stalkingA Napoli  la Smorfia li fa corrispondere al numero 71. Vittorio Feltri sul Giornale li definisce “schifezze d’uomini”, ed è raro che io condivida così in toto il parere di Feltri. Così al cento per cento è accaduto al tempo della causa contro Enzo Tortora a Napoli, nel 1985, quando lui fu l’unico a storcere il naso e dire che sentiva puzza di imbroglio. Gli altri, non tutti, ma molti dei giornalisti che affollavano il palazzo del Tribunale, festeggiarono a champagne per la sentenza di condanna, e pregarono a mani giunte, prima della lettura della stessa, per il timore di perdere la faccia per come avevano trattato l’inventore di Portobello.

Me lo ricordo Vittorio Feltri, eccome, con quella sua lucida analisi sulla “Domenica del Corriere” in cui spiegava che Tortora gli risultava pure un po’ antipatico, ma nonostante questo non poteva, da giornalista di rango, tacere e non manifestare il disagio che si prova quando si avverte che si sta facendo un torto a qualcuno, fosse anche l’ultimo dei nostri nemici. Rammento Feltri perché mi appresto a fare un discorso sul modo di produrre comunicazione che entra direttamente nella nostra quotidianità.

Se al tempo di Enzo Tortora ci fossero stati, non dico molti, ma una decina di intelligenze brillanti come quella del direttore del settimanale della domenica, l’esito delle indagini, e la protervia di taluni giudici – che con afflizione di chi rammenta la loro dabbenaggine si trovano in posti di maggior rilievo che al tempo del loro comportamento vergognoso essendo pure avanzati di carriera – avrebbero avuto un decorso diverso…

Se nell’esaminare le accuse a Tortora ci fosse stato più coraggio per dire pane al pane, per obiettare, far rilevare le incongruenze, o semplicemente lasciar passare i pareri di chi considerava Enzo Tortora una persona lontana anni luce da ogni sospetto, la faccenda di sarebbe archiviata in tre giorni. Invece abbondarono codardia, omologazione, invidia, superficialità. Soprattutto distacco dal fattore umano che sempre ti permette di interpretare i fatti con occhio sensibile e attento. Tanti i peccati che in più ambiti hanno contribuito al dramma di Tortora. Amici che non lo salutavano più, colleghi che credevano subitamente a inverosimili storie di patti di sangue alla maniera Sioux, con rito di imparentamento, come se fosse stato possibile che un signore si mettesse a mischiare il suo sangue con quattro cafoni.

Come hanno fatto a rendere credibili tali scemenze?

Invece chi intendeva difenderlo veniva messo a tacere. A me fu tagliato un intervento su Raidue in cui dichiaravo di considerare Tortora un galantuomo essendo convinta che da lì a poco sarebbe stato liberato con tante scuse per il madornale errore. Era una trasmissione quiz, si chiamava Tv30 (sui 30 anni di programmazione tv) e conduceva Enza Sampò. Protestai con la Rai, ma non ci fu niente da fare. “Lasciamo fare alla magistratura” mi fu risposto. Eppure, storie di merletti da vendere, refusi Tortora/Tortona, inverosimili forniture di cocaina, incontri in ristoranti in cui mancavano descrizioni con esatte coordinate. Di tutto. E’ stato inventato di tutto, e tutto è stato scrupolosamente scritto e pubblicato. Sicché la gente non ci ha capito più nulla. A parte Montanelli, Biagi e pochi altri. A parte il bellissimo articolo di Feltri, in molti hanno voluto credere alle corbellerie dette da criminali ingolositi da previsioni di sconti di pena.

Il compito nobile della stampa

Finché non si considera l’enorme potere del mestiere del giornalista non si faranno progressi per aiutare a migliorare la nostra società difettosa e distorta. La nobiltà è intrinseca al mestiere di chi scrive per passione, e facendolo raggiunge l’anima, gli umori, i sentimenti di milioni di persone. Il senso profondo della mission deve farci agire con saggezza, prudenza, consapevolezza che il lancio d’agenzia è efficace a produrre onde sull’acqua ferma come un sasso in uno stagno.

