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Quel mare che bagna Roma…

Niente di peggio poteva trovare Anna Maria Ortese nel cercare il titolo per suo angosciante libro Il mare non bagna Napoli in cui una verità di dolore e di mal di vivere deriva dallo spaesamento della gente nell’Italia del dopoguerra. Il ritratto della città che emerge dai racconti è senza rimedio, è un groviglio infernale di vicoli privi di luce, bassifondi reali e morali della gente che vi abita.
Ho letto il libro molti anni fa, negli anni ’80, a distanza di circa trent’anni dalla prima pubblicazione, e pur apprezzandone la qualità letteraria, la narrazione satura di contenuti gravi come macigni mi portò a leggere parti del testo a piccole dosi, come ogni medicina amara che è efficace nei suoi componenti, ma insopportabile da mandar giù. 

Non è vero che il mare non bagna Napoli

All’ultima pagina del libro è ancora presente oggi l’angolo con la piccola piega in cui annotai la frase “Non è vero che il mare non bagna Napoli”. Era una delle prime canzoni che componevo. Da ottimista quale sono, desiderai rimuovere l’immagine di un sordido ambiente senza spiragli né attese di cambiamento, e per fuggire dal groviglio infernale di vicoli bui abitati da “larve” lasciai l‘orrore nelle pagine del libro, presi la chitarra, intonai gli accordi in Re, La7, Mi7, e iniziai un canto per me consolatorio: “No, non è vero che il mare non bagna Napoli, che la speranza con vento non soffia più. No non è vero che dentro son tutti morti. Se tocchi il fondo qualcosa ti spinge su…”

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OSTIA NON È IL BRONX


Appare singolare che Ostia pervenga all’attenzione della cronaca nazionale ogni giorno di queste ultime settimane. Per noi che ci viviamo da tanto tempo l’interesse istituzionale e mediatico può considerarsi positivo, purché serva a dare slancio alla Roma sul mare che per troppo tempo è stata considerata null’altro che una località balneare di seconda serie. Ma non era giusto che fosse così. Sorvolando sul fatto che il decimo municipio di Roma comprende zone pregiate come la parte archeologica di Ostia Antica, Castelporziano con la Tenuta presidenziale e la Riserva naturale, Ostia e comprensorio contano 231 mila abitanti, più di Padova, di Brescia o di Trieste, e il triplo di Pisa, Cosenza e Varese messe insieme. Prendiamo atto che, città nella città, Ostia è una realtà complessa che va dalla zona residenziale di Casalpalocco, a quella popolosa di Acilia, fino ai confini di Pomezia.

Il valore delle spiagge, davvero pubbliche

Credo che pochi sappiano, tra chi non abita nei pressi della città eterna, cosa siano i dieci chilometri di spiaggia libera e attrezzata che va dalla fermata Metro Cristoforo Colombo ai confini del Villaggio Tognazzi a Torvaianica. I cosiddetti “Cancelli”, che delimitano l’ingresso alla spiaggia di Castelporziano sul tratto di litorale sabbioso a Sud della foce del Tevere. La spiaggia, racchiusa tra il mare e la macchia mediterranea della tenuta di Capocotta e Castelporziano, rappresenta una delle pochissime aree del litorale in cui la natura non ha lasciato il posto a palazzi e stabilimenti balneari. Non solo, ma offre servizi come la pulizia degli arenili, bagni pubblici, spogliatoi e docce, parcheggi, e sorveglianza. Tutto gratis. Da moltissimi anni. Primo esempio di fruizione democratica della cosa pubblica, nato nel 1965 per volontà dell’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, che donò questa parte di tenuta affinché diventasse la spiaggia dei romani. La più grande d’Europa, e l’unica attrezzata e fruibile da chiunque. Alla zona dei cancelli segue quella delle altre spiagge libere date in  concessione con appalti pubblici, dove tra le dune, le siepi di corbezzolo e ginepro fenicio, si può raggiugere il mare camminando su stretti sentieri in legno. Un mare che offre, di fronte alla tenuta presidenziale di Castelporziano, le Secche di Tor Paterno, unica Area Marina Protetta italiana completamente sommersa sul fondo del mar Tirreno.

Il contrappeso di questa generosa apertura ai cittadini, è il famoso “lungomuro” di Ostia. Così denominato dagli ambientalisti nel corso degli anni. Una privatizzazione della cosa pubblica che ha precedenti peggiori solo in alcune zone d’Italia “ad alta espropriazione” come la Costiera Amalfitana e campana, splendida quanto inaccessibile ai poveri mortali, poiché accaparrata da ville di privati e edifici alberghieri che hanno la discesa “esclusiva” al mare con scalette, o addirittura ascensori fin quasi dentro l’acqua turchese, preziosa come un gioiello chiuso in uno scrigno.

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