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SDOGANARE LE DONNE TOCCA ALLE DONNE

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Né scienziate, né veline, né presidenti.

Solo casuali strumenti

Donne. Mai come in periodo di elezioni l’argomento viene alla ribalta. Il workshop di ‘Farefuturo’ su Donne e Politica è stata un’occasione di dibattito aperto a contributi vari. Culturali, sociali, istituzionali. Ognuno dalla propria esperienza. A partire dalla dichiarazione del presidente della Camera Fini che esternava disappunto in merito alle candidature delle veline pur senza condividere alcuni eccessi del dibattito. Da lì Veronica Lario con la frase «L’uso delle donne per le Europee? Ciarpame senza pudore. Voglio che sia chiaro che io e i miei figli siamo vittime e non complici”. Questa la dichiarazione. L’approfondimento è migliore. La Premier Dame d’Italia ha aggiunto: “… è la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte e questo va contro le donne in genere e soprattutto contro quelle che sono state sempre in prima linea e che ancora lo sono a tutela dei loro diritti”. Che strano mondo. Mike Bongiorno, intervistato da Fabio Fazio su Raitre domenica sera, ha detto di essere addolorato perché il suo rapporto con Mediaset è terminato senza alcun preavviso, né una lettera o telefonata di congedo. Il decano dei presentatori ha ripetuto che è rimasto male per questa indifferenza. Ha chiesto alla stregua di chi chiede un regalo che Berlusconi si ricordi di chiamarlo, così come faceva una volta telefonandogli ogni settimana. Ho qui ancora in un ripiano in una cameretta a casa mia Pasqualino Settepose, il fotografo mascotte che mi richiama alla mente che più di venti anni fa fu il coraggio di Mike a dare impulso alla tv di Berlusconi. Era il giugno del 1982. Ricordo l’ultima puntata di Flash su Raiuno e un poco noto Silvio Berlusconi seduto in platea presso gli studi Rai dove si svolgevano le finalissime del quiz. Mike nel salutarci disse che non avrebbe rinnovato il contratto con la Rai per iniziare ad occuparsi della nuova televisione. Quella sera durante la cena conviviale con gli autori del programma e i concorrenti finalisti, molti si dissero convinti che Mike Bongiorno si stava dando la “zappa sui piedi” (veramente usarono una terminologia più greve). Nessuno di loro avrebbe lasciato Mamma Rai per una tv locale. Ma la fortuna di Re Mida ha fatto partire un impero televisivo. Son tutti più ricchi oggi. Quindi il cambio è convenuto anche a Mike Bongiorno, però mi chiedo se oltre ai soldi abbiano un senso i rapporti umani. Strano mondo.Veronica Lario chiederà il divorzio. Il “mi dispiace..”, riferito all’ esternazione della moglie contro le candidature delle veline, mi è sembrata la nota di sincerità tra tante parole espresse da Berlusconi. Lascerei a parte le veline, casuali strumenti che non hanno responsabilità per le colpe di quel potere che “offende la credibilità (e aggiungerei credulità) delle donne”. Nel 2005 raccogliemmo 10.000 firme con Tina Lagostena Bassi, la Consulta delle donne che coordinavo, alcune associazioni e le Parlamentari di Camera e Senato. Era l’appello per la “Democrazia incompiuta” scritto dall’On. Lagostena Bassi contro della legge elettorale varata in quei giorni. L’istanza da presentare al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi si riempì di sottoscrizioni in breve tempo. Poi lo stesso invito a firmare fu rivolto alle moglie di tutti i segretari politici. Non ero d’accordo allora e il coinvolgimento delle mogli mi appariva un’ingerenza nella vita privata, una modalità poco politica e scarsamente percorribile. Oggi rivedo le mie posizioni. L’impulso alle lotte femminile va accettato da qualsiasi parte arrivi. Se si riescono a sdoganare le donne ben venga la modalità insolita e fuori canone. L’inefficienza dei percorsi politici e istituzionali conduce a prendere i frutti da quell’altrove a cui non si era mai pensato. Mi pare invero non positiva la polemica per le veline. Noi siamo in ogni caso soccombenti. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori dai confini del potere. Vogliamo prendercela con qualche ragazza ventenne che si illude che possa facilmente entrare in Parlamento per il solo fatto che è “candidata?”. Vero è che personcine pulite e profumate al posto di politici maleodoranti e brutti porterebbero una nota soave in parlamento, ma non si può nemmeno far credere che basti essere graziose e pulite per vincere l’ingresso in Parlamento. I fautori della meritocrazia lanciano messaggi contraddittori e soprattutto falsi. Anche perché la verità di una legge elettorale che prevede un trenta per cento di candidate donne non è detta da nessuno. Non ci sono regali, trattasi di altruismo peloso e il cadeau dato a questa o all’altra è una bufala. E’ un obbligo candidarle. Poi decidono le preferenze degli elettori. La finzione di liste scritte da uomini che fanno un uso spregiudicato delle illusioni di povere ragazze non è un bel gesto. Le aspiranti concorrenti non sanno che il posto offerto loro è fasullo, laureate o no, belle o no. Nella maggior parte dei casi saranno altri gli eletti. La vita è un contrappasso. Dante lo prevedeva all’inferno, ma la vita è un contrappasso già prima di trapassare. Vorrei che chi ha il potere oggi immaginasse il mondo da qui a qualche lustro. I semi gettati adesso daranno frutti buoni o cattivi anche per loro. Vorrei che chi ha il potere oggi cercasse di capire che difficoltà troveranno i loro figli e nipoti in un mondo mal concepito e scorretto. Che società avranno sviluppato? Riescono ad immaginare che le loro figliolanze potrebbero non essere in condizioni di trovarsi in cima alla casta? Nel tempo muteranno sia il concetto, sia i contenuti di casta e i rapporti potrebbero essere rovesciati. Riescono lontanamente a immaginare un/una loro nipote in un mondo in cui si sono cambiate le regole trovarsi perdente perché le norme di partenza non sono rispettate? Ammettiamo per un attimo che solo chi fa una gara di sopravvivenza alle frustrazioni possa accedere ad una casta speciale che governa sugli altri, i deboli e mollicci. Una volta si mandavano i figli dei ricchi imprenditori a far pratica di mozzo sulle navi, e solcavano per mesi gli oceani in lunghe gavette che li rinforzavano nel carattere e nelle abilità di stare al mondo con plurime categorie di esseri umani. Che fine farebbero i discendenti dell’attuale classe dirigente abituata ad ottenere tutto con lo schiocco di due dita? E se la casta dei privilegiati fosse composta da chi possiede una particolare conoscenza scientifica, una speciale medicina, o la formula per decodificare messaggi tra menti elevate? Se per far parte di futuri governi ci si dovesse sottoporre a prove di resistenza, tolleranza, forza