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23
Ott
- admin
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Il servizio pubblico a doppia corsia che radio radicale compie da trent’anni è patrimonio di tutti. Nessuno oggi è in grado di fare altrettanto
Soldi ben spesi i dieci milioni di radio radicale nel contratto triennale. Quanti soldi pubblici si buttano via per dissimulati tentativi di comunicazione democratica, o per opportunistiche sottrazioni di proventi pubblici a scopi privati?
L’alta professionalità delle trasmissioni di radio radicale che garantisce tutti è un modello che va mantenuto per la democrazia dell’informazione. La qualità del messaggio, l’equidistanza nella divulgazione di convegni, meeting, tavole rotonde, è una ricchezza universalizzata di cui non possiamo fare a meno. L’emittente nata nel 1975 su iniziativa di un gruppo di militanti radicali è stata la prima in Italia ad occuparsi esclusivamente di politica creando un modello di informazione nuovo, cristallino, integrale sugli eventi politici associativi e istituzionali. Senza censure, né preventive discriminazioni settarie nella scelta di cosa trasmettere e cosa no.
L’esperienza di Barcamp per esempio, nell’ottobre 2008 presso l’Auditorium dell’Università Popolare in via 4 Novembre, è una delle tante che ha dato voce a centinaia di piccoli gruppi inascoltati giunti a Roma. (Conferenza-BarCamp “La crisi della (non)democrazia”).
I relatori liberi sono partiti da ogni dove portando all’attenzione di milioni di ascoltatori questioni che sono nell’interesse comune anche se snobbati da emittenti pubbliche e private che seguono percorsi meno pluralistici nella divulgazione.
Possiamo dire che radio radicale è il primo e unico esempio di ‘doppia corsia nella comunicazione’, una in andata e l’altra di ritorno. Le notizie vanno e vengono dal centro divulgativo alla gente, dalla gente al centro; dalle istituzioni alla radio, dalla radio ai cittadini che rimandano l’elaborazione di quanto si è ascoltato con proposte analisi, proteste, idee. C’è voce per tutti. Dal Turkestan al Tibet, dalla Sicilia all’Alto Adige. Tutti i partiti divulgano i loro congressi, ogni iniziativa che abbia un significato sociale e un interesse pubblico ha diritto di antenna su radio radicale. I carcerati di radio carcere hanno uno spiraglio di luce dal quale osservare l’esterno e attraverso cui mandare notizie della loro vita al di sotto della tollerabilità umana. L’ultima dalla prigione di Marassi a Genova fa sapere che lì le celle, invase da blatte grandi quanto lucertole, hanno 9 letti in pochi metri quadri rendendo palese a chi ascolta l’alienante privazione di quel minimo di dignità umana che dovrebbe essere garantita anche a chi ha sbagliato.
Radio Radicale ha ideato trasmissioni per comunità di immigrati, interviste di strada, ‘filidiretti’ con ospiti politici. L’archivio storico di radio radicale è un documento pubblico di somma importanza, unico e irripetibile che restituisce a distanza di anni la registrazione di un seminario, la dichiarazione di un esponente istituzionale, il clima politico di un dato periodo. Radio radicale, il più grande archivio della democrazia italiana è storia della nostra repubblica, ed è raffinata scuola di politica. Una storia scritta su piste di registrazione vocale che non può, anche volendo, essere mal ricordata, modificata o interpretata, come potrebbe accadere su testi scritti. Salviamo la radio che è di tutti, anche di chi ha idee politiche diverse o addirittura avverse a quelle dei radicali. L’esercizio di democrazia a cui ci siamo abituati con radio radicale ci mancherebbe, se fosse annullato, come la razione quotidiana di vitamine. Nutrimento necessario per chi ha fame e sete di pluralismo e verità.
Wanda Montanelli
Roma, 23 0ttobre 2009
altre notizie
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01
Ott
- admin
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La lente d’ingrandimento di AnnoZero ancora incentrata sugli aspetti pruriginosi del femminile in politica. A quando un’inchiesta seria e approfondita sulla mortificazione dell’impegno delle donne? Quando si dice una verità bisogna dirla tutta: troppo comodo dirla a metà dimenticando la parte che non ci piace.
Mi domando con rammarico perché Michele Santoro nel suo programma AnnoZero e in altri precedenti non abbia mai affrontato a fondo i tema dell’uso strumentale delle donne in politica di cui la D’Addario è solo una faccia della medaglia.
