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CIELO, MIO MARITO IN AFFITTO

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In Sudamerica inventano il marito a tempo per i lavori di casa. In Italia sbirciamo le vite coniugali dei Vip. Stanno cambiando gli stili di vita delle nostre famiglie? I mariti manutentori sono scomparsi? Le donne singole o le mogli di mariti moderni avvezzi al computer o impegnati in palestra come faranno? Se il mondo globalizzato può darci una risposta prendiamo esempio da Buenos Aires dove, nel quartiere di Recoleta è nata la ditta “Affittasi Marito'” che interviene per ammodernare impianti elettrici, sistemare porte che cigolano o cambiari vetri rotti delle finestre. Finalità da non confondere con quelle del film di Ilaria Borrelli “Mariti in affitto”, prodotto da Cristaldi nel 2004. In questo caso il lungometraggio tratta di avventure che si svolgono tra Procida e New York, in un triangolo amoroso impersonato da Maria Grazia Cucinotta. Brooke Shields, Pier Francesco Favino. C’è invece un vero e proprio slogan nella pagina web della fantasiosa impresa che ha raggiunto negli ultimi anni l’apice del successo: “Stufa che tuo marito lasci in sospeso la manutenzione della casa? E tu, sei stanco che tua moglie ti chieda mille lavoretti al giorno? Ora puoi smettere di litigare”. Fondata da Daniel Alonso, un tecnico elettronico che sa fare un po’ di tutto la ditta nacque quando la moglie di Daniel disse alle amiche che chiedevano in prestito il marito per piccoli lavoretti: “Non te lo presto, te lo affitto”. Oggi l’impresa conta oltre 2.000 clienti registrate e i lavoro è svolto con serietà anche se si presta a qualche ambiguità con richieste di taxy-boy o altri tipi di funzioni. La moglie però è in ditta e monitora ottimamente la situazione. L’istituto della delega, risulta perfetto per compiti prettamente pratici e materiali, non è accettabile invece quando a entrare in gioco sono i ruoli familiari e le affettività. Se si sente dire spesso di crisi di padri un po’ messi in disparte nei diritti-doveri verso i figli, è utile sapere di sostegni che possono derivare da associazioni, e organizzazioni come l'”Istituto studi sulla paternità” fondato ormai 20 anni fa. Maurizio Quilici lo ha avviato per “promuovere lo studio della paternità” sotto l’aspetto psicologico, pedagogico, sociale, biologico, storico, giuridico. Oggi l’Isp ha oltre 300 soci tra cui un 30% di donne, e si propone di tutelare e valorizzare funzioni e ruoli paterni nella società e far crescere una nuova sensibilità sociale. Ma anche tante associazioni di Papà separati hanno scopi similari con più o meno successo. Ruoli in famiglia di padri, di madri, di mariti. Fondanti l’istituto della famiglia, così importanti e poco aiutati nella fatica del vivere. Se ne parla poco, e le storie di quotidiana difficoltà non sono materia da Talk Show, né trama di film. Le emozioni, gli incontri, gli investimenti fatti per mettere in cantiere una famiglia. I mutui presentati come grandi opportunità per i “forzati all’acquisto” italiani che privi di alcuna possibilità di trovare casa in affitto hanno fatti salti mortali per prenotare case e sobbarcarsi mutui con allettanti tassi variabili che oggi sono amarissime realtà che inglobano interi stipendi. Se ne sa poco. Eppure andrebbero realizzati film e documentari su questa che è una recessione storica. Si dovrebbe indagare come queste sofferenze economiche incidono nei rapporti, sono causa di liti e separazioni, producono depressioni e scoramenti, bisticci e disperazione. Ma non fanno notizia. O almeno così si ritiene, e nessun editore commissiona un’ “Indagine all’interno della famiglia in crisi”. Sono più appetibili racconti di famiglie famose, mariti celebri, meglio se attori o uomini politici. La gente comune non fa storia, non fa notizia. Ancora per poco, credo e spero. Il senatore Franco Marini che racconta di aver spalato la neve per rendersi gradito alla famiglia della futura moglie, o l’eleganza dell’onorevole Bertinotti dovuta alla di lui consorte, nota per la gelosia nei sui confronti, oltre che per il gusto nella scelta delle cravatte. Pier Ferdinando Casini, che alla nascita di Caterina volle rimanere in sala parto con (l’allora compagna, oggi moglie) Azzurra Caltagirone. Sono queste le cose che piacciono. Raccolte in un famoso libro di Bruno Vespa “L’amore e il potere”, danno il senso del legame con chi si trova in un mondo diverso dagli amici della porta accanto. Permettono di entrare in casa d’altri, case prestigiose ed eleganti, magari per accorgersi che poi gli uomini si assomigliano sia che si chiamino Rutelli o Fassino e franano miseramente in cucina anche nel semplice compito di preparare due uova al tegamino. I ricordi gli aneddoti, gli episodi curiosi rammentati da mogli celebri come Azzurra Caltagirone Casini, Luisa D’orazi Marini, Lella Fagno Bertinotti, Barbara Palombelli Rutelli, Anna Serafini Fassino, Mariapia Tavazzani Forlani. Una platea rosa cui si aggiungono arguti racconti del senatore Giulio Andreotti, o quelli di Amintore Fanfani, che quando rientrava a casa dal lavoro arrabbiato si sfogava dipingendo. Ci sarebbe da chiedersi cosa è cambiato in questi sessant’anni democrazia, e valutare quanti passi avanti abbiamo fatto – se ne abbiamo fatti – o se in relazione a questioni di diritti: al lavoro, alla salute, alle pari opportunità, all’istruzione, all’ambiente, abbiamo attuato un lento procedere di gamberi per non aver ben compreso portata e pericolosità di questi fenomeni. Wanda Montanelli, 13 ottobre 2008