mentale, capacità di interpretare codici ed espressioni matematiche, che cosa potrebbero dare in cambio nel “do ut des” a cui sono avvezzi? Il gioco del Parlamentare che fa un favore al Banchiere per assicurarsi l’ingresso del figliolo in un consiglio d’amministrazione e viceversa il favore incrociato per far eleggere in Parlamento il di lui nipotino, potrebbe non funzionare. Questi due potrebbero essere sprovvisti di parole d’ordine, di conoscenze di formule, o essere incapaci di superare una verifica di resistenza fisica. Una prova ideale a cui mi piacerebbe sottoporli è quella dell’antimaschilismo. Un test facile che le donne al governo dovrebbero poter fare a chi intende candidarsi alla vita pubblica. Un’altra è quella della prova di saggezza a donne e uomini per sapere se sono giovani o vecchi a prescindere dalla loro età. La selezione dovrebbe svolgersi tra chi pur avendo settant’anni è giovane dentro perché ha un cuore entusiasta, disinteressato, vibrante di progetti e di vita per gli altri e per sé. Sarebbero naturalmente subito scartati coloro i quali per sembrare giovani vampirizzano il potere, la linfa di giovani sprovvedute, l’energia sociale. La rappresentazione di sé assolutamente priva di saggezza, altruismo e misura ci indurrebbe a scartare gli illusi dell’eterna giovinezza che secondo loro si compra come la frutta al mercato. No questi soggetti passerebbero all’obbligatoria revisione dell’attitudine ad essere uomini e donne anziché soggetti dall’io ipertrofico destinati a restare soli. Wanda Montanelli

ABBIAMO SETTE DONNE CAPOLISTA IN IDV? EVVIVA! FACCIAMO UN EUROBRINDISI (MA DOPO LE ELEZIONI)

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Le preoccupazioni di Antonio Di Pietro, i suoi tentativi di esorcizzarle

Senza altri eufemismi entrerò diretta nell’argomento. Nel merito di una citazione che mi riguarda in un’agenzia “Dire” del 16 aprile, anche perché dopo due interviste a quotidiani nazionali che mi chiedevamo dichiarazioni in proposito, appare doveroso fare chiarezza su alcuni elementi semplici che riguardano le liste elettorali. Argomento di questi giorni molto dibattuto a più livelli. L’arte di confondere i fatti con le storielle sta diventando sempre più conosciuta ed esercitata. Da un po’ di tempo a questa parte la politica va a scuola di manipolazione sociale e spesso riesce anche se in modo maldestro a far credere che il ‘nulla’ sia seta , e il cascame lana. Ma torniamo alle esternazioni di ADP (acronimo di Antonio Di Pietro). Leggo sul comunicato stampa succitato: “Non sono un ducetto e nemmeno un maschilista. Ecco la prova”. Antonio Di Pietro ribalta un luogo comune e alle prossime elezioni mette in campo un “esercito rosa”Sono davvero passati i tempi in cui dell’ex pm si diceva che era un “despota maschilista”. Solo due anni fa così la pensava Wanda Montanelli, allora responsabile del dipartimento politiche di genere dell’Italia dei Valori. Con un lungo sciopero della fame cercò di convincere il mondo della “scarsa attenzione riservata da Di Pietro alla componente femminile nelle liste per la camera e per il senato”. Di più: Montanelli ricorse anche al giudice civile per ottenere il risarcimento dal danno esistenziale. Oggi il maschio sotto accusa, Antonio Di Pietro, si prende una piccola rivincita e si presenta alla stampa con una piccola ma agguerrita pattuglia di candidate per Bruxelles. “Sette professioniste- spiega lo stesso Di Pietro- ognuna pienamente realizzata nel suo campo e in famiglia […].”. Apprendo la notizia e non sto nei panni dalla contentezza. Allora il mio doppio sciopero della fame ha portato un risultato tangibile! Le “magnifiche sette” dei miei reiterati appelli saranno elette al Parlamento di Strasburgo! Che importa se non ci son io. Le donne Idv riconosceranno che il coraggio e l’ottimismo non devono mai mancare e credo che per me nutriranno un po’ di gratitudine perché dopo anni un risultato a casa l’avremo portato. Che bello! Avrò sette amiche a Bruxelles con le quali proseguire i nostri programmi di riforma a tutela dei diritti umani. Passo a leggere la posta e Outlook mi scarica una marea di mail. Tante degli amici di facebook, ma tantissime dalle donne e gli uomini di Idv che si lagnano per le scelte elettorali. Che succede? “Dalle Alpi alle Piramidi – mi scrivono – c’è uno scoramento generale. I più dicono che Montanelli aveva ragione, qui non si considera il valore di chi fa crescere il partito, e le donne, da nord a sud e anche alcune dei dipartimenti esteri sono furiose”. Continuo a leggere le agenzie per meglio capire e vedo che i nomi presentati in conferenza stampa da ADP sono di persone cooptate. Qualcuna delle donne elencate le conosco, mi hanno pure sostenuta durante lo sciopero della fame. Che dire? Nulla contro di loro; che riescano nel loro proposito. Ma mi chiedo perché Di Pietro usa suggestivamente i mio titolo “sette magnifiche donne Idv” per candidarne altre che con le sette originarie non hanno nulla a che fare? Mi copiano anche le frasi. Dopo avermi tolto tutto: i diritti di cittadinanza politica, le risorse, i sogni, si appropriano delle mie parole. L’espressione “una piccola ma agguerrita pattuglia di donne” è anche questa copiata e l’avevamo lanciata in un comunicato che elogiava il gruppo femminile posto in prima fila a sostenermi nella lotta antidiscriminazione. Ma porca miseria. Io ho un po’ di talento nel coniugare le frasi e mettere insieme le parole. Anche di queste mi si spoglia? Questo modo di fare la copia di frasi e iniziative da me realizzate si reitera nel tempo: La “Consulta delle donne”, dopo anni di onorato servizio, viene di punto in bianco soppiantata con una consulta “B”, messa in piedi in fretta e in furia, tanto in fretta che le mogli dei parlamentari o dei coordinatori politici regionali destinate ad essere elette non ebbero nemmeno modo di fare le cose per bene. Quando le pratiche sono svolte d’urgenza capita di incorrere qualche errore. La fretta dipende dal fatto che in tali casi sono in gioco alcune condizione favorevoli, come ad esempio la quantità di tessere di chi le possiede già in gran numero, l’uso degli spazi per fare riunioni che non sono prerogativa femminile, il costo economico dell’elezione in cui le donne non hanno autonomia gestionale (ricordiamo il famoso art. 3 – legge 157/99 per la promozione attiva delle donne alla politica che è puntualmente disatteso, il che lascia le donne nella povertà più assoluta) . Insomma è come mettersi in gara a piedi contro chi, poiché sponsorizzato, ha l’automobile da corsa piena di carburante. Dicevo che la Consulta “B” , o “Ombra” fu eletta così in fretta che la moglie di un Coordinatore regionale non ebbe nemmeno il tempo di farsi un account per avere una casella di posta elettronica propria. Era arrivata all’ultimo