Ad iniziare dal titolo “No Giampi, no party, viaggio nel sistema Tarantini”. Inviterei il Michele nazionale a leggere il mio post EUROPEE: NO DONNE NO PARTY del 14 giugno di quest’anno che guarda caso nasce dallo stesso problema di come si candidano le donne per le Europee e per le carriere di ogni genere, approfondito poi nel workshop di Fare Futuro, e finito male in famiglia Berlusconi per l’ indignazione di Veronica Lario.
Contatti con la redazione del programma ne abbiamo avuti, ma sempre si è preferito non sviscerare tutto l’aspetto delle mortificazioni femminili che il più delle volte o si vendono, o hanno un protettore alle spalle, o non fanno neppure un passo avanti.
Di storie di donne che hanno militato per anni credendo di poter incidere nel cambiamento della società con la forza delle proprie idee, l’impegno e la dirittura morale ce ne sono a centinaia. Il fatto è che nessuno le racconta perché non servono al medagliere di lotta politica di fazione. Si parla della vicenda della sottoscritta soprattutto in blog e siti liberi, su qualche quotidiano, ma in sordina perché le rivendicazioni di una donna guerriera mettono paura, specie se sono finite in tribunale citando il disprezzo degli articoli 3,2, e 51 della Costituzione; specie se si parla dell’impoverimento già congenito dell’economia femminile ulteriormente aggravato dall’appropriarsi di fondi destinati per legge alla “promozione delle donne alla politica” (Legge157/99, art.3), se si dice che mogli e amanti anche in altri partiti hanno la strada spianata per muovere passi agevolati come con il girello per bambini.
Una causa per danno esistenziale, una richiesta risarcitoria globale di un milione e seicentomila euro, 170 testimoni citati tra cui noti uomini politici e attivisti, due scioperi della fame fino a 42 giorni con l’intervento del presidente Giorgio Napolitano; una stampa estera che ha divulgato la faccenda dal Canada alla Spagna, a tutta l’America Latina. (STAMPA ESTERA). Tutto questo non interessa Michele Santoro che dalla redazione una volta ci ha fatto sapere che ringrazia molto per i contributi documentali che puntualmente riceve dal Comitato che mi sostiene, un’altra volta mi fa chiamare da una loro redattrice per chiedermi di poter invitare delle “giovani attiviste”, che possano parlare in trasmissione della vita interna di partito, e poi quando fornisco loro nomi cognomi e relativi contatti telefonici, prima le contattano e le invitano, poi con un sms annullano la partecipazione (è comunque roba di alcuni mesi fa) per motivi, credo, pretestuosi.
Forse non era piaciuta la canzone che le attiviste avrebbero cantato. Forse si preferisce un tono monocorde che replichi note che ormai tutti sappiamo a memoria.
Concludo affermando che ritengo essere Michele Santoro uno dei più capaci professionisti della televisione. Maggiormente questo mi addolora. Offro a lui e a chi mi legge una fotografia in misura ridotta dell’altra faccia della medaglia, che volendo si può conoscere meglio e fare un vero servizio giornalistico politico e sociale.
Wanda Montanelli
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19
Set
- admin
Il mondo così com’è non ci piace, ma non è il nostro mondo. Neppure gli appelli delle donne Udi ed Onerpo e hanno fatto desistere il padre di Sanaa dai suoi propositi. Fossi il Giudice ne terrei conto.
Come potrebbe essere il mondo governato dalle donne? Intendo dire donne vere, abituate a far quadrare con sacrifici il bilancio di casa, ad educare i figli e trasmettere loro principi morali e valori di base, ad essere rigorose nel far rigare dritto chi a loro è affidato; ad esprimersi ed agire con azioni efficaci contro la violenza che le tocca da vicino come donne e come madri; a trattare l’ambiente e programmarne la decontaminazione per il senso del futuro in eredità ai propri figli.
Le donne sanno essere severe e senza sconti quando è necessario, compiendo e pretendendo sacrifici per obiettivi comuni. Le donne non hanno ancora potuto dimostrare che cosa sanno fare perché i luoghi della politica spesso sono chiusi al talento femminile anche se si tende a negare questa verità che è sotto gli occhi di tutti.
Ogni volta che si esprime l’auspicio di una società in cui le donne abbiano voce e potere decisionale si intende dire “anche” le donne. Ci si riferisce un desiderio di cooperazione tra gli aventi diritto. Non c’è nessuna conflittualità, né avversione agli uomini in quanto tali, che molto amiamo e rispettiamo quando a loro volta ci amano e ci rispettano.
La domanda è invece “quanto onorano i nostri desideri i soggetti preposti alle scelte che ci riguardano?”
Poco. Ci onorano poco e male.