La Consulta femminile del Comune di Molfetta

 . La sentenza del Tar di Puglia è un segnale positivo che ci fa ben sperare sull’esito felice di ogni iniziativa che ha per scopo la civiltà, quella di non porre ostacoli al diritto delle donne di dare il loro fondamentale contributo alla conduzione dell’esistente politico, sociale, istituzionale; quella di far rispettare la Costituzione negli articoli 51, 3, 2. Felicemente aderisco alla richiesta di sostegno della Consulta femminile di Molfetta e invito tutti i nostri gruppi di lavoro e monitoraggio delle Pari Opportunità a fare altrettanto. Wanda Montanelli

Art. 51 Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.

Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.. . .

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CONSULTA FEMMINILE DEL COMUNE DI MOLFETTA Palazzo di Città- p.zza Municipio 70056 Molfetta(Ba) Tel/Fax0803359416 La nota vicenda della mancanza di rappresentanti femminili nella Giunta del Comune di Molfetta, ha portato alla sentenza del TAR Puglia, sede di Bari, che ha riconosciuto valide le motivazioni del ricorso promosso dalla Consigliera Regionale di Parità, dalla Presidente della Commissione Regionale di Pari Opportunità, dall’Associazione Tessere e dall’Avv. Francesca la Forgia, su sollecitazione della Consulta Femminile del Comune di Molfetta. Riteniamo che sia stato violato lo Statuto, che è fonte di diritto e legge fondamentale di un territorio. La legge non può essere né violata, né superata in quanto creerebbe un pericoloso precedente. Auspichiamo che la nostra voce diventi cassa di risonanza per creare un movimento di opinione che coinvolga tutte le donne e sostenga, attraverso azioni concrete, ulteriori iniziative, anche legali, per il consolidamento delle decisioni già espresse dal TAR Puglia, sede di Bari. Tale vicenda costituisce un punto fermo per il riconoscimento e l’affermazione dei principi di uguaglianza che ispirano la Costituzione Italiana, ed è indispensabile promuovere il coinvolgimento di tutti gli organismi di parità nazionali, regionali e locali.

