La realtà rovesciata del Guru a capo del governo
“Datemi quattro tv e prenderò il mondo”, disse Agnub lo stregone mentre andava verso la sua terra di conquista. Come ogni abile negromante conosceva i riti propiziatori essenziali per conquistare l’anima del popolo e disse ai suoi adepti che avrebbe solo chiesto un po’ di tempo per metterli il atto. Non sperava nemmeno di durare decenni, e semplicemente si beava del successo momentaneo della sua discesa in campo. Aveva da poco aperto orizzonti fantasiosi per le donne italiane e loro gli scrivevano i migliaia di lettere ogni giorno per ringraziarlo del regalo inaspettato dei programmi mattutini. Le soap opera, le fiction, intervallate da pubblicità di detersivi, opere sapone appunto, perché dirette al target femminile casalingo. E’ stata forse la prima divulgazione mirata ad ampio raggio. Erano i primordi della Coltivazione. Il Guru iniziava a considerare il popolo entità duttile e manipolabile attraverso la forgia televisiva . Ciò che Berlusconi ha fatto da quegli anni in avanti non l’ha inventato lui. Sicuramente ha ottimizzato un sistema già esistente avendo tv e denaro a disposizione. Due leve potentissime. Deità a cui si inchinano in molti senza distinzioni di età, razza, sesso, religione. Totem moderni di alto appagamento nel rituale pagano. Da quella volta il guru ha capito di essere invincibile. Per continuare ad esserlo doveva accogliere tutti “i coltivati” nel mondo virtuale, non importa se simile, somigliante, o opposto a quello reale. La dimensione del virtuale doveva apparire l’unica verità possibile e all’occorrenza confliggere con la realtà, quando quest’ultima fosse stata scomoda o sconveniente per i suoi progetti. “Mi ameranno, eccome se mi ameranno!” pensava Berlusconi quando iniziava a fondare un partito proprio. Ed in virtù di questo amore ha cominciato a curare il terreno di coltivazione con investimenti e offerte incentivanti, simulazioni di risultati, ricerche di mercato, indagini sui desideri del popolo. Ha puntato sui sogni semplici degli italiani, tanto scontati da essere a portata di mano, e conoscendoli nel dettaglio, ha dato la sensazione che si potessero toccare con mano. Non importa se visibili o raccontati, gli oggetti del desiderio erano davanti a chi voleva bearsene, pronti subito nell’immagine tv, o ipotizzati nel possibile arricchimento di sé, in un mondo virtuale immediato o reale solo intravisto nel futuro. L’abilità di far sconfinare l’immaginario tra i due mondi è il gioco vincente del guru, che quando non sa affabula, quando non dà promette, quando ha torto narra di aver ragione. Se avesse deciso di coltivare champignon lo avrebbe fatto con lo stesso rigore scientifico. Ha deciso invece di coltivare consensi elettorali e si è dotato di tutto l’occorrente. A cominciare da strenne sorprendenti. Per le casalinghe abbiamo già detto le telenovelas, per i ragazzi in età adolescenziale spassose fiction americane del tipo dei Jefferson, per gli omaccioni frustrati esibizioni di forme straripanti in donne disinibite come nel programma “Colpo grosso” . Ha dato agli italiani ciò che volevano. Si è reso riconoscibile e familiare come specchio delle debolezze umane, condonate a se stesso con generosa indulgenza. Pertanto ha condotto a sé tutti coloro che non riconoscono le autorità giudicanti: ogni uomo se vuole sbaglia, pecca, infrange la legge. Deve essere capito e assolto per la sua debolezza, altrimenti, che diamine, la scomoda legge si cambia. Molti vorrebbero poterlo fare. Ognuno per una legge personale che gli dà particolarmente fastidio. L’identificazione in Berlusconi è in questo auto-assolvimento, più che nell’ammirazione dell’uomo fatto da sé nei confronti del quale i più deboli non possono competere. Beppe Severgnini cita Giorgio Gaber il quale afferma di aver paura del Berlusconi che ha in sé. E’ questo il senso primario che porta i sondaggi di un popolo mazziato a dire ancora di sì al guru premier. Per ricondurre alla teoria della coltivazione un ritorno ai programmi tv dell’inizio può rimarcare un ulteriore passaggio, un salto di qualità dalla la tv provinciale e localizzata all’omogeneizzazione nazionale del prodotto televisivo, creando cioè programmi simili a