Lo vediamo dal modello dell’esistente che non regge più. Che cosa vogliamo esaminare per primo, i disastri ecologici, la corruzione dilagante, il precariato e il degrado della qualità della vita, l’abbassamento ai livelli minimi del senso morale collettivo?
Che cosa possiamo aspettarci ancora di peggio e di più degradante dell’induzione in schiavitù di minori, di abusi e brutalità, di crescita di bisogni indotti da prototipi di superficialità e vuoto esistenziale.
La violenza alle donne, ricorrente e impunita, anzi premiante per l’immediata popolarità dei malvagi, con primi piani in tiggì di prima e terza serata, inchieste con la lente di ingrandimento su soggetti che da un giorno all’altro possono addirittura lucrare su loro delitto e diventare personaggi degni di attenzione; con l’esaltazione dell’eroe negativo che prima o poi trova emuli per cattiveria, per noia, o per “esistere” in quanto rappresentato dalla tv.
Sarebbe saggio l’oblio su certe efferatezze, invece vengono imposte all’attenzione pubblica.
Questa violenza di cui tanto si parla e contro cui minimamente si agisce, pensate che noi donne non saremmo in grado di vincerla difendendoci in proprio? Avendo l’accesso ai luoghi delle decisioni, credete che non saremmo in grado di iniziare un corso diverso di prevenzione a garanzia e tutela dell’incolumità delle donne e punibilità dei violenti?
Sapremmo, ne sono convinta, programmare la nostra difesa e tutelarci molto meglio di come ha fatto fino ad oggi chi ha il potere di farlo, ma si rivela incapace di agire con fermezza e raziocinio.
Senza obblighi verso nessuno. Libere di scegliere. Affrancate dall’assoggettamento ai poteri forti. Svincolate dall’obbligo di anteporre alle deliberazioni le convenienze del mercato degli scambi occulti, le donne prediligono un progetto di vita che tuteli i diritti di tutti, dei meno protetti soprattutto; che guardi all’equilibrio delle risorse, alla salvaguardia del futuro con il rispetto della dignità umana e la fine dell’aggressione all’ambiente.
La storia di Sanaa è solo l’ultimo tragico tassello di un domino concepito dall’uomo che continua a negare libertà di pensiero, di azione, di felicità a chi non si uniforma al modello maschile, qualunque esso sia. Proprio oggi il padre-assassino della ragazza ha ammesso di aver tentato di ucciderla già da una settimana. Dunque, neanche la staffetta contro la violenza alle donne, promossa da ONERPO e UDI e svoltasi nel centro di Pordenone tre giorni prima del delitto, gli ha fatto cambiare idea. Quasi sia un segno del destino, centinaia di donne vengono a sfilare nella tua città, chiedendo e invocando di non ricorrere alla violenza e tu non sai neppure fermarti per un istante a riflettere. Senza speranza. Fossi il Giudice chiamato a giudicarlo terrei conto anche di questo. E comunque, a parti invertite, non sarebbe mai successo.
Nessuno può oggi affermare che le donne abbiano avuto una chance e non essere state capaci di ottenere il cambiamento che sognano. L’unica colpa che hanno le donne è l’innocenza; quella di non aver mai governato.
Parafrasando il titolo di un film si può dire che sono “Colpevoli di innocenza”.
19 settembre 2009 Wanda Montanelli
FILMATO: Noi colpevoli di innocenza
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02
Set
- admin
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Sesso a gogò ricatti, intimidazioni. Roba da uomini mentre nelle retrovie le donne si occupano di iniziative concrete
Forse è tempo di interessarsi d’altro oltre che di tette a pagamento. Il silenzio delle donne di cui tanto si è scritto durante la calura estiva, non è un vero silenzio, ma una sordina d’obbligo che il sistema impone alla parte femminile del Paese, la più grande numericamente, la più povera di risorse e mezzi. La voce delle donne dà fastidio, anche quando è in toni caldi e persuasivi; anche quando usa argomentazioni civili per legittimamente difendersi da tutto ciò che l’aggredisce, la inquieta, costituisce pericolo per sé, la società, la famiglia, l’ambiente, la cultura. “Gli argomenti delle donne non interessano nessuno” qualcuno prova a dire, ma non è così. Perché un film ci piaccia dobbiamo vederlo, perché un libro ci affascini dobbiamo leggerlo, perché un quadro ci conquisti dobbiamo osservarlo. Quello di cui le donne vorrebbero parlare, bisogna conoscerlo, approfondirlo, pubblicarlo. Non solo nelle riviste femminili, o nelle poche tv tematiche, nei compartimenti stagni dei dipartimenti per le pari opportunità. Per carità utili, anzi indispensabili, ma dovesse esistere una vera democrazia aperta alla cittadinanza femminile non ci sarebbe bisogno dei settori per la parità. Oppure esserci per difendere gli uomini qualche volta vivaddio !