minuto nel partito, e per scrivere a lei (candidata al ruolo politico di rappresentanza femminile) bisognava rivolgersi alla casella di posta del marito. Molto buffo no? Una donna che vuol rappresentare le Pari Opportunità che comunica solo attraverso suo marito. Cosa avrà detto lui alla moglie?: “Sbrigati che i digiuni della Montanelli qualcosa di buono hanno portato. Mo’ vuoi vedere che ti faccio eleggere rappresentante delle lotte femminili? Così il Presidente è contento perché non se ne può più con queste donne che pretendono di pensare con la capoccia loro! Che… per caso sai se tua cugina, a tempo perso, dopo che ha sbrigato le sue faccende, si vuol dedicare a fare la rappresentante donne? Sai, ci servono anche le esponenti provinciali e comunali….meglio andare sul sicuro e fare tutto in famiglia. Così nacque la consulta “propaggine”. Espressione del talento maschile a imbrogliare le carte in tavola. Ma dov’è adesso? Dico, la consulta B, dov’è? Si troverà nelle liste elettorali per l’Europa e per le Amministrative? E le bravissime politiche della Consulta “A” dove stanno? Saranno messe capolista nelle liste? Quelle che son rimaste, intendo. Poiché molte sono oggi con me. Ma quelle che hanno voluto restare e investire ancora sul loro diritto vivere un percorso politico all’interno di Idv saranno messe in condizioni di essere elette? Sarà data loro la posizione di capofila e tutti gli spazi della comunicazione elettorale? Si tratta di essere presenti nei dibattiti televisivi, nelle conferenze stampa, negli eventi organizzati, nei manifesti in tutte le città del loro luogo elettivo. Tutto questo loro non possono organizzarlo da se stesse perché i famosi fondi “per le pari opportunità” non sembrano ancora accessibili, ma il partito farà in modo che si spenda comunque denaro, lavoro, promozione, risorse umane, indicazione di voto agli iscritti. Sarà fatto tutto questo? Non voglio lasciarmi sopraffare dal pessimismo. Spero ancora che tra queste (magnifiche) sette ci siano le bravissime e talentuose esponenti originarie. Anche loro sono della società civile e oltre che buttare sudore e fatica nel partito inseguendo un’idea di società migliore, vi assicuro che appartengono alla società civile. Anzi civilissima: specializzate professioniste in medicina, psicoterapeute, volontarie dell’associazionismo, docenti universitarie, avvocate, ecc. Il lavoro politico lo fanno da molti anni gratis. Anzi no, pagando di tasca propria. Anche le altre, arruolate con l’annuncio che cercava aspiranti candidate tra le “esponenti della società civile”, avrebbero diritto a una vera chance. Si facciano mettere le une e le altre a capo delle liste sia europee che amministrative. Allora andremo bene. ADP Ascolti Dario Franceschini, il segretario PD, o gli altri segretari politici che non trovano corretto far finta di voler andare a fare il parlamentare europeo sapendo a priori che non ci si resterà nemmeno un minuto. Metta le donne capolista e uscirà dall’imbarazzo di dover rispondere sulle difformità da certi principi così ad alta voce enunciati. Perché in capo alla lista? Me lo hanno domandato i giornalisti con i quali ho parlato della faccenda. Perché – mi hanno chiesto – insiste sul doversi trovare, le donne, a capo della lista se questa volta le liste non sono bloccate e l’elettore può scrivere il nome del candidato preferito? Bisogna che io spieghi che non tutti possono avere una fama che suona pronunciando il nome di Levi Montalcini. Se una persona (uomo o donna) ha una fama pari a quella di Levi Montalcini può anche accettare di trovarsi in mezzo o in fondo alla lista e venire ugualmente eletto/a. Salvo la perplessità da parte dell’elettore nel trovare un personaggio di tale portata in un punto qualsiasi della lista, si potrà interpretare la cosa con una nota snobistica del candidato illustre e scrivere ugualmente il nome Montalcini sulla scheda elettorale. Ma chi non è Levi Montalcini, mettiamo si chiami Bianca Bianchi dovrà contare sulle persone che la stimano per le cose che ha fatto nella vita. Tale gruppo di persone, poniamo che sia numerosissimo, dovrà intanto accogliere il programma della candidata e quindi votarlo scegliendo lei. Per votarla e non avere la sensazione di buttar via un voto dovrà credere nella reale opportunità della persona pur stimatissima che si propone. A tale convincimento si arriva attraverso alcuni indizi. Primo indizio: posizione nella lista. Prima di lista equivale a dimostrata fiducia nelle sue capacità da parte del partito che la presenta. Secondo indizio: promozione pubblicitaria della candidata e spazi televisivi a disposizione (che sono in genere concessi ai capolista). Terzo indizio: (che, sapete, insieme agli altri due fa, per Poirot, una prova) il partito sostiene la candidata e lo annuncia ai cittadini. Che vuol dire ciò? Che tutti gli altri candidati non hanno nessuna opportunità di farcela? Non è così. Vediamo perché: – Levi Montalcini è ok. Abbiamo detto che la voterebbero comunque. – L’esponente di partito, con accordi interni può essere eletto/a perché il partito fa per lui/lei accordi tali che può dar come certa la sua elezione. – I ruoli istituzionali già in campo da molto tempo: Parlamentari, Governatori, Consiglieri regionali, provinciali, Sindaci, Assessori; hanno un seguito di consensi se hanno ben lavorato che gli garantisce il voto del tessuto sociale ed elettorale in cui operano. – I capi di grosse aziende con migliaia di dipendenti e con legami nell’indotto, se sono persone stimabili e positive possono contare su un numero di voti tra coloro che sono nella loro orbita. Restano le/gli esponenti della società civile: associazioni, consorzi, organizzazioni sindacali, ecc. Per queste ultime categorie la riuscita elettorale parte dai tre indizi che fanno una prova, ed in mancanza di quelli l’elezione dipende dall’avere disponibilità economica, logistica, di risorse umane, di uffici stampa per programmare la propria candidatura con un’alta percentuale nelle previsioni di riuscita. Il che significa, riassumendo, o che l’esponente della società civile è promosso dal partito, o che sta per tutto il mese precedente le elezioni in ogni spazio di tv, stampa, internet, e blog in rete; oppure la nostra Bianca Bianchi dovrà avere molti mesi di preavviso per poter organizzare a suo modo e con le sue risorse la sua elezione. Quindi mettere in moto un meccanismo per il quale si attiverà ad avvisare tutti coloro che sono nella sua orbita per dir loro che sarà certamente candidata con il partito tal dei tali, che non importa se proprio non è quello che i suoi estimatori preferiscono, poiché trattasi di candidatura indipendente attraverso la quale si porteranno avanti le istanze a cui loro tengono. Con un lavoro capillare Bianca Bianchi può