Appare singolare che Ostia pervenga all’attenzione della cronaca nazionale ogni giorno di queste ultime settimane. Per noi che ci viviamo da tanto tempo l’interesse istituzionale e mediatico può considerarsi positivo, purché serva a dare slancio alla Roma sul mare che per troppo tempo è stata considerata null’altro che una località balneare di seconda serie. Ma non era giusto che fosse così. Sorvolando sul fatto che il decimo municipio di Roma comprende zone pregiate come la parte archeologica di Ostia Antica, Castelporziano con la Tenuta presidenziale e la Riserva naturale, Ostia e comprensorio contano 231 mila abitanti, più di Padova, di Brescia o di Trieste, e il triplo di Pisa, Cosenza e Varese messe insieme. Prendiamo atto che, città nella città, Ostia è una realtà complessa che va dalla zona residenziale di Casalpalocco, a quella popolosa di Acilia, fino ai confini di Pomezia.

Il valore delle spiagge, davvero pubbliche

Credo che pochi sappiano, tra chi non abita nei pressi della città eterna, cosa siano i dieci chilometri di spiaggia libera e attrezzata che va dalla fermata Metro Cristoforo Colombo ai confini del Villaggio Tognazzi a Torvaianica. I cosiddetti “Cancelli”, che delimitano l’ingresso alla spiaggia di Castelporziano sul tratto di litorale sabbioso a Sud della foce del Tevere. La spiaggia, racchiusa tra il mare e la macchia mediterranea della tenuta di Capocotta e Castelporziano, rappresenta una delle pochissime aree del litorale in cui la natura non ha lasciato il posto a palazzi e stabilimenti balneari. Non solo, ma offre servizi come la pulizia degli arenili, bagni pubblici, spogliatoi e docce, parcheggi, e sorveglianza. Tutto gratis. Da moltissimi anni. Primo esempio di fruizione democratica della cosa pubblica, nato nel 1965 per volontà dell’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, che donò questa parte di tenuta affinché diventasse la spiaggia dei romani. La più grande d’Europa, e l’unica attrezzata e fruibile da chiunque. Alla zona dei cancelli segue quella delle altre spiagge libere date in  concessione con appalti pubblici, dove tra le dune, le siepi di corbezzolo e ginepro fenicio, si può raggiugere il mare camminando su stretti sentieri in legno. Un mare che offre, di fronte alla tenuta presidenziale di Castelporziano, le Secche di Tor Paterno, unica Area Marina Protetta italiana completamente sommersa sul fondo del mar Tirreno.

Il contrappeso di questa generosa apertura ai cittadini, è il famoso “lungomuro” di Ostia. Così denominato dagli ambientalisti nel corso degli anni. Una privatizzazione della cosa pubblica che ha precedenti peggiori solo in alcune zone d’Italia “ad alta espropriazione” come la Costiera Amalfitana e campana, splendida quanto inaccessibile ai poveri mortali, poiché accaparrata da ville di privati e edifici alberghieri che hanno la discesa “esclusiva” al mare con scalette, o addirittura ascensori fin quasi dentro l’acqua turchese, preziosa come un gioiello chiuso in uno scrigno.

Non è consolatorio rammentare che esiste di peggio rispetto al lungomuro di Ostia, e il legame d’affetto per un luogo che abbiamo scelto per viverci non può confondersi tra il bene e il male che questo territorio offre.

Tra i mali peggiori c’è quello di aver permesso per troppo tempo che questa parte di Roma venisse considerata zona franca, insieme a certi quartieri dove molti avevano paura di andare fino a pochi anni fa. Posti in cui le case si regalavano quasi, in vendita a 15 o 20 milioni, per quattro cinque stanze, nella nuova Ostia. Case intorno a piazza Gasparri, posti dove dei “geni” di amministratori pubblici molti anni fa decisero di mandare gran parte dei disagiati di Roma. Case popolari che accolsero non solo i poveri e i disoccupati, ma anche malviventi, spacciatori, tossicodipendenti. Tutti insieme, lì di fronte al mare, quasi la salsedine fosse un toccasana per riportare tanti emarginati ad una vita decorosa e onesta.

Non è stato così. Per lungo tempo è esistita la “Nuova Ostia”, sinonimo di quartiere malfamato, e “Ostia”, per indicare tutto il resto. Per molti anni le mamme raccomandavano ai figli di non scendere mai alla fermata di Piazza Gasparri, che pure era il capolinea dello 014.