quelli della Rai nazionale con l’acquisizione di personaggi popolarissimi nei quali si identificava l’offerta televisiva di Stato. Il primo a fare il passo fu Mike Bongiorno. Era il 1983. Il presentatore conduceva in Rai l’ultima puntata di Flash e Berlusconi era seduto tra il pubblico nel teatro degli Studi Rai alla Fiera di Milano. Era prevista una cena di chiusura con tutti i partecipanti all’ultima puntata, ma Mike Bongiorno disse che sarebbe andato via con Berlusconi per firmare un nuovo contratto per la tv privata del Cavaliere. In seguito altri beniamini del pubblico furono attratti da Canale 5. I motivi dei repentini abbandoni della Rai erano essenzialmente due. Le cifre d’ingaggio mai viste nella tv di stato e Mike Bongiorno. Se Mike, personaggio simbolo della tv nazionale, era passato a canale 5, tutti gli altri potevano farlo senza timore di sminuirsi. Berlusconi però non poteva permettersi a lungo di imitare i programmi Rai sostenuti dal canone, ed ha perciò iniziato a produrne sempre più banali e poco costosi andando a solleticare i desideri meno confessati del pubblico: tette al vento, narcisismo, facili quiz, ricchezza e denaro come obiettivo da conquistare in cambio di concessioni. Scuola banalissima di vita, dottrina del disimpegno gaudente e dovuto. Con un unico obbligo: essere belli (naturali o plastici non importa), essere giovani, e soprattutto pronti a vendersi senza troppe storie. La domanda che mi preme, occupandomi del femminile in tutte le complesse prerogative che l’ambito esprime, è: “Quando ha iniziato Berlusconi a odiare le donne?”. Che le donne non lo amino è evidente. Le ragazze, intendo dire, quelle che riempiono la sua vita in stranissime notti di sessualità mercificata a tinte forti, non lo amano. Possono chiamarlo, papi, o tesoro, o amorino, ma quando l’osservano vedono piuttosto che la sua faccia le stelline filigranate delle banconote da 500 euro. Un bancomat. Non si ama un bancomat, lo si considera per l’utilizzo che se ne fa. Lui però disprezza le ragazze che si porta in casa. Non ha stima dell’autonomia e dell’intelligenza femminile. Sa che esistono donne di ingegno pari o anche superiore al suo, ma è tale la sua disistima odio o paura delle donne che deve necessariamente ridurle a oggetto di compravendita. Mercificarle. Pertanto renderle innocue. Così ragazze di facili costumi entrano in importanti ruoli istituzionali in cambio di sesso dato o procurato. Cerco di capire. Senza giustificarle osservo la scorciatoia. Una di loro in un colloquio a quattr’occhi potrebbe dirmi: “Esiste un’altra strada per le donne in politica?”. Io potrei elencare tante persone che ce l’hanno fatta da sole, ma sarei in imbarazzo per il numero rilevante di quante altre passano per la scorciatoia. Certo non sono esaltanti esempi da ammirare. Mi piace di più chi si affanna contro le storture del mondo avendo poche possibilità di riuscita ma affrontando le difficoltà con coraggio. Mi piacciono ragazze concrete in ogni campo, anche in quello difficile dell’arte. L’altra sera mi ha dato molta gioia un’intervista a Giusy Ferreri che ha puntato sul suo talento, lo studio musicale e l’impostazione timbrica della sua singolare voce. Arrivata al successo questa straordinaria ragazza non lascia ancora il suo posto di cassiera part-time, piuttosto chiede l’aspettativa. Concreta, razionale, ma anche bella e fantasiosa. Non si aspetta regali dalla vita, pertanto non lascia il lavoro. Mi piace l’intelligenza di donne come Margherita Hack che la scienza non ha distolto da un gratificante rapporto di coppia con l’uomo che ha sposato nel ‘44. Mi piace la bellezza sensuale e umana di un’attrice come Marilyn Monroe, che pure ha avuto amanti potenti, ma ogni volta se n’è innamorata, tanto da morirne. Lei non credo vedesse un bancomat quando John Fitzgerald Kennedy andava a trovarla. La bellezza è un valore, quando è unita a intelligenza e stima di sé rende le persone preziose. Così splendide sono le donne che credono tanto in se stesse che non esiste prezzo per comprarle. Questo dovrebbe essere il messaggio verso i misogini che abbassano a livelli di degrado la qualità dell’esistenza femminile. Vent’anni di coltivazione delle coscienze operata da Berlusconi