farcela, contattando e facendo contattare più di una volta i suoi estimatori, nella rete di associazioni e gruppi che la conoscono. Lavoro lento, difficile, anche estenuante, ma necessario. Al di fuori di questo, le candidature che portino un voto o mille sono regali dati gratuitamente al partito che ospita le persone che ci mettono la faccia, la storia, e le risorse economiche praticamente senza chance, e per avere nulla in cambio. Oggi mi chiedo chi darà e cosa all’altro. ADP avrà finalmente capito e metterà le donne capolista? Le presenterà in tutte le trasmissioni tv al suo posto? Allora -che bello- le candidate riceveranno una vera opportunità di riuscita. Non sarà così? Mi dispiace prevederlo, ma, nel malaugurato caso, saranno le candidate e i candidati a fornire un regalo ad ADP che farà di loro un uso momentaneo, salvo dimenticarsene quando non gli serviranno più. L’esempio del passato fa da monito: Elezioni 2005: venticinque eletti, tra cui molti cooptati, e tra questi due donne. Elezioni 2008: 43 eletti, quasi tutti uomini tra cui molti cooptati, e tra questi quattro donne. Vogliamo fare il calcole delle percentuali? Ma lasciamo perdere. Tutte le altre: portatrici d’acqua, purtroppo. A cui nessuno dirà grazie. Anzi. “Ma allora – mi ha chiesto la giornalista di un quotidiano – se così fosse quel comunicato sulle candidature femminili avrebbe il valore di una foglia di fico?”. “Praticamente sì – ho risposto – ma è lei a dirlo. Io non son sicura di poterlo dire. O forse potrei dirlo se lo riscontrassi ad elezioni avvenute. Insomma, ci devo andare cauta. C’è sempre una causa in Tribunale aperta e le mie esternazioni devono essere un po’ mediate. Eppoi calma. La speranza è l’ultima a morire. Che ADP si ravveda davvero? Lo spero, per le magnifiche sette, per me che ne sarei felice, e per le altre candidate che si affacciano per la prima volta in questo oscuro mondo della politica. Noi donne tentiamo di fare chiarezza. Anche la causa civile ha questo scopo. Mi scrivono sul blog “Speriamo in un giudice a Berlino”. Io so che ci sono tanti giudici in Italia che sono lì per fare il loro dovere ed applicare l’articolo 3 della Costituzione scritto in sintesi in un cartello affisso in ogni Tribunale “La legge è uguale per tutti”. Sono convinta dello spirito di giustizia che anima tanti magistrati, altrimenti non avrei iniziato da donna senza protettori né potere politico una causa civile contro Antonio di Pietro nella sua qualità di presidente di un partito e ministro delle infrastrutture. Causa ancora in atto, ricordiamolo, pendente presso il Tribunale di Milano. Niente di personale contro di lui. NDP. Ditemi però che cosa viviamo a fare se non possiamo contare né sperare in un mondo più equilibrato e giusto. Roma, 20 aprile 2009. Wanda Montanelli http://www.grnet.it/index.php?option=com_content&task=view&id=790&Itemid=9

PERSA SENZA APPELLO LA PARTITA DEL LIBERISMO SPINTO COSTRUIAMO L’ALTRO MONDO POSSIBILE

E’tempo della contaminazione tra la farina del pane e i byte delle transazioni finanziarie (E VOI BALLATE 3) Pil in picchiata nel 2009 al – 4,3%. Inflazione all’1,2. E il tasso di disoccupazione al 9,2% e al 10,7%. Le stime diffuse nell’Economic Outlook dall’Ocse registrano l’accelerazione del declino. Per la crisi economica italiana e mondiale si invoca a gran voce il ritorno della politica. Si chiede più politica e meno mercato contro l’avidità del libero scambio distruttore del bene comune che ha favorito i ricchi ed i potenti lasciando il resto degli uomini in forti disagi quando non in vera e propria povertà. Il liberismo spinto è fallito perché non ha colmato la rinuncia ideologica dei movimenti operai, così come non si riempiono i frigoriferi con le chiacchiere. Il movimento dei lavoratori rappresenta il grande assente all’appuntamento con la smisurata situazione di crisi globale. Le lobbies finanziarie e politiche che hanno preteso la fine delle ideologie non sono riuscite a dimostrare che l’unica ideologia rimasta, quella del liberismo spregiudicato fosse vincente. Hanno perso anche loro, così come scadono le merci nei magazzini. Sentire che occorre scegliere, con gli stanziamenti del governo, tra promuovere la produzione o dare subito un sostegno ai privi di reddito pare un’alternativa assurda, quando tutti sanno che se si promuove la produzione e non c’è chi acquista le merci che si produce a fare? Inventiamo allora i negozi “a credito”, con il quadernino dalla copertina nera dove i droghieri un tempo usavano scrivere l’importo della spesa di chi non pagava al momento. Soldi veri e subito, ha chiesto Emma Marcegaglia. Finalmente si comincia a capire che se la gente non ha soldi in tasca poi chiudono le fabbriche e le saracinesche dei negozi. Si ritornerà alla concertazione con tutte le rappresentanze dei lavoratori? Auguriamoci che si riesca a capire che dare dei soldi a chi proprio non ce l’ha, nonostante si sforzi di essere ottimista, può essere la soluzione di inizio. L’impulso di partenza al virtuoso giro di acquisti di beni e servizi che entrano in circolo consumo-produzione, quindi lavoro, quindi aumento del Pil. Troppo semplice? Demagogico?. Le semplificazioni non piacciono anche quando costano meno e fruttano di più. Meglio dar fiducia, secondo teorie di comodo che strizzano l’occhio ai dissestatori, a certe banche che hanno scientemente contribuito al disastro nell’attuale economia, o a spregiudicati uomini d’affari, imprenditori e finanzieri che hanno intrappolato i consumatori in una fitta ragnatela di chimere economiche e politiche con la gestione di un’economia a delinquere. L’illusione neo-liberista analizzata a fondo da René Passet, professore emerito all’Università di Paris-I-Panthéon-Sorbonne, presidente del consiglio scientifico del movimento “Attac” (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie per l’aiuto ai cittadini), identifica un nuovo tipo di economia che modifica i nostri rapporti con il tempo, lo spazio, la società. I nostri responsabili politici – scrive Passet – persistono nel credere all’irreversibilità e all’universalità di un sistema che pretende di essere liberale. Tutti, siano di destra o di sinistra, applicano le stesse ricette: deregolamentazione, sottomissione alle leggi del mercato, produttivismo sfrenato. […] Il sistema produce effetti terribili, che rischiano di divenire irreparabili (avvicinati nel tempo e nello spazio, gli uomini sono sempre più allontanati tra loro da disuguaglianze crescenti) e generare precarietà, povertà ed esclusione sociale. La natura è in degrado, la catastrofi naturali si moltiplicano, tutto, anche la vita, viene mercificato.