L’espressività e il talento femminili nelle rare occasioni in cui si può dimostrare dà risultati sorprendenti. Senza far la lista delle rare occasioni in cui ciò è successo, oserei sperare che qualche volta è accaduto perché nessuno ha posto volutamente limiti o ostacoli e non perché ci si è dimenticati di mettere in moto il meccanismo di esclusione: muto, sordo, invisibile, ma pazzescamente insormontabile e odioso.
Non sono fantasie. Le donne, quando la competizione è corretta vincono. Quando si concorre a partire dallo stesso punto, si impongono in percentuale notevole. Sono più intelligenti e più brave? No. Sanno che il sistema non giustifica errori di donne che non hanno parti anatomiche in “co-gestione da carriera”, quindi si organizzano, si preparano, studiano, magari cercano di conoscere statistiche sulle domande d’esame e indagare sui testi preferiti dall’esaminatore.
Non sono più brave. Si procurano borracce d’acqua essendo abituate ad attraversare il deserto. Eppure può accadere che gli uomini le temano. Fanno paura per la loro determinazione, la convinzione di avere qualche diritto. Come per esempio quello di scegliere di essere carine con chi le ispira a prescindere dal bisogno o dal tornaconto. Libertà di donne. Indipendenza vera. E’ la cosa che più spaventa gli uomini abituati a comprarle le donne. A comprarle con denaro, offerte di lavoro, o promesse di carriera.
La sofferenza femminile è dovuta a questa incomprensione di fondo, al complesso che fa ritenere negativa la libertà femminile, poiché diventa impegnativo competere con intelligenza paritaria. E senza privare i gli uomini illuminati e veri della esistente considerazione che essi hanno di donne felici incontrate sul loro cammino, bisogna rilevare che l’esasperazione della incomprensione, la paura, i difficili condizionamenti sociali, portano alla violenza di cui in questi giorni non si fa che leggere e sapere. Ma più di tutti è deleteria la cattiveria dell’ignoranza. L’incultura.
Donne violentate, uccise, rese schiave, vessate.
“Si dovrebbe andare in piazza! Farsi sentire!” si scrive nei blog e in qualche quotidiano che d’estate ha pensato bene di trovare un argomento insolito.
Ma noi in piazza ci siamo! Chi lo sa?
“Le donne dovrebbero organizzarsi! Come mai tacciono?”
Ma siamo organizzate! Parliamo! Cerchiamo di far sapere le cose… Chi lo scrive?
Contro la violenza sono innumerevoli le iniziative, ma poco se ne sa.
Questa dell’Udi ha attraversato l’Italia. Dalla Sicilia alla Lombardia. Regioni, province, centri piccoli o grandi, migliaia di donne vanno da una luogo all’altro, da una piazza centrale ad una via periferica, da un teatro, a un centro estivo; di giorno di notte, dovunque per protestare contro la brutalità. Si chiama “Staffetta di donne contro la violenza alle donne!”. Ha per simbolo un’anfora che viene consegnata dalle porta-staffetta da sud a nord, dalle alpi alle Piramidi. E’ partita da Niscemi il 25 novembre 2008 dove è stata assassinata Lorena Cultraro, di 14 anni. Finirà a Brescia il 25 novembre 2009 dove è stata assassinata Hina Saleem di 20 anni.
Migliaia le associazioni interessate. Ognuna con suo colore sociale o politico ma plurale nell’interesse comune in difesa delle innocenti. Un’iniziativa di donne per le donne che ha la dignità di essere rappresentata, anche se nessun partito vi si riconosce o può metterci il cappello. Per una volta c’è qualcuno che può interessarsi di una manifestazione sociale a prescindere?
E’ una cosa di donne, donne, donne. Punto.
Il 12 settembre la staffetta sarà a Pordenone.
L’hanno organizzata un gruppo di volontarie, insieme alle due portabandiera Onerpo e Udi. Francesca Costa e Zanette Chiarotto, con Franca Giannini, e le ospiti Aura Nobolo, Santina Zannier, Alessandra Battellino, Maria De Stefano.
Ci stanno lavorando da tempo. Ci mettono il cuore, il tempo e ogni risorsa disponibile. Andiamoci nel nostro interesse.