non si riequilibrano con poco. Occorrerà una de-programmazione rilanciando persone di qualità morali, esempi di uomini o donne che raggiungono gli obiettivi della loro esistenza con la quotidiana fatica. Necessita una diversa rappresentazione dell’esistente, che poi è la fotografia della maggioranza degli italiani. Occorre farla vedere questa immagine di reale competitività di coloro che nascono bravi e corretti o lo diventano con l’impegno. Basta con i tronisti, le veline, basta con sculettanti donne o uomini in cerca del protettore che acquisti le loro beltà per disprezzo, non per stima, né per amore. Basta con i lelemora di turno. Basta con parentopoli, amantopoli, scuole televisive di degrado. Indottrinamenti sulla magnificenza del disimpegno e la vita facile propinate ai nostri ragazzi. Basta vendere, basta comprare corpi e coscienze umane. La misura è colma se ora dalla fiction si è passati alla legittimazione istituzionale di comportamenti che se pure non fossero reato spostano la interiorità umana ai livelli sempre più bassi di decadimento. Aprite le porte delle istituzioni alle donne, ma senza quote. In gara aperta, in liste alternate dove ognuno se la batte per il valore antropico e politico che rappresenta. Basta listini con le fidanzate e le zie del governante di turno. Berlusconi ha esasperato gli spazi che il sistema ha messo a disposizione. Ma non ha inventato lui tutto il male sociale e politico dell’esistente attuale. Lui l’ha usato a meraviglia. E quando Berlusconi se ne andrà, spero verso una sana vecchiaia, gli altri siano migliori di lui. Si facciano aiutare dalle donne per iniziare la nuova età dell’oro, da soli rischiano di perdurare nell’egoismo misogino che non porta lontano da dove siamo ora. Insomma vorremmo essere più ottimisti sul dopo-berlusconi. Wanda Montanelli, 21 gennaio 2011Scilipoti e Razzi… e sono dieci! Ma come fa Di Pietro a scegliere i parlamentari fuggiaschi?
Ha un’abilità speciale. Li sceglie in prossimità delle elezioni. In genere lanciando una sorta di Opa (Offerta pubblica di acquisto). Ve ne sono diverse, pubblicate sulle più note agenzie di stampa. Lo dice apertamente e se ne vanta. Anni fa, nel corso di una riunione dell’Esecutivo nazionale a cui presi parte, invitai Tonino ad affidarsi a persone sicure, a chi nel movimento si era speso per molti anni dando prova di affidabilità, concretezza, idealità. Gli dissi che erano tanti, donne e uomini, a costituire il tessuto connettivo del partito del quale fidarsi. La questione all’ordine del giorno (era il luglio del 2006 in via dei Prefetti a Roma) riguardava l’opportunità di entrare nel gruppo dei Democratici. Gli ricordai l’amara esperienza dei Democratici dell’Asinello e aggiunsi che si può andare ovunque avendo una rete di persone su cui contare. Donne e uomini che a contatto con altri in coalizione potevano creare sinergie e tener sempre presente quali sono le fondamenta di costruzione di un movimento. Le basi su cui si poggia tutta la struttura partitica i principi statutari e il programma. Lui rispose che non era un problema, che non gli interessava nulla di tutta questa gente del partito e che non aveva bisogno di loro. Questi si aspettano addirittura di essere candidati! Mentre un po’ prima delle elezioni ci sono folle pronte a saltare sul carro elettorale Idv. Altra gente, diversa da chi conosce da tanti anni, aspiranti concorrenti che apportano linfa nuova. Mi pare che più che linfa si siano incassati tanti problemi e fregature. Ma Di Pietro è affascinato dalle novità. Persone le più diverse, e quale sia l’elemento principale del loro appeal non è dato sapere. A parte alcuni casi di personaggi popolari come Franca Rame o Pietro Mennea e pochi altri, sono capitati in Idv stanchi riciclati di altri partiti, millantatori di consensi mai dimostrati, azzeccagarbugli, traffichini, e incolti maneggioni. Brutti e rozzi non in maniera occulta. Evidenti al primo sguardo, perché se osserviamo le facce di alcuni di loro davvero non si capisce come Di Pietro si sia fidato ad accoglierli e non abbia sussultato per la paura al nel vederseli davanti. Invece ha steso tappeti rossi e li ha fatti eleggere. I parlamentari raccogliticci che l’Idv si è ritrovata nel tempo