Avevo conosciuto una parrucchiera da quelle parti. Prendeva pochi soldi e lavorava in casa. Diceva a tutti che non c’era pericolo ad andare da lei, perché in zona la rispettavano e nessuno importunava mai le sue clienti. Da ottimista ho sempre pensato che i teppistelli in fondo rispettavano una donna che lavorava, con i figli in un’altra stanza a fare i compiti, la pasta e fagioli sul fuoco in cucina, e la stanza “coiffeur” con almeno un paio di donne sotto il casco ed altrettante al lavaggio o alla tintura. Spero che non vi fossero altri accordi se non il rispetto di chi lavora. Tuttavia la nuova Ostia era alquanto lasciata a se stessa; un territorio a rischio che ancora di più divenne zona “di frontiera” dopo il delitto di Pier Paolo Pasolini del 1975. Il regista, con Sergio Citti, aveva sceneggiato il film su Ostia cinque anni prima, descrivendo il clima di degrado che poi ha fatto da sfondo alla scena della sua morte.

Questa è Ostia, nel cinema e nella realtà

Ma Ostia non è il Bronx. Neppure il Bronx è più il Bronx.  Nulla rimane sempre uguale a se stesso.  Si cambia, si migliora, se si investe puntando su risorse umane, intelligenza e finanze istituzionali. Per le nuove generazioni americane il Bronx è oggi associato allo zoo.Tra qualche anno forse solo i vecchi film, di De Niro o Walter Hill, sapranno ricordare il degrado di questi luoghi, percepito a suo tempo come un pericolo incombente dai cittadini newyorchesi, specie negli anni settanta quando la povertà e i livelli di criminalità e disoccupazione erano allarmanti. In quel periodo, durante alcune riprese per un reportage in una strada del Bronx, fui rimproverata da una anziana signora per aver poggiato il borsone con l’attrezzatura fotografica sul marciapiede, mentre con il mio aiutante montavamo il treppiede. Erano le diciotto. “Tra poco sarà buio – disse la donna – vi conviene sbrigarvi e andarvene. Qui non è prudente restare di sera”.

Negli anni ’70 Ostia

Tra Roma ed Ostia, nel ’76 scelsi Torvaianica. Non mi piacevano i palazzetti liberty scrostati e cadenti, né apprezzavo lo stile architettonico della posta centrale e di tanti edifici costruiti durante il ventennio. Mi appariva tutto brutto e anacronistico.

La cosiddetta “Nuova Ostia” era orribile. Le case popolari a ridosso del mare, così attaccate le une alle altre, i balconi con modanature in gesso spezzate in molte parti, o i muri con mattoni senza intonaco, ingrigiti, cadenti, squallidi. E il mare che io amo non invitava nemmeno ad affacciarsi per tentare un bagno. Poco prudente. Sporca, soprattutto la spiaggia con legni e immondizia. Poca attrattiva in quei posti, almeno non nel senso balneabile del termine. L’alternativa per chi come me ama il mare era tuffarsi dagli scogli posti di fronte al Sant’Agostino, o dal pontile che al tempo era piccolo, privo parapetti, ed era facile con maschera e pinne immergersi per pescare.

Riempivamo sacchi di iuta, di cozze buonissime, piccole, cresciute con plancton, profumate durante la cottura. Non mi piacciono le cozze di allevamento. Detesto l’odore di fogna quando sono sul fuoco, ma quelle cozze erano tutt’altro. Le portavamo con il sacco al camping Internazionale di Castelfusano, dove le condividevamo con amici che erano lì a trascorrere le vacanze. Ognuno di noi ne mangiava tantissime e nessuno ha mai avuto problemi a digerirle.

La scoperta di Ostia Antica

Vivevo a Torvaianica, perché la decadenza degli edifici ostiensi, un certo clima di rassegnazione, non mi piacevano. Al villaggio Tognazzi, una casetta con un giardino mi era sembrata più congeniale alle esigenze mie e della mia famiglia. Poi ho scoperto Ostia Antica, terra bonificata dai ravvenati. Piccolo territorio a misura d’uomo dove tutti si conoscono e nessuno si impiccia dei fatti tuoi. La cortesia degli abitanti è pari alla discrezione con cui ti si rivolgono. La simpatia è direttamente proporzionale alla generosità con cui sono disponibili. L’onestà è indiscutibile. Ostia Antica è un posto in cui se ti cade il portafoglio in paese, c’è qualcuno che te lo riporta fino a casa. Episodi di questo tipo accadono davvero. L’ultimo dieci giorni fa, quando una diciottenne che ha lasciato il portafoglio sull’autobus è stata contattata per tornare a riprenderselo in un negozio nei pressi della posta in piazzetta.