Chiediamo attestazioni di solidarietà da inviare alle alte cariche istituzionali dello Stato affinché sia “assicurata la presenza dei due sessi nella Giunta”(art. 37 dello Statuto Comunale) e affermato il principio delle pari opportunità presente nell’art. 51 della Costituzione. la Consulta Femminile del Comune di Molfetta Chiunque voglia aderire: • può far suo questo documento ed inviarlo alle autorità – può inoltrare la sua adesione al documento, controfirmando ed indicando i suoi dati, a [email protected]

Epurazioni, parole al vento, nuove prese in giro

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“Quasi al traguardo il giro d’Italia in “rosa” che ha visto protagoniste le donne dell’Italia dei Valori che ha portato all’elezione delle responsabili territoriali del coordinamento donne. Un viaggio attraverso le regioni che ha la tappa conclusiva a Vasto, sabato 13 settembre, con l’elezione della coordinatrice nazionale”. (leggi il resto*) Lancio originario d’agenzia: FESTA IDV: MONTANELLI, TANTE EPURAZIONI E SISTEMAZIONE DI MOGLI DI PARLAMENTARI NELLA NUOVA CONSULTA DONNE Roma, 13 set – “Come da previsioni, attraverso un sistema di riorganizzazione del partito che ricorda tanto vicende in voga un tempo in Bulgaria, c’è stata una vera e propria epurazione delle originarie componenti la Consulta Donne Idv”. A dichiararlo è Wanda Montanelli, già coordinatrice nazionale delle donne del partito, sospesa dall’ex pm a seguito delle “legittime richieste di concreta e reale applicazione dei principi costituzionali dell’art. 51, 3, e 2” e ad un’interrogazione sui fondi assegnati alle donne dalla legge 157/99 art. 3, per la promozione attiva delle donne alla politica. Pur indicate in bilancio, le somme non risultavano alla Montanelli, né alle altre donne della Consulta, essere state impiegate. “Per tutta risposta alla mia legittima richiesta di fare luce sulla questione – lamenta Montanelli – Antonio Di Pietro ha realizzato una “Consulta Donne alternativa”, sotto il pieno controllo e gestione da parte degli uomini di potere del partito e definita – secondo quanto mi è stato esposto e documentato da chi vi ha preso parte – attraverso meccanismi di pressione e acquisizione di tessere sui nomi di chi dovesse essere eletta. L’esito dell’operazione è stato, di fatto, la scomparsa della Consulta Donne originaria, soppiantata da una Consulta composta da affiliate, parenti amiche segretarie di parlamentari, coordinatori regionali e provinciali del partito. In Toscana, ad esempio, sono risultate elette al primo posto la moglie dell’onorevole Fabio Evangelisti, e al secondo la consorte del coordinatore Fedeli. In Sardegna la moglie del coordinatore provinciale Lino Mura mai iscritta a Idv, presentata dall’amico parlamentare Palomba. Nel Lazio idem con le persone sponsorizzate dal senatore Pedica. Per non parlare della coordinatrice nazionale, sen. Patrizia Bugnano, moglie del coordinatore Idv del Piemonte, o dei ruoli assegnati alla moglie di Di Pietro e alla tesoriera del partito, nota amica di famiglia. Una gestione “intimista” e familiare di un partito che usufruisce