sono fuggiti poi verso il miglior offerente privando il Movimento di tanti bravi attivisti respinti nelle retrovie. Restati in ombra. Tutti quelli che per anni hanno speso tempo e ingegno a far crescere l’Idv e che Di Pietro non ha preso in alcuna considerazione. Un maltrattamento che sono in tanti ad aver subito, specialmente le donne, che una per una ho conosciuto nelle loro prerogative quando ero a capo del Dipartimento Pari Opportunità, lavorando all’emersione e al riconoscimento dei diritti di cittadinanza di attiviste e dirigenti con elevate qualità umane e politiche. In alcuni leader si identifica talvolta una sorta di sindrome di Laio che distrugge i figli migliori, proprio perché li riconosce in quanto migliori e li teme. E’ una teoria di cui parlava Donnici con alcuni di noi per tentare di capire certi meccanismi mentali di respingimento dei più valenti in Idv. Accade nei partiti, nelle società, nei posti dove quotidianamente si misura il talento. Beniamino da neuropsichiatra approfondisce i motivi di ciò che a noi sembravano inspiegabili contorsioni mentali. Più semplicemente dalla mia esperienza posso tentare di capire perché Di Pietro ha avuto un fare sprezzante con la componente femminile del suo partito. Andando a ritroso nel tempo è un fatto documentato che ha voluto eleggere oltre il 90 per cento di parlamentari maschi e ha tenuto all’angolo le donne che pur preparate e capaci non si sono risparmiate nella costruzione della casa comune, ed hanno dimostrato di non essere inferiori in attitudine, passione e impegno politico. Nel primo anno la scelta era di 21 uomini eletti contro un’unica parlamentare alla Camera dei Deputati. Tutte le altre le ha respinte con sprezzo e fastidio, nonostante i brillanti curricola. Mi chiedo quanti dei parlamentari fatti eleggere da Di Pietro abbiano redatto lo Statuto, quanti scritto il programma dell’Unione per l’Idv, quanti creato una rete di donne e incentivato circoli andando sin dal 1998 in giro per l’Italia in treno o in camper; quanti fondato il primo organo di stampa, gli uffici comunicazione, i circoli per l’Ulivo in rappresentanza di Idv, i primi dipartimenti. Quanti abbiano ideato sportelli e accoglienza per la cittadinanza, progetti comunitari, manifestazioni contro la violenza. Uno dei consueti progetti lo presentai in occasione, della riunione in sede nazionale già citata. Era una serie di eventi da fare nel 2007, anno europeo per le Pari Opportunità, con i fondi previsti dall’art. 3 della legge 157/99, previsti e dati al partito “Per la partecipazione attiva delle donne alla politica”… Lui, Di Pietro, disse che si trattava di un progetto bellissimo, che però non avrei dovuto svolgere io, ma qualcun’altra che ancora non sapeva chi sarebbe stata. Rammento che Franca Rame sconcertata prese le mie difese pur non conoscendomi, e che in molti si mostrarono dispiaciuti per la sua scortese risposta. Alberico Giostra, il giornalista autore de “Il Tribuno” spiega, nella prefazione del suo libro, che Di Pietro e Berlusconi sono due facce della stessa medaglia. Sono padroni dei partiti che hanno fondato ed hanno una serie di curiose rassomiglianze che invito ad approfondire nella lettura del corposo manoscritto edito da Castelvecchi. Per la mia esperienza posso sicuramente confermare che nel rapporto “donne e politica” le somiglianze ci sono eccome. Tutti e due, salvo poche eccezioni, non fanno avanzare di un passo donne che non siano loro propaggini. Diramazioni cioè di se stessi. Donne di cui fidarsi per l’esclusività del legame e il condizionamento che le lega al proprio volere di “presidenti padroni”. Sono questi gli uomini che con la loro visione machista del mondo impediscono quel camminare insieme che è il primo fattore di crescita della democrazia. Ma un’analisi profonda di questa nostra asfittica democrazia bisognerà farla per bene. Ieri sera Rosy Bindi ha spiegato, battendosi energicamente in tv a Ballarò, la defaillance culturale che stiamo subendo. Coltivati in un clima privo di sani principi registriamo il proliferare di eventi negativi come la compravendita di voti in parlamento. Nemmeno più nascosta ma alla luce del sole. Che possiamo aspettarci di altro? Per cambiare occorre prima capire dove si è sbagliato. Intanto non si può che constatare che chi semina senza aver cura del terreno raccoglie turzi. 15 dicembre 2010, Wanda MontanelliIl saccheggio dell’Italia è al minimo storico del degrado. La Politica sporca ha finito di disonorare le istituzioni, o il peggio non è ancora arrivato?