[…] La svolta con cui abbiamo adesso a che fare si annuncia ancora più decisiva: col computer, con l’informatica, l’umanità esce dalla fase del suo sviluppo fondata sull’energia ed entra in un’altra, dominata dalle forze dell’immateriale. Non ci meravigliamo, dunque, se la nave beccheggia e se dobbiamo aggrapparci all’albero maestro [..] è urgente invertire l’indirizzo liberista, mettendo l’uomo e il vivente al centro di ogni attività economica per costruire una società diversa. […] Non si tratta più di ripristinare gli equilibri del passato utilizzando meccanismi già sperimentati, ma di definire nuovi adeguamenti a nuovi strumenti. Trattandosi d’impiego, ad esempio, è il problema della sostituzione dell’uomo da parte della macchina a dover essere affrontato, insieme a quelli del tempo di lavoro, delle sue forme, del suo ruolo sociale. Si richiedono politiche che vadano ben al di là dell’aggiustamento congiunturale: sono politiche a lungo termine, riguardanti le strutture, i modi di funzionamento e le regole della vita economica. Altrettante nuove terre da esplorare. Gli attentati agli equilibri sociali marciano in parallelo con gli attentati globali all’ambiente. Sono minacciati i meccanismi regolatori del pianeta: il buco nell’ozono stratosferico compromette il filtraggio dei raggi ultravioletti, grazie al quale la vita ha potuto espandersi e diversificarsi; l’effetto serra minaccia la regolazione termica della Terra. Il passaggio alla dimensione globale impedisce che si possa continuare a parlare di disfunzioni.[…] Si scontrano due logiche: quella dello sviluppo economico e quella delle regolazioni naturali, la prima delle quali minaccia di distruggere la seconda e per ciò di liquidare ogni sostegno della vita umana. […] Si afferma allora il tema dell’emergere di un’economia dell’immateriale. […] Si dicono liberisti, poiché hanno bisogno di una bandiera e di una ragione sociale, ma è un altro imbroglio. Che liberismo è questo, dove un centinaio di nuovi “padroni del mondo”, grandi signori delle transnazionali, dominano il pianeta? Che criterio è questo, secondo cui gli Stati devono consegnare alle imprese le chiavi del settore pubblico e della protezione sociale, ma con beneficio d’inventario – in nome, ovviamente, dei rischi della concorrenza – sotto pena di citazione in tribunale? Non è certo il liberismo dei padri fondatori: nel 1776 Adam Smith denunciava inequivocabilmente lo sfruttamento del debole da parte del forte; e non parliamo di Marx. No, non permetteremo si dica che questo mondo, in cui la logica finanziaria detta legge su tutto, corrompe tutto e distrugge il senso delle cose, è un mondo necessario. Un altro mondo è possibile: sta nascendo sotto i nostri occhi, è alla portata delle nostre mani, dipende da noi far si che ne fioriscano le promesse”. Perché sia possibile cercare un altro mondo occorrono nuove intelligenze in politica, nel sociale e nelle istituzioni. Nel mondo del commercio e dell’imprenditoria è lenta la maturazione per accettare la inevitabilità di concertazioni. Da soli non si arriva lontano, soprattutto la frase “soldi veri e subito” la coniugherei con l’impatto del virtuale ormai entrato nelle nostre vite e con cui dobbiamo fare i conti. Si spostano denari e merci in pochi istanti con un collegamento internet e se pure gli stessi finanzieri poi hanno bisogno per vivere di “tangibilità”, cioè cibo, oggetti, abbigliamento, case, hotel, non si può continuare a credere che il mondo parallelo delle transazioni sia a loro esclusivo vantaggio, dimenticando che tutto quanto permette la nostra sopravvivenza è dovuto al fatto che un contadino butta i semi sulla terra arata, e un fornaio passa metà della notte a fare il pane. Cosa esiste di più concreto del pane? Eppure è necessaria la contaminazione tra la farina del pane e i byte delle transazioni finanziarie. A meno che non credano i banchieri e i manager finanziari di poter infornare da se stessi ogni notte le pagnotte, ogni mattina innaffiare l’insalata da taglio e ogni pomeriggio imbastirsi i vestiti, devono contribuire a dare, in proporzione ai loro guadagni la quota parte che permette al resto del mondo di esistere, vivere, gioire, produrre. Guarire dalle malattie e dalla fame, trovare una luce in fondo al tunnel della disperazione. La contaminazione riproposta da René Passet e dall’Attac, già ideata da James Tobin nel 1972 e denominata Tobin Tax; ripresa poi nel 1997 da Ignacio Ramonet redattore di Le Monde diplomatique (in “Disarmare i mercati”) dopo vent’anni, ritornando a proporre un’aliquota tra 0,05 e l’1% in tutte le transazioni dei mercati valutari per stabilizzarli e procurare delle entrate per la comunità internazionale, che ammonterebbero secondo i calcoli a circa 166 miliardi di dollari, il doppio della somma annuale utile a sradicare la povertà nel mondo. L’Attac è divenuta una finalità del movimento antiglobalizzazione, che Ramonet disconosce (“hanno preso in ostaggio il mio nome – dichiara – io non ho assolutamente niente in comune con questi ribelli antiglobalizzazione. Naturalmente sono compiaciuto […] Sono un economista, e come molti economisti, io sostengo il libero scambio”) pur confermando a distanza di anni la bontà della Tobin Tax che è argomento molto discusso non solo nelle istituzioni accademiche, ma anche tra la gente comune e nei parlamenti di Regno Unito e Francia e di tutto il mondo. In Canada è stata ampiamente rianimata grazie agli sforzi degli attivisti canadesi negli anni 1990, e nel marzo 1999 la Camera dei Comuni canadese passò una risoluzione diretta al governo per “promulgare una tassa sulle transazioni finanziarie in concerto con la comunità internazionale.” Nel Sud America la Tobin è stata appoggiata dal presidente venezuelano Hugo Chàvez, che ha recentemente annunciato lo studio di un’implementazione della tassa, e dal brasiliano Luiz Ignacio Lula da Silva, tra i pochi, a quanto sembra, ad avere le idee chiare in questo momento: “La crisi è colpa di gente bianca con gli occhi azzurri”. Un sostegno inatteso alla Tobin tax è arrivato dallo speculatore multimilionario George Soros, il quale ha dichiarato che, mentre la tassa va contro i suoi interessi personali, crede che la sua introduzione avrà effetti positivi sull’economia mondiale. La “rivoluzione keynesiana” dell’economista britannico, padre della moderna macroeconomia, John Maynard Keynes, primo Barone Keynes di Tilton scomparso nell”83, ha sostenuto la necessità dell’intervento pubblico nell’economia con misure di politica fiscale e monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregatata non riesca a garantire la piena occupazione. L’idea non è di oggi, anche se adesso si è nell’urgenza di passare dalla teoria alla pratica. Agire con interventi immediati per dare l’input alla vita di tutti i giorni con gli acquisti di alimenti, prodotti e servizi, e contemporaneamente pensare a qualcosa di strutturato per comprare il futuro. Progettare, investire, impegnarsi. Uscire