di fondi pubblici per molte decine di milioni di euro non è concepibile. Non abbiamo lottato per decine di anni, sfiancate di fatica, e fatto due scioperi della fame per far sistemare le amiche degli amici degli uomini di partito. Questa è una vera indecenza – accusa la Montanelli che dopo un recente sciopero della fame interrotto in seguito a ricovero urgente e alla richiesta di sospensione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si è rivolta al Tribunale di Milano per il riconoscimento del danno esistenziale – ho fiducia che a fronte di questo ulteriore aggravarsi della discriminazione femminile, tra l’altro perpetratasi anche con la chiusura repentina del sito internet delle Consulta donne, in barba all’art. 21 della Costituzione sul diritto di espressione e informazione, la magistratura possa renderci giustizia attraverso una sentenza esemplare che faccia scuola”. AGENZIA PUBBLICATA *ERA TUTTO PREVISTO il 15 luglio : scrivevo sulla “Teoria della Consulta ombra“: (…) si sta cercando di epurare la Consulta Donne esistente; per soppiantarla con persone che magari di recente appartenenza, o comunque non bene informate di come stanno i fatti, credono a vecchie parole e fresche chiacchiere. Dico loro che sono dieci anni che riceviamo le stesse promesse che oggi vengono reiterate al solo scopo di mettere una toppa sull’immensa voragine dei mancati diritti alle pari opportunità nell’Italia dei Valori. Le donne di questo partito sono ricche di volontà, capacità, talento, serietà, motivazione, passione civile. In cambio hanno ricevuto: offese, umiliazioni, desertificazione delle opportunità, emarginazione, allontanamento dai luoghi delle decisioni, divieto di esprimersi durante le pubbliche assemblee, collocazioni in posizioni di non eleggibilità nelle liste. Stenti, miseria e povertà di mezzi. Povertà di mezzi economici. Di questo si chiede conto. Con la certezza di avere ragione. Perché solo con la forza di prove documenti e testimoni si può affrontare una causa civile di tale portata, contro una gestione accentratrice, antidemocratica e privatistica di un partito. Si chiede conto di ogni azione fatta contro le donne e la democrazia paritaria. Anche di questa Consulta “B” , o “Consulta Ombra” che si tenta in fretta e furia di mettere in piedi. Sono uomini che la stanno facendo. Costruendo un luogo delle donne al posto di quello già esistente. Stendendo una passata di vernice bianca su affreschi di valore. Oggi: si contano (per adesso) n. 7 mogli (n. 2 in Toscana, n. 1 in Sardegna, n. 1 Piemonte, n. 2 ruoli nazionali); e salvo due regioni in cui ci sono donne già impegnate da antica data e un altro paio di casi gestiti con un minimo di democrazia, tutte le altre regioni sono divise equamente in propaggini (prolungamenti, diramazioni, longa manus) degli uomini di partito, cioè segretarie, amiche di famiglia, o del cuore, parenti, e annesse. Invito gli interessati a denunciarmi se quanto qui dichiarato non corrisponde al vero. I commenti del blog sono aperti ad altre notizie. Internet serve a questo: a dire la verità. Wanda Montanelli, 13 settembre 2008

