Liberamente cosa? Liberamente Silvia avrebbe scelto di convertirsi all’Islam?

Qui non è in discussione il diritto di ognuno di noi di scegliere di convertirsi, abiurare, cambiare il proprio credo religioso o decidere di essere agnostico. È il termine “liberamente” che contrasta con l’analisi degli eventi, dato che conosciamo tutti la vicenda di Silvia, abbiamo empaticamente partecipato all’angoscia della famiglia, allo stupore e la frustrazione dell’organizzazione che si è vista privare di una propria convinta attivista dei diritti umani, ed abbiamo tremato come donne che si occupano di pari opportunità e di tutela del femminile, nell’immaginare il pericolo in cui la cooperante Silvia Romano si è trovata dopo il rapimento.

Le donne trattate dai terroristi con attenzione senza calpestare i loro diritti?

Secondo le immediate dichiarazioni pubblicate da esperti psicologi interpellati sul caso non si tratterebbe di Sindrome di Stoccolma che potrebbe dare una connotazione plausibile e forse risolvibile nel tempo, attraverso appropriate cure come rinforzo psicologico,  analisi e deprogrammazione. Immagino che ci sia dell’altro purtroppo, e il timore è che Silvia non sia ancora stata “veramente” liberata, e sia tuttora allacciata a qualcosa o qualcuno con una sorta di cordone ombelicale che la tiene ancorata ai luoghi dei “padroni” della sua esistenza; coloro i quali quando lei ha chiesto un libro le hanno portato l’unico ammissibile da leggere. Non tre libri, – per esempio: il Corano, il Vangelo e magari un testo sul buddismo del Dalai Lama, ma un solo libro. Questa univocità del pensiero tutto può essere fuorché libertà. Questa idea ci allarma come donne che hanno combattuto per l’emancipazione femminile, e ci rabbuia nel timore di perdere – con un caso esemplare così mediaticamente esteso – le prerogative di vera liberazione in cui crediamo.

Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Salute mentale del Fatebenefratelli-Sacco di Milano, afferma che il lieto fine dell’incubo di Silvia Romano, arriva nella fase più delicata dell’emergenza coronavirus come ‘unmessaggio di liberazione collettivae rappresenta dunque, nell’analisi dello psichiatra, ‘un simbolo di liberazione’, ma anche di capacità di resistere a tante restrizioni”.

Sarà indubbiamente complessa l’analisi del rapimento di Silvia e il grande lavoro che dovranno fare gli inquirenti darà nel tempo le risposte, speriamo esaurienti.
Silvia Romano è stata rapita il 20 novembre del 2018 a Chakama, un villaggio del Kenya, da un banda di 8 criminali che successivamente l’hanno portata in Somalia e venduta ai terroristi somali di Al Shabaab. Tre dei suoi sequestratori – Moses Luwali Chembe, Abdalla Gababa Wario e Ibraihm Adam Omar – sono stati arrestati, ed uno dei tre, Adam Omar, dapprima in libertà su cauzione, è considerato il più pericoloso dei tre, ed attualmente ha fatto perdere le sue tracce.

Gianandrea Gaiani su “Analisi Difesa” compie una quantificazione dei vantaggi goduti dai terroristi in seguito al rapimento di Silvia. Essi avrebbero guadagnato ‘due grandi successi’: quello finanziario con milioni di euro da investire nel jihad, e quello mediatico incassato con la presentazione di una giovane ‘infedele’ che, dopo essere stata rapita, afferma di essere stata trattata bene e di avere aderito spontaneamente all’Islam”.

Credo che si debba a questo punto aspettare e rispettare il messaggio che Silvia ha voluto trasmettere con la frase “Liberamente convertita”, fingendo magari di credere alle parole di una ragazza costretta e tenuta prigioniera per diciotto mesi, in quattro covi diversi e con ogni intuibile costrizione. Possiamo porre un velo di prudente caritatevole silenzio nella vicenda per non incidere nel suo intimo contrastante vissuto; lasciarla libera (in questo caso sì di godersi la famiglia e gli affetti) immaginando che nel tempo – depurate le scorie, le suggestioni, e i ricordi oppressivi – possa tornare ad essere “libera” veramente. Non importa con quale religione o con nessuna. Direi adesso che sarebbe opportuno misurare gli interventi sui Media evitando di dare eccessiva visibilità agli strateghi del terrorismo, che da abili comunicatori hanno un ritorno milionario in pubblicità ogni volta che in forma eclatante, gratuita, e spesso poco lungimirante, si parla e si scrive di loro, facendogli regali in spot pubblicitari che se pagati costerebbero milioni.

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Roma 11 maggio 2020

Wanda Montanelli – Attività Pubblica