose mi avevano colpito. E insospettito. Il fatto che il cosiddetto blitz, che aveva portato in galera lui e altri ottocento e passa imputati, fosse avvenuto una settimana prima delle votazioni politiche; e che gli agenti, pur di far riprendere Tortora dalle telecamere, con tanto di manette e di scorta, gli occhi smarriti e il volto pallido, lo avessero tenuto in questura sei o sette ore, in attesa della luminosità adatta alla massima resa delle immagini da mandare in onda. (…) A Napoli sono così arrivato con la certezza di avere a che fare, se non con un camorrista e uno spacciatore di droga, almeno con un uomo che ignorava la coerenza. E ho cominciato a esaminare le carte processuali con diffidenza. Ma benché non trascurassi neanche una virgola della intricata storia, non riuscivo a capire quali fossero concretamente gli elementi contro di lui: c’erano le dichiarazioni dei pentiti, d’accordo, ma nulla di più. (…). Molti dicono che bisogna attendere la sentenza completa per criticare il tribunale. Ma che cosa può esserci scritto nel verdetto più di quanto si è udito in aula? Semmai è da respingere una legge, e una prassi, che legittima condanne senza prove; una legge che dà a un Panico o a un Melluso licenza di scegliersi una vittima e di stritolarla, sostituendosi, non solo al giudice, ma addirittura al boia. (…). La corporazione voleva a larga maggioranza la condanna di Tortora, neanche si trattasse di una conquista per la categoria. Ma perché tanto accanimento? Ho avuto l’impressione di uno scoppio di irrazionalità, di una specie di tifo cieco analogo a quello degli stadi, alimentato, per giunta, dall’antipatia dell’imputato e dal suo modo ora goffo ora insolente, di difendersi. Un collega lo odiava perché con la Tv aveva strappato un facile successo, e scordava che, se il successo fosse facile, l’avrebbe avuto anche lui. Ha inciso anche la sua popolarità: troppa per essere perdonata da chi non ne ha affatto. Ed ora che il presentatore era a terra, il piacere di sferrargli delle pedate era voluttuoso. Durante la lettura della sentenza ho visto cose turpi. Il nome di Tortora tardava a essere pronunciato. Che fra i colpevoli non ci sia? I giornalisti si interrogavano con lo sguardo, increduli, delusi, amareggiati. Parecchi avevano scommesso sulla condanna, avevano investito articoli ed articoli e temevano di essere sconfessati. Uno si volta e, allargando le braccia mi sussurra: vedrai che l’hanno assolto, mi toccherà andare in giro coi baffi finti. Ma la sua disperazione, e non solo la sua, è durata poco: “Tortora Enzo… dieci anni di reclusione e 50 milioni di multa” ha detto il presidente Sansone. Qualcuno ha stretto i pugni dalla felicità, altri hanno sorriso, sia pure con moderazione, dato il momento. Era come se la loro squadra avesse segnato in trasferta. E alla sera, ho saputo, hanno brindato: alla faccia di Tortora”. Non dovrà mai più ripetersi l’accanimento come quello consumato contro Enzo Tortora. Le sue figlie non hanno avuto ancora oggi né giustizia, né risarcimenti. Rispetto la magistratura, ma come in tutte le professioni credo che chi sbaglia debba pagare. Almeno dimostrare che l’errore è avvenuto in buona fede. La vicenda di Tortora è assurda. Il tempo passa e tanti particolari si dimenticano, poi per fortuna qualcuno pensa a riproporre la storia al grande pubblico ed ai molti giovani ignari di cosa è accaduto. “L’uomo muore di crepacuore” è la frase scritta da Giorgio Bocca per commentare la morte di Enzo Tortora avvenuta il 20 maggio 1998. L’ha riletta Antonello Piroso, particolarmente coinvolto e commosso nel suo monologo. Ha citato il libro “Applausi e sputi. Le due vite di Enzo Tortora”, di Vittorio Pezzuto. Lo leggerò per non dimenticare il calvario di un uomo per bene. Può capitare ad ognuno di noi quello che gli è accaduto se manca il buon senso e… Mickey-Mouse o no, la distinzione delle chiacchiere dai fatti. 3 settembre 2007 Wanda Montanelli http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=omnibus&video=16317