Devono pagare i mutui, sistemare il parentado con incarichi lautamente remunerati, aumentare le occasioni di guadagno e di potere, assicurarsi catene di consensi con il sistema dare-avere, prendere a piene mani tutto il possibile finché dura. Un saccheggio dell’onorabilità italiana politica e istituzionale senza precedenti. Niente attecchisce in un terreno non idoneo, e sappiamo quanto la corruzione sia nel tempo permeata a tutti i livelli politici e istituzionali. Tangentopoli, nonostante gli errori, è sembrata nel ‘92 una sterzata brusca verso un cambiamento di rotta. Si era ritenuto di aver raggiunto il massimo livello di tollerabilità, gli italiani erano in piazza a protestare contro la corruzione, gli imprenditori stessi testimoniavano il loro obbligo a versare tangenti per lavorare, i costi dei lavori pubblici avevano assurdamente indebitato le casse dello Stato. Occorreva una svolta. Un cammino virtuoso verso scelte di pragmatismo congiunte a dirittura morale. Un nuovo corso della politica. Per il bene di tutti. Per il nostro Paese che merita di essere governato bene. Senza ideologie primitive, ma con cuore e testa verso la crescita comune. L’ambizione di un politico di dare il meglio ai suoi rampolli è più che legittima. L’errore è nel ritenere che il proprio figlio debba scavalcare tutti per arrivare primo in un posto che non merita. Lo sbaglio è far trovare, ad un amico, prenotazioni immediate nella struttura Asl non tenendo conto di una lista d’attesa che dura mesi per milioni di cittadini. La pecca grave è nel creare corsie preferenziali a mille all’ora per pochi invece di lavorare a percorsi giusti per tutti. Volere il meglio per la propria famiglia è la mission di un uomo di governo. La trave che acceca la sua ridotta visione del mondo è il ritenere che i consanguinei siano il centro del suo esistere, la sua famiglia. Lo scopo primario di chi governa deve essere invece il benessere dei cittadini che a lui si affidano. “Governare con la diligenza di un buon padre di famiglia”, è l’obbligo del capo di un condominio che gestisce beni in quantità e valore ridotti. A maggior ragione, diligenza, operosità, controllo sulle spese e riscontro dei risultati deve essere alla base della condotta di ogni amministratore pubblico, sicché la famiglia comune ne verrà avvantaggiata, e con essa anche la propria di consanguinei. In questo consiste il compito di buon padre di famiglia dell’uomo pubblico, sia esso ministro della repubblica, premier, o consigliere a Monterone. I vinti della politica italiana sono sotto gli occhi di tutti. Il fallimento è evidente. E’ vinto chi compra è vinto chi vende. Le ideologie sarebbero finite da decenni, l’idealismo è solo una larvata idea di come si vorrebbe un mondo migliore. Inesistente nei tanti amministratori che si comportano come se il mondo finisse domani mattina e acchiappano a piene mani. Una vergogna. Ma loro non sanno cosa sia la vergogna. Sono maldestri e incolti, sono cresciuti nel ventre molle di un’Italia di maghi e fattucchiere, credono in fortune alla Vanna Marchi cresciute sulla povertà morale e incentivate dalla paura e il bisogno altrui. Questi indegni amministratori pubblici che ci ritroviamo devono sparire dall’opera pubblica. Andarsene per sempre. Hanno talmente poca stima di sé che sono un cattivo esempio per i loro stessi figli ai quali tengono e per i quali apparentemente si macchiano di reati forse penali, certamente etici. L’Italia non merita la loro goffaggine morale, il loro pressapochismo, la vista corta e il senso ineluttabile da fine del mondo che li fa godere tutto il godibile adesso, subito e a dispetto di tutti. Sono vinti in partenza. Sono poveri di spirito. Non sanno costruire che l’indiscutibile benessere della propria fugace esistenza. Devono lasciare il campo libero per ricominciare daccapo. Sperando che toccato il fondo non si possa che risalire. Roma 12 dicembre 2010, Wanda Montanelli