Le notizie vano dosate, meditate, e distribuite cum grano salis. Occorre sapere che esiste l’effetto Werther in comunicazione, che altro non è che la emulazione dei gesti criminali, dei suicidi, delle azioni violente. I motivi sono molteplici e interi compendi sono stati scritti e pubblicati sulla materia. Tra tante motivazioni dimostrate nell’emulazione c’è un aspetto che risulta irresistibile: l’uscita dall’anonimato di esseri senza capo e senza coda che “svoltano” dando un senso di estrema potenza alla loro insulsa esistenza.

Insomma, ditemi che sto delirando – scrive Feltri su Libero di ieri – Non può essere vero che un uomo perbenino, dottore commercialista, coniugato con una brava e gradevole signora, padre di una bimba di 5 anni e di un bimbo di 20 mesi possa una sera di giugno sterminare la famiglia – a coltellate nella gola – con la stessa calma lucida con la quale era abituato a evadere le pratiche di ufficio: un timbro, un visto, una verifica e via, fatta anche questa…”

Mai titolo è stato più appropriato

Assenza di enfasi e basso profilo. Così vanno date le notizie che riguardano i vigliacchi, gli invertebrati che uccidono donne e bambini. Schifezze d’uomini. Mai titolo è stato più appropriato. Chi vorrà emulare una schifezza? Nemmeno sarà possibile scrivere un libro e trarci degli utili. Nessun Attila o Frankenstein o Nosferatu. Niente alone magico da eroe negativo, ma semplice schifezza. Ed è ora che si incominci a dare un senso ed una misura alla divulgazione a mezzo stampa e tv delle notizie di uccisioni di donne. Basta con gli appostamenti davanti al garage di Michele Misseri! E’ disgustoso solo in suo reiterato affacciarsi sullo schermo. Sarebbe il caso che associazioni di usufruitori tv chiedessero i danni per apologia di reato e istigazione a delinquere.

 Brutto termine femminicidio

Non amo il termine femminicio, anche se proviene dalle lotte fatte insieme alle mie amiche dell’Udi. Femmina è una cosa più vicina all’animale. Preferisco donna. Di animalesco in queste vicende ci sarebbe il comportamento dell’assassino che “belva assestata di sangue” non definirei. Troppo ridondante come frase. Meglio “sozzura residuale umana”. Facendo attenzione a non glorificare chi, contando meno di uno sputo, sogna di assurgere agli onori della cronaca compiendo un delitto.

Non fatelo ri-nascere. Non parlate di lui. Non lo riprendete con le telecamere se non da lontano e in maniera sfocata, grigia, poco interessante. Perché vi interessano le schifezze?

Ad un assassino non va data glorificazione attraverso i media

Non dategli l’importanza a cui ambisce. Ha ucciso per quello e comincerà ad esistere a partire dal vostro gesto di attenzione. Magari scriverà poesie e sarà oggetto di interviste e riprese con primi piani che a Hollywood nemmeno fanno agli attori dell’Actors Studios. Bisogna negare a questi esseri ciò che desiderano: gli onori della cronaca. Lasciarli nel grigiore delle loro inutili vite a chiedersi come mai non vanno i Tg a renderli personaggio. Verrà loro un dubbio: Allora ho ucciso per nulla? Non miglioro il mio status sociale? Non ci guadagno? Non mi riconosceranno per strada? Niente adrenalina o sussulti per gli sguardi altrui? Niente pubblicazioni in prima pagina sui quotidiani nazionali? Nemmeno le tv di periferia? Allora sono davvero una schifezza…

Restando così nell’ombra sarà depotenziata la possibilità che altri vadano in giro armati di coltelli o pistole o chissà cosa, a fare danno. Provare per credere. E’ già accaduto che dopo un silenzio stampa abbiano smesso una delle modalità di crimine molto imitata. Era anni fa. Ve lo racconterò.

Roma 18 giugno 2014           Wanda Montanelli