Ostia Antica è un luogo dove il senso civico è nella natura dei luoghi e delle persone. Poche case, una chiesa famosa, Sant’Aurea, nella piazza dell’antico borgo medievale dove per sposarsi occorre prenotarsi con anni di anticipo. Il castello di Giulio II e il borgo sono lo sfondo architettonico di molti film, e il teatro romano, fruibile e suggestivo, rappresenta con gli scavi la inestimabile zona archeologica.

La zona franca di Nuova Ostia

Degli Spada e dei Fasciani si sente parlare da anni, come di una minaccia latente, come un fattore di inquinamento ambientale, che però non tange chi non frequenta Ostia Nuova. Tuttavia, così come non devono esistere zone franche, è puramente illusorio solo immaginare che la criminalità operi soltanto in una bolla territoriale. Le infiltrazioni della malavita nelle istituzioni, il malaffare che ha reso necessario commissariare Ostia per mafia ci riguardano tutti da vicino, dovunque si abiti. Anche perché le cose cambiano. Può ampliarsi il campo d’azione dei malavitosi, come può essere risanata una zona nata male.

L’annuncio di rinascita

Tanti sono stati negli anni i preavvisi del cambiamento di Ostia. Le case liberty restaurate ad una ad una, a cominciare da villa Papagni non più “casa delle streghe”; le spiagge della “nuova Ostia” date in concessione a gestori di chioschi, rese pulite, con i servizi, il bar, e comode strutture per la balneazione. Libere, sempre libere all’accesso, differenti dalla zona centrale del “lungomuro”.

Ancor prima era avvenuta una sorta di mutazione nelle aiuole del lungomare.  Negli anni ’90 improvvisamente, quasi da un giorno all’altro, si effettuò una riqualificazione splendida delle aree verdi, con centinaia di palmizi giganti, siciliani, messi a dimora lungo la strada che costeggiava il mare. Si diceva in giro che li avesse piantati un vivaio del sud, vincitore di un ingente appalto, ed erano costati milioni di lire cadauno.
Un giorno giravo in macchina per lavoro e mi accorsi di questi magnifiche palme, tante, bellissime, sul lungomare e nei giardini agli sbocchi della via del mare e della Colombo. Erano quasi inverosimili così esotiche stagliate contro l’azzurro dell’acqua.

In attesa ad un semaforo scrissi il testo di una canzone:

 “Adesso che anche Ostia sembra Cannes/ con tutte queste palme al lungomare/ mi viene quasi voglia di restare e fare un bagno/ farlo proprio qui…”

Quel cambiamento ambientale mi entusiasmò e nei fui felice per qualche settimana. Poi mi dispiacque constatare che le palme erano destinate a rinsecchire una dopo l’altra. Troppo grandi e abituate ad un clima caldo, quasi africano, per radicarsi ad Ostia. Ne seguì un mezzo scandalo con interrogazioni di politici, giornalisti e cittadini, sulle enormi cifre spese senza garanzia di attecchimento. Chi avrebbe dovuto vigilare? E chi ci ha guadagnato in queste commesse pagate con i soldi pubblici?

La rinascita di Ostia e possibile

Ben vengano il ministro Minniti con la prima cittadina di Roma, il Prefetto e ogni istituzione, a ragionare sul da farsi. È giunta l’ora di conoscere meglio Ostia e coordinare un piano strategico di rinascita. Ritengo utilissimo manifestare, discutere, per rendere libero questo quartiere di Roma, per assicurare la libertà di stampa  e i diritti alla legalità.  Certamente, dopo la quarantena trascorsa in assenza di governo, è ora che si prenda atto delle potenzialità enormi del territorio, e si faccia, a livello governativo locale e centrale, tutto il necessario per dare una svolta decisiva ad Ostia.

Chiamata al voto

Siamo a ridosso del ballottaggio di domenica 19 novembre, dobbiamo comprendere però che gran parte della svolta è nelle prerogative dei cittadini.  Tocca a noi adesso. Il lapis ci attende. Non potremo più lamentarci per ciò che non va bene se quasi due elettori su tre resteranno a casa come per la prima tornata. Esercitiamo il nostro diritto di votare e scegliere. Non rinunciamo a questo potente strumento di democrazia. Per condividere gli spazi cittadini, per il diritto di vivere in un posto civile, camminare per strada liberi, riprenderci i luoghi che sono di tutti senza zone franche.

Roma 16 novembre 2017  Wanda Montanelli