dal guado della precarietà. Immaginare che la mobilità debba essere una scelta per migliorare la propria condizione lavorativa. Per programmare un futuro in acquisto, fatto anche di impegni a lungo termine per pagare l’affitto di casa, o il mutuo; permettersi dei figli, e dare vita a un mercato straordinario fatto di mobili, elettrodomestici, tendaggi, stoviglierie, e se la famiglia cresce pannolini, biberon, baby creme, latte, scarpine, e scuola e quaderni e libri, e vestiti, e vacanze per tutti. Invece è tutto fermo. Qualcuno si muove lì sulla nave in avaria. Sono coloro che hanno scelto di ballare potendo invece fare scelte diverse per “mitigare – come suggeriva J.M. Keynes – il predominio della speculazione sull’intraprendenza. Non certo l’assonante Robin Tax, del ministro Tremonti, che evoca la mai applicata Tobin Tax presentata come tassa sui petrolieri e di fatto consistente in una tassa sull’Eni pagata al 30% dallo Stato, cioè noi stessi. Il gioco delle assonanze e le comunicazioni suggestive prosegue ora con la i Tremonti bond con previsione di centri di controllo collegati alle Prefetture che dovranno verificare che i finanziamenti (obbligazioni speciali) finiscano davvero nell’economia. La dissennatezza di alcuni istituti di credito sarà pagata dallo Stato. Per anni le autorità di vigilanza hanno tollerato che le banche facessero bilanci irrealistici collocando come attive obbligazioni di dubbia qualità e partecipazione in società fatte apposta per nascondere la realtà, titoli tossici, ecc. Intanto Nicolas Sarkozy alla vigilia del G20 di Londra chiede risultati storici, perché la crisi è troppo grave. Il presidente americano Obama, vedette del vertice anche per celebrazioni di venerdì a Strasburgo per il sessantesimo anniversario della Nato, oggi incontrerà il presidente russo Dmitri Medvedev e quello cinese Hu Jin¬ta. Barack è in pieno accordo con la cancelliera tedesca Angela Merkel e chiede misure di forte impatto nell’opinione pubblica e so¬prattutto la certezza di tempi e scadenze. La preoccupazione giustamente incombe sui capi di stato. I segnali di possibili degenerazione della protesta sono già registrati. Quattro dirigenti della Caterpillar di Grenoble, in Francia, sequestrati dagli operai che contestano un piano di licenziamenti di 733 persone, e stessa sorte è toccata all’imprenditore Pinault, proprietario, tra innumerevoli altre cose, della Gucci. In Inghilterra il distretto finanziario di Londra si é blindato per il timore delle manifestazioni di gruppi violenti previste in occasione del vertice G20. Ai bancari della city è stato suggerito di andare a lavorare senza il completo scuro di ordinanza, e i diversi istituti di credito hanno rivisto i loro sistemi di sicurezza. Episodi oramai non più isolati, che si aggiungono alle contestazioni ai manager dell’Aig, come della Royal Bank of Scotland, o a quelli della Sony francese e della 3M Santè che sono stati presi addirittura in ostaggio dai propri dipendenti. Appena meglio è andata al direttore della Continental, Louis Forzy, fischiato e bersagliato da lanci d’uova marce. In Italia abbiamo la dichiarazione del premier Berlusconi che la crisi è grave e che bisogna davvero “produrre” sorrisi e ottimismo non semplicemente limitarsi a suggerirlo. Che sia arrivato il momento di interrompere il ballo e fermarsi a fare le scelte giuste per evitare l’iceberg? Roma 1 aprile 2009 Wanda Montanelli

La compromessa vicenda degli intrecci finanziari d’assalto

. (2. E voi ballate) Rovigo il 13 marzo 2009, all’assemblea degli Industriali si è sentito il grido d’allarme della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che ha ammonito: “La crisi è profonda e pesante. Il vero problema è che la crisi oggi colpisce soprattutto l’industria manifatturiera, colpisce soprattutto il Nord e le imprese migliori, quelle che hanno investito di più, quelle che esportano e che oggi si trovano con fatturati tagliati del 30, 40 e 50% “. La numero uno della Confindustria dichiara con l’occasione di non condividere alcune decisioni governative, come quella per il Ponte sullo Stretto, poiché si devono invece destinare più soldi per completare tutte le piccole opere che potrebbero partire subito. Bersani l’esponente del Pd rinforza da par sua le reiterate richieste di Franceschini sull’assegno ai disoccupati e su una manovra che garantisca un rientro di somme da impiegare anche per le piccole imprese, attraverso misure efficaci come il contrasto all’evasione fiscale e il controllo di alcuni meccanismi di spesa pubblica. Il deciso intervento in Veneto di Emma Marcegaglia chiede poche cose al Governo, molto chiare, per uscire da questa crisi. “Certe cose – ha detto – non possono più essere accettate in un Paese diviso a metà: da una parte chi lavora e affronta la crisi e dall’altra chi vive di spesa improduttiva”. Nella sua analisi del difficile momento economico, ha insistito sulla necessità che le banche facciano la loro parte e che sul controllo, oltre alla vigilanza dei Prefetti, ci sia un ”ruolo attivo anche del mondo imprenditoriale” Giusto. I controlli. Da noi, e dovunque il problema è tra i più dibattuti. Ad alcuni mesi dal default di Lehman Brothers, il mondo è impantanato in una palude economica. Di fronte alla massa di denaro pubblico che i governi devono impegnare per salvare le banche, negli Usa, in Germania e in Gran Bretagna si cercano cambiamenti nei controlli. Gli Usa hanno attaccato il segreto bancario svizzero, in un braccio di ferro con il colosso Ubs. In Europa ugualmente ci si attrezza e Dominique Strass Kahn direttore del Fmi intende affrontare la questione a colpi di dinamite. I paradisi fiscali in cui le banche, anche italiane, hanno società sono: Cayman, Bermuda, Nauru, Panama. Poi vi sono società partecipate in Lussemburgo, Montecarlo, Svizzera. Difendersi dai raggiri è una nuova consapevolezza da acquisire per i risparmiatori. Dopo la mela avvelenata dei mutui immobiliari sub-prime che ha provocato disastri da far crollare le economie americana, europea e asiatica, hanno stabilito record negativi i raggiri di diversi avventurieri della finanza, tra cui Bernard Madoff, accusato di aver ha derubato almeno tre milioni di persone per circa 50 miliardi di dollari, l’imprenditore nipponico Kazutsugi Nami, arrestato a Tokyo con l’accusa di aver truffato 37mila persone per 126 miliardi, il finanziere texano Robert Allen Stanford, che si ritiene abbia messo in piedi un imbroglio da otto miliardi di dollari promettendo ai clienti rendimenti annui del 10 per cento; come pure Charles Ponzi e Richard S. Piccoli che sono riusciti a truffare negli States cittadini e piccoli risparmiatori con una sorta di catena di Sant’Antonio a largo raggio. I liberal americani da Thurow a Krugman hanno