totem_resIl trofeo finale da portare in offerta alle divinità non causava la morte di chi subiva il doloroso asporto, ma privava il soggetto di orgoglio, energia vitale, lo poneva nella condizione di perdente.

La sottrazione del suo cuoio capelluto era il rito propiziatorio dovuto a beneficio della fertilità dei campi e delle donne secondo la concezione arcaica che si debba partire dal dolore e l’infelicità per seminare nuovi frutti. Chi insiste sulla cancellazione dell’articolo 18 si dovrebbe chiedere quante compromissioni ideologiche, legami con l’antropologia tribale e desiderio di mostrare muscoli, abbia questa ostinazione.

La capigliatura staccata dalla testa del nemico pone, come negli usi di antiche tribù del Gran chaco, alla stregua di chi va a prelevare nelle parti del corpo i depositi di energia vitale collegata alla violenza più primitiva e selvaggia: tagliatori di teste. Non a caso si chiamano così coloro i quali hanno il compito di licenziare il personale in esubero, e sono pagati per chiamare ad un ultimo colloquio persone dietro le quali esistono famiglie, bambini, mutui da pagare. Ed è un conforto sapere che nascono i  rimorsi per chi lo fa ed ha barlumi di coscienza. Di contro i cacciatori di teste cercano i talenti con cui arricchire aziende e progetti produttivi. Ed è sempre nella testa delle persone il bene supremo di cui appropriarsi allo scopo di determinare il corso della storia. Sarebbe accettabile tutto questo se si lavorasse per migliorare le condizioni umane e sociali di ogni persona. Non è così. Lo scopo è quello di arricchirsi aumentando sempre di più il dislivello tra chi produce lavorando con la fatica di vivere e chi accresce i propri guadagni a dismisura. Si vorrebbe che tutti i lavoratori fossero cinesi con turni massacranti, o indiani come i tanti bambini che non sanno cosa significhi passare il tempo a giocare. Sono così assurde e antistoriche certe pretese che credo faranno prima i cinesi a chiedere l’articolo 18 che tutti gli altri ad abolirlo (sindrome cinese). Allora forse terminerà questa indecente litania contro una legge che impedisce che un  lavoratore sia licenziato senza giustificato motivo o giusta causa, e la crisi globale giungerà al termine poiché gli stessi operatori (operai, impiegati, tecnici, manovali) che producono beni, prodotti e servizi, avranno i soldi per ricomprarli. E’ il circolo virtuoso ancora non bel capito da chi governa e da coloro i quali pretendono di produrre mille paia di scarpe con due operai e quattro macchinari, non chiedendosi chi le comprerà. I due che lavorano ne potranno comprare solo due. Semplice: in esubero sono le merci, non i lavoratori. Il problema futuro di chi governa è inventare il lavoro, anche finto se non ce n’è. Per stipendiare le mille persone che acquistino mille paia di scarpe, e mille litri di latte, e forse biberon e arredi e pannolini per figli che oggi non si fanno date le incognite esistenziali di tutti. Sembra utopistico ma la redistribuzione delle risorse accrescerà i profitti di chi ha qualcosa di concreto da mettere sul mercato. Altrimenti si chiuderanno sempre più saracinesche.

 Ci si chiede se le certezze della minoranza rumorosa che ha in odio l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori siano incrinabili. Se i totem ai quali si inchinano assicurino poi il paradiso, o non sia meglio accorgersi per tempo che si tratta di falsi dei e risultati effimeri.

A chi consegnare lo scalpo?  Ai falchi Ue contro i quali tuonano Susanna Camusso e Maurizio Landini?
 Beppe grillo nel suo blog chiarisce in Generazione 650 euro che lo scopo di questo gran chiasso non è nobile e si può prevedere che gran parte degli italiani, o accetteranno stipendi di fame, o verranno licenziati per far posto ad altri schiavi dal peso fiscale nullo per le aziende. Mentre il  numero dei miliardari nel mondo raggiunge record sempre più elevati, si ignora la pericolosità delle diseguaglianze sociali.
  Forse le sicurezze di tanti paradisi, tra cui quello tedesco vacillano, come scrive Ortlieb ne La danza della pioggia perché si son fatti conti senza l’oste, con poca lungimiranza a breve e medio termine. Perché chiedere di guardare lontano sarebbe troppo per chi misura la vita solo sull’arco della propria ricca e inutile esistenza.

 Wanda Montanelli, 19 settembre 2014