IL VOTO AGLI STRANIERI, LA CITTADINANZA, I DIRITTI

Panorama incerto di fine estate

Veltroni propone, Fini dispone, Berlusconi smentisce. Sul voto agli immigrati c’è un gran parlare con qualche mugugno della Lega e i rilanci di Franceschini. L’argomento è di quelli che hanno funzione interlocutoria tra i “diamoci una mossa” di D’Alema nella situazione di stallo dei partiti di centrosinistra tutti un po’ in speranzosa attesa del lampo di genio che li porti a trovare cavalli vincenti e corse non truccate. La riforma della legge elettorale e l’interesse a porre uno sbarramento al 5% rende inquieti i piccoli, compreso Tonino Di Pietro non sicuro di fare di nuovo amplein come per le ultime politiche. Le amministrative prima e le europee poi sono ancora un’incognita e forse anche i Democratici stanno riconsiderando che può giovare al PD lasciare rientrare nella dignità della rappresentanza parlamentare i partiti di categoria sociale o di nicchia. Perché infierire? In Europa non ci sono motivazioni oggettive per fare scelte drastiche come quelle veltroniane delle ultime politiche. Il rispetto di preferenze cesellate forse a Strasburgo ce lo possiamo permettere. Lo ha dichiarato Polito sul Riformista di martedì scorso esortando a salvare il panda: “I partiti politici – ha scritto – non sono equiparabili agli statali fannulloni, né si possono tagliare come fossero enti inutili.L’elettorato ha il diritto di poter scegliere” In quest’inizio di settembre, sotto i riflettori della festa di Firenze che per la prima volta non si chiama più dell’Unità, il presidente della Camera ha dato una risposta di prudente apertura all’esortazione scritta da Veltroni sulla concessione del voto agli stranieri, coerentemente con quanto aveva già dichiarato nell’ottobre 2003 sui tempi ormai maturi per il diritto di voto amministrativo per gli immigrati. Anche a Fortezza da Basso Gianfranco Fini ha dichiarato che con i doveri di chi lavora e paga le tasse può rientrare il diritto di voto. Il Premier Berlusconi ha invece espresso parere contrario specificando che Fini riferiva una sua opinione in quanto il voto agli immigrati nel programma di governo non è previsto. Umberto Bossi, come prevedibile, ha troncato ogni possibile apertura sostenendo che il voto agli emigrati è una follia, e menzionando l’articolo 48 della Costituzione dove è stabilito che prima di essere elettori è necessario ottenere i diritti di cittadinanza. Perciò niente scorciatoie. Riguardo alla cittadinanza ci sono regole precise nel decreto di Giuliano Amato dell’aprile del 2007 pubblicato insieme alla “Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione”. Il Ministro dell’Interno rimandava, nel documento, ai nostri dettami costituzionali fondati sul rispetto della dignità umana ed ispirati ai principi di libertà ed eguaglianza. Ogni persona che si trova sul territorio italiano – è scritto nel testo – deve poter fruire dei diritti fondamentali, senza distinzione di sesso, etnia, religione, condizioni sociali. Al tempo stesso, ogni persona che vive in Italia deve rispettare i valori su cui poggia la società, i diritti degli altri, i doveri di solidarietà richiesti dalle leggi. Per ottenere la cittadinanza nei tempi previsti dalla legge occorre conoscere la lingua italiana, gli elementi essenziali della storia e della cultura nazionali, e condividere i principi che regolano la nostra società. Nel mese di agosto del 2006 era c’era stato lo sconcertante e crudele assassinio di Hina Salem, la ragazza pakistana uccisa dal padre perché intendeva occidentalizzarsi. La società civile italiana si era posta importanti quesiti sui comportamenti oppressori di talune culture nei confronti delle donne. Il ministro Amato dichiarò perciò che agli stranieri non basta chiedere l’adesione ai valori della Costituzione, ma bisogna che ci sia un’adesione anche a diritti fondamentali come il fatto che la donna si rispetta secondo regole che universali. Se questa opinione la maggioranza degli italiani è sicuramente d’accordo. Prima di essere riconosciuti cittadini italiani è necessario abolire ogni alibi culturale che possa creare zone franche dall’osservanza dei diritti universali. Sono condizione indispensabile per i diritti di cittadinanza il rispetto dell’individualità, della libera autodeterminazione femminile. L’abolizione assoluta di pratiche ancestrali come infibulazione, matrimoni combinati, e soggiogazioni a regole religiose, spesso frutto di errate interpretazioni di libri sacri, di superstizioni e comode e prevaricanti e affermazioni di egoismi. Wanda Montanelli, 7 settembre 2008

L’IGNOBILE STORIA DELLA PERSECUZIONE DI E.T.