Wanda Montanelli
LA LOCANDINA E L’INVITO
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21
Ago
- admin
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“Alla politica si è sostituito il potere” (Concita De Gregorio da suo art. “Ribelliamoci come in Iran e in Birmania”). Vero, verissimo.
Pochi si rendono conto che uno degli strumenti per controllare le masse è il sistema fiscale e l’attuale crisi finanziaria. Le donne ed i giovani sono le vittime “eccellenti” da sacrificare per rendere inoffensivo il punto di intolleranza che divide l’illusione di esseri liberi dalla certezza di non esserlo.
Il silenzio delle donne italiane (e non mi riferisco alle poche consapevoli del procedimento dissolutorio della società “civile” che si sta perpretando a livello globale) non è un’anomalia ma la conseguenza psicologica dell’illusione di una democrazia inesistente.
Le donne italiane tacciono perché è stata tolta loro anche la responsabilità morale di gestire il privato. Vessati economicamente i cittadini non possono godere una vita di reale benessere e trascorrono la maggior parte del tempo a far quadrare i conti. E’ importante che i cittadini non pensino e soprattutto che le donne non si evolvino. Le donne sono un elemento della popolazione sovversivo con l’ossessione di proteggere il futuro. Private dei beni essenziali (lavoro, famiglia, istruzione, informazione, etc.) saranno sempre più disposte ad accettare patti moralmente illeciti pur di sopravvivere. Nel mentre il silenzio.
Credo che il tempo delle analisi sia scaduto. La rassegnazione che ci ha imposto il patriarcato per lunghi secoli ha lasciato il posto all’indifferenza. La cura all’apatia è una buona dose di disobbedienza civile. Solo la piazza può rallentare questa agonia e solo le donne possono protestare ed alzare la testa prima che il sistema le travolga definitivamente. La disoccupazione intellettuale di molte rappresentanti femminili non è giustificata se non dal profitto personale e va assolutamente individuata ed isolata.
I movimenti femminili non hanno bisogno di una parte politica o sindacale nella quale riconoscersi ma devono conquistare tutti gli spazi scelleratamente concessi nel tentativo ingenuo di rivalersi in silenzio. Tali movimenti dovrebbero agire in piena autonomia e coesi nell’obiettivo di ridare voce alla questione femminile.
Agitare le bandiere della libertà di lavoro o della tutela economica dei lavoratori è un’arma a doppio taglio che attraverso l’acquisizione di strumenti finanziari al servizio del potere può rovesciare il senso di qualsiasi lotta.
Avendo quindi formulato tutte le analisi oggettive possibili dobbiamo assolutamente escludere coloro che ci indicano terapie in funzione della diagnosi del Paese.
Non esistono emergenze che non siano state create ad hoc se non quella di uscire dal silenzio-consenso ed entrare nell’urlo del rifiuto.
Poiché il sistema attuale si è raffinato nel mascherare la tendenza autoritaria in autorevole, occorre fare attenzione al gioco di opposizioni mediatiche e di stampa funzionali al coordinamento di un nuovo ordine sociale. Questo di fatto sta accadendo attraverso la nomina di un organigramma che dall’economia e finanza alla pubblica amministrazione passando per la magistratura e finendo ai corpi militari conta un numero sempre crescente di asserviti alla demolizione del servizio sociale propriamente detto.
Noi donne possiamo rompere il silenzio e uscire dalla sudditanza solo se da controllate ci controlleremo da sole (un po’ come fanno le banche).
Dovremmo stabilire il prezzo di una decisione dopo aver smesso di lamentarci e di essere docili.
Anche il tempo dello sdegno è scaduto e la prostituzione domestica e pubblica deve essere ingoiata dall’azione collettiva.
Le soluzioni troveranno la loro materializzazione attraverso l’azione coordinata di leaders motivate dall’essenziale e prive di rancore. C’è bisogno di voci pulite e forti capaci di trascinare in piazza più della metà della popolazione. Coloro che affermano la liberazione femminile da una parte e dall’altra servono i responsabili di crimini contro l’umanità come la violenza globale contro le donne vanno isolati .
Il ricatto della sopravvivenza può essere sconfitto solo attraverso il ripristino della dignità collettiva (visto che quella individuale è stata attaccata fino all’osso).
Dobbiamo riprendere la corsa verso l’indipendenza inseguendo un solo obiettivo: l’indipendenza stessa. Certe che qualsiasi compromesso può divenire strumento (specie quello finanziario) di inibizione di qualsiasi forma di lotta dovremo restare vigili e ricominciare a contarci.
Anna Rossi
Resp. Relazioni Esterne O.N.E.R.P.O.
21 agosto2009