denunciato la deregolamentazione selvaggia nella finanza e puntato l’indice verso le responsabilità della Federal Reserve e nelle norme di Bretton Woods (dalla conferenza nell’omonima cittadina New Hampshire da cui derivarono nel 1944 nuovi accordi in campo monetario). In Italia la legge tutela i risparmiatori e le banche possono essere condannate al risarcimento tramite sentenza. E’ da esempio il giudizio sull’anatocismo, cioè gli interessi sugli interessi illegali, vinto in Cassazione dall’avvocato Roberto Vassalle di Mantova, uno dei legali più noti in Italia che in Tribunale ha avuto ragione anche sul rimborso dei Bond argentini. Ci si chiede quanto pesa l’origine sociale e la diffusione del precariato nella crisi finanziaria. Emiliano Brancaccio, docente di Macroeconomia presso l’Università del Sannio e membro della consulta economica della FIOM conferma che il punto per individuare le radici della crisi si trova rievocando il conflitto tra capitale e lavoro. “La crisi in corso – afferma il prof. Brancaccio – può esser letta come un riflesso della pressoché totale assenza di quel conflitto a livello globale. Tutto parte da una constatazione: la debolezza del movimento dei lavoratori ha fatto sì che venisse creato un mondo di bassi salari. Questo mondo però è strutturalmente instabile, e adesso iniziamo a rendercene conto. Ogni paese oggi punta a tenere bassi i salari e la domanda interna, e cerca quindi all’esterno dei propri confini uno sbocco per le proprie merci. Questo meccanismo nel corso dell’ultimo decennio ha funzionato grazie al fatto che gli Stati Uniti hanno agito da “spugna assorbente” delle eccedenze produttive di tutti gli altri paesi. Tuttavia, questa “spugna” funzionava non certo perché i salari dei lavoratori americani fossero alti, ma perché negli USA montava un debito privato colossale, in grado di finanziare qualsiasi eccedenza di spesa rispetto ai redditi. […] Il sistema era ormai talmente drogato che permetteva a un operaio di pagare i debiti di un mutuo accendendo un nuovo prestito, e di rimborsare i soli interessi del prestito attivando una carta di credito, e così via. Insomma, parafrasando un grande economista, Hyman Minsky, potremmo parlare di “ultra-speculative working poors”, cioè di poveri tramutati loro malgrado in ultra-speculatori”. Un così fragile castello di carta era una bomba ad orologeria che alla fine è scoppiata, ma il problema è che a pagarne le conseguenze potrebbero essere ancora una volta i lavoratori, mentre i padroni di Wall Street, che hanno fabbricato quella bomba, potrebbero addirittura guadagnarci. E l’ironia delle conseguenze sta proprio nel fatto che i fautori del liberismo a tutti i costi rientrano dalle loro perdite o ci guadagnano grazie all’intervento dello Stato. Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, è convinto che ci sia il rischio reale per gli Usa di entrare in una “malattia giapponese”, una recessione “lunga un decennio” come quella che ha colpito il Giappone negli anni Novanta ed a tal proposito ha dichiarato che I il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, è stato eccessivamente ottimista a dire che nell’arco di tre anni l’economia degli Stati Uniti uscirà dalla crisi. Bernanke spiega che il piano di capitalizzazione degli istituti prevede che il Tesoro acquisti azioni privilegiate a seconda delle necessita’ nelle 19 maggiori banche del paese dopo averle sottoposte a uno ‘stress test’ con il quale determinare quanto capitale sarebbe necessario per far fronte alle perdite nello scenario peggiore. “Non ci sarà alcuna implicazione di controllo fino a quando le perdite previste nel caso peggiore si verifichino” Wanda Montanelli ( to be continued…)

Differentemente SOCIALE

Nonostante le caste anche musicali, c’è un piccolo segnale di cambiamento nel festival di Sanremo 2009 e altrove Signorina grandi firme a imitazione della moda anni 30 ma in contrasto con l’aria di imbarazzo, gli occhiali e labbra rosse come due papaveri incollati sul viso. Arisa ha vinto e ci siamo accorti che sarebbe successo quando nello straordinario duetto con Lelio Luttazzi il maestro ottantaseienne, in un’irresistibile alchimia di ritmo e sonorità swing, l’aveva accompagnata la sera prima al pianoforte, divertendosi e moltiplicando il nostro divertimento. Tra la politica in disamina di sé, il Pd che ripara il colpo degli ultimi risultati elettorali, gli accordi in itinere dei partiti extraparlamentari per trovare una piattaforma comune per le europee. Tra le notizie sulla violenza e le annunciate prese di posizione dei sindacati in quest’Italia in crisi, che non fa torto al resto del modo, osservare il Festival di Sanremo può essere un sano esercizio per misurare il grado di maturazione della nostra democrazia; in un particolare aspetto, forse anche futile, ma che è lo specchio di come ci si muove negli ambiti del guadagno e del prestigio per trovare sentieri liberi e percorribili o riscontrare consuete chiusure come avviene in circuiti più diversi. Come quelli politici, delle professioni, delle istituzioni, e dovunque esistano mira di conquiste appetibili ai giovani. Vediamo alla lente di ingrandimento una tra le protagoniste delle nuove proposte cercando di capire perché una impacciata ragazza ha vinto il festival di Sanremo, e osservandola schiudiamo uno spaccato sociale forse degno di attenzione. Vestita di nero, con la spallina calata giù, i capelli corti, gli abiti come le ‘signorine’ di Boccassile nelle Grandi firme pubblicate da Pitigrilli, in uno stile anni 30-40 già riproposto dal trio ‘sorelle Pappini’, nato nel 2004 con icona identica nell’abito scuro e il trucco acceso. Arisa, nome ben scelto al posto dell’originale Rosalba Pippa è timida senza infingimenti, e Paolo Bonolis ne ha esasperato la delizia comica osservandola come specie rara da proteggere, tra il sornione e il tenero-protettivo; convalidandone, in aggiunta al dixieland degli accordi musicali, il successo. Bisogna anche dire che la canzone “Serenità” è incantevole, e con la direzione d’orchestra di Federica Fornabaio ci ha concesso di poter intonare un ritornello tutti, vincitori e vinti, nell’esibizione finale e commossa di Arisa. Le note positive di questo Sanremo 2009 sono presto dette, nonostante la bufala iniziale di Mina che si è solo intravista in un video sapientemente costruito che accompagnava il suo lancio discografico. Non ci siamo rimasti troppo male perché lo sapevamo e adesso, fingendo di crederci, siamo pronti a firmare di aver visto Mina a Sanremo, per essere volenterosi e premianti nello sforzo costruttivo del direttore artistico che una volta tanto dopo decenni non ci ha annoiato. Il disincanto, la vena comica dissacratoria, l’assenza di formalità del conduttore hanno aiutato la gradevolezza così come il senso del ritmo e dei tempi dello spettacolo. Superato anche il fatto che non ci ricordiamo nessuna delle canzoni in gara, o quasi, tranne personalmente quella già citata di Arisa e la sofisticata e intelligente “Il bosco delle Fragole” di Tricarico, eliminata come sempre avviene per le migliori, il cui refrain irresistibile tornerà ad allietarci riconquistando i refrattari della prima ora, è chiaro il successo nelle cifre d’ascolto. Allora che cos’è il filo che ci ha tenuti collegati a Raiuno se non il segnale di un piccolo cambiamento del rendere parzialmente accessibile ciò che un tempo era un luogo solo aperto alle discografiche con mezzi di ingresso che ben conosciamo in termini di tariffe e/o scambi in partecipazioni di artisti: un giovane sconosciuto in cambio di un big, così ci si accordava. Oppure con una vera e propria tangente di entrata, un’altra di percorrenza, e il botto conclusivo per chi voleva investire nella vittoria finale. Sì anche questa volta la presenza di Maria De Filippi ha di certo dato un valore all’esibizione del vincitore Marco Carta che dalla sua scuola di cantanti televisivi proviene. Ma non è la stessa cosa. E’una sponsorizzazione lecita. Lo hanno votato in tanti non diciamo di no, e il terreno di coltura in cui in questi anni sono cresciuti i ragazzi che quel programma seguono, ha prodotto semini che si traducono in milioni di messaggi SMS di voto. Niente di male è una forma di scelta popolare anche questa. Tuttavia il piano della ricchezza dell’offerta formativa dovrebbe prevedere un’alternativa al programma della De Filippi, qualcosa di culturalmente diverso per i giovani, anche più arduo, ma impostato su altre basi oltre all’esercizio della vocalità e del comportamento estetico. Mario Luzzatto Fegiz su Corsera ha definito la canzone vincente il trionfo della banalità. Ma chi in questo mare naviga questi pesci piglia. L’assuefazione al gusto elevato deve avvenire con il mezzo di usufruizione più comune che è la tv, oltre alla scuola e alla famiglia che sono le altre agenzie preposte a trasmettere principi e sapere. Se invece ogni giorno si trasmettono fiere delle banalità, ecco che il bisogno di entusiasmarsi dell’audience si indirizza alla semplicicità mediocre che è qualcosa di diverso dalla semplicità raffinata e suggestiva. Tuttavia Amici è un modo legittimo di aprire nuovi percorsi, come SanremoLab, il concorso promosso dal Comune di Sanremo da cui proviene anche Arisa dopo aver frequentato il C.e.t , Centro Europeo di Toscolano (Umbria) di Mogol. SanremoWeb in aggiunta è una vera e propria innovazione con la prima edizione di concorso on line in cui Ania, una cantautrice napoletana presentando “Buongiorno gente” ha vinto l’accesso alla finale del sabato sera. Uno più uno più uno fanno tre. E’ qualcosa in confronto al nulla e alle forche caudine del vecchio sistema. Sappiamo di trucchi anche con i televoti, di apparati per acquistare i consensi musicali per chi ha somme da investire. Pazienza la perfezione non si trova così presto dopo anni di negoziazioni inenarrabili. Bonolis ha registrato suo malgrado delle eliminazioni non previste. Concediamo alla direzione artistica di aver reso più leggero, demitizzato con la vena comica il festival 2009; di aver avuto qualche buon intuito come la scelta del mentore ufficiale. Ma bastava fermarsi lì perché di padrini effettivi in aggiunta che poi hanno determinato la differenza se ne poteva fare a meno. Come molti sanno, numerosi degli artisti in gara nelle nuove proposte erano sponsorizzati da qualcuno di stretta appartenenza familiare o artistica: la figlia di Zucchero Fornaciari, la figlia di Canzian dei Pooh, la corista di Lucio Dalla, Sal Da Vinci spinto da Gigi D’Alessio autore del suo brano, e così via. Niente da dire su abilità vocali, studio e preparazione scenica, ma quanti oltre a quei dieci raccomandati hanno le stesse se non migliori capacità, e forse qualche originale creazione musicale, se non una vera e propria gavetta fatta calcando palcoscenici di terz’ordine magari andando nel tempo libero fare il barista per guadagnarsi la vita? Non mi si tacci di populismo, ma mi chiedo come sia possibili uscire dall’impianto irremovibile delle caste? Perché il figlio del fornaio non può fare il notaio e il figlio del notaio non fa il cameriere pagandosi gli studi per l’università? perché la gara, le gare, della vita non esistono per tutti con le medesime opportunità in partenza? Come si può credere di cambiare il mondo se poi sono sempre gli stessi ad occupare gli stessi posti? I medesimi, in ruoli istituzionali e i figli e i nipoti li ereditano. Nelle università si fanno concorsi ad usum delfini. Nei paesini piccoli o grandi si bandiscono concorsi dove il diploma previsto dal regolamento è l’unico che il figlio del sindaco possiede. Quando si rimescoleranno le carte? Dappertutto e soprattutto in politica? Se ritornando al mondo musicale possiamo rammentare che esisteva una scuola di cantautori genovese da cui un giorno emerse Luigi Tenco che pur grandissimo nella sua arte, non sopportò un sistema di appiattimento di scelte e sponsorizzazioni puramente commerciali. Aveva ragione. Non da uccidersi, ma aveva ragione se la canzone”Vedrai vedrai” riproposta ieri da Ornella Vanoni può da sola rappresentare la dignità d’esistenza del 59mo festival della canzone italiana. Luigi Tenco nel 1967, portava in gara “Ciao amore ciao”, che concluse nella tragedia la sua carriera d’autore. Oggi la scuola genovese, quella napoletana, quella del seminario romano di via Nomentana, sono finite. I talenti ci sono sempre però e dar loro una possibilità di sorgere alla luce del palcoscenico è un dovere di democrazia. Ma in ogni ambito, è un dovere democratico, non solo in quello dello spettacolo. Le opportunità spettano ad ognuno. Se una parola si può spendere in favore di qualcosa che si muove nel senso del cambiamento direi che anche Xfactor è una prima, seria e dura selezione di talenti. Con tutti i benefici dell’errore umano di scelta mi pare che Simona Ventura, Mara Maionchi, Marco Castaldi (Morgan ) facciano sue Raidue un rigoroso lavoro in cui per primi essi stessi credono. Per la prima volta si assiste ad una gara in diretta di provini che si possono superare perché si è bravi senza dover dare nulla in cambio, né soldi, né prestazioni sessuali, né concessioni di diritti Siae, né nulla. Evviva. Sono pochi, ma tangibili segni di mutamento. Ho repulsione per il sudiciume, ma credo doveroso intravedere un bambino vitale da non buttare via con l’acqua torbida.Un piccolo nascituro di informe volontà democratica lo vedo. Lo salverei. In attesa che altri nascano e crescano moltiplicandosi in nuove strade dei diritti alle pari opportunità. http://www.youtube.com/watch?v=2ppf4dmdDSA Wanda Montanelli 23 febbraio 2009