Quando manca il buon senso e l’autoironia di chi da piccolo leggeva Topolino Due sere fa Antonello Piroso su La7 ha ricordato l’odissea di un uomo onesto incappato in uno dei più grandi errori giudiziari dei nostri tempi. Non ho mai creduto nemmeno per un momento che Enzo Tortora potesse essere colpevole. Nel 1983 mi trovai in una trasmissione tv che andava in onda alle ore 19,00 su Raidue, “Tv30”, dove emerse una domanda sui suoi inizi di carriera (Campanile Sera del ’59 con Renato Tagliani e Mike Bongiorno). Dissi alcune parole in difesa del presentatore che si trovava in stato di detenzione. La trasmissione si registrava e si trasmetteva in differita dopo qualche ora. Mi accorsi però che prima di trasmetterla era stata tagliata la mia frase: “Spero che Enzo Tortora venga presto liberato perché è un galantuomo, un uomo per bene”. Chiamai gli autori del programma per protestare. “Perché avete censurato la mia frase su Tortora?”. “Perché è meglio che non entriamo in questa storia – mi risposero – La Rai non si può esporre con dichiarazioni innocentiste”. “E’ una mia opinione – replicai – di cui mi assumo ogni responsabilità. Voi non c’entrate”. Non ci fu modo di convincerli, ed era inutile replicare, tanto ormai la trasmissione era andata in onda. Il clima era quello. Non si parlava di Tortora. Si attendevano le prove della sua colpevolezza. Pochi ragionavano sull’assurdità delle storie da banda Bassotti e commissario Basettoni che venivano scritte su quotidiani e settimanali. Il patto di sangue con il taglio dei polsi, l’appartenenza alla camorra, i centrini fatti ad uncinetto che qualche camorrista aveva mandato per venderli a Portobello. Cose da ridere. Non è che mi ricordo tutto, so che allibivo a quel tempo per l’assurdità della tesi accusatorie. Come ci si poteva credere? Insomma eravamo cresciuti imparando a conoscere storie, vita e miracoli dei presentatori. Mike Bongiorno, Enza Sampò, Enzo Tortora. Come potevamo credere a baggianate del tipo dello spacciatore di droga. Un uomo ricco, elegante, lineare, composto, sereno. La tipologia del drogato è un’altra. Come si fa? Ce ne accorgiamo quando succede. È vero che ci sono, in tv alcuni personaggi, anche famosi, un po’ su di giri. Parlano fuori dalle righe, con un livello innaturale di concentrazione, e talvolta con performance che ci fanno venire dubbi sulla naturalezza dei comportamenti. Si vede se uno è impasticcato, o “fatto” di qualcosa. Tortora invece era un uomo sereno, per bene, rassicurante. Anche antipatico forse per alcuni, ma comunque onesto. Eppure in tanti si schierarono dalla pare dei colpevolisti. Mi irritavo quando dalla gente comune sentivo dire che se l’avevano incarcerato “qualcosa sotto sotto doveva esserci”. Ed erano estenuanti le discussioni per farli ragionare sulle contraddizioni, le illogicità delle accuse che peraltro venivano mosse da dei pentiti di bassa lega e senza riscontri oggettivi. Devo qui dire qualcosa su Vittorio Feltri. Raramente condivido le cose che scrive. Insomma siamo molto lontani come modo di pensare. Tuttavia nel 1985 apprezzai l’onestà intellettuale di questo giornalista in occasione del processo a Tortora. Era sulla Domenica del Corriere che lessi un suo articolo. Per tutti questi anni mi sono chiesta se rammentavo bene … mi pareva fosse la Domenica del Corriere. Oggi lo so di certo perché quell’articolo l’ho ritrovato (viva Internet http://www.rosanelpugno.it/rosanelpugno/node/7504) Feltri scriveva: ” […] quando il direttore del mio giornale, che è il Corriere della Sera mi notificò la decisione di inviarmi a Napoli non avevo alcuna idea se il papà di Portobello avesse più o meno combinato ciò che la Procura partenopea gli addebitava. E, francamente poco mi importava. Conoscevo Tortora, l’avevo incontrato due o tre volte: ma non si può certo affermare che la nostra fosse un amicizia. E, se devo essere sincero, mi era più antipatico che simpatico: trovavo odiosi i suoi toni affettati, certi atteggiamenti melliflui, il perbenismo ossessivo. Della vicenda giudiziaria due cose mi avevano colpito. E insospettito. Il fatto che il cosiddetto blitz, che aveva portato in galera lui e altri ottocento e passa imputati, fosse avvenuto una settimana prima delle votazioni politiche; e che gli agenti, pur di far riprendere Tortora dalle telecamere, con tanto di manette e di scorta, gli occhi smarriti e il volto pallido, lo avessero tenuto in questura sei o sette ore, in attesa della luminosità adatta alla massima resa delle immagini da mandare in onda. (…) A Napoli sono così arrivato con la certezza di avere a che fare, se non con un camorrista e uno spacciatore di droga, almeno con un uomo che ignorava la coerenza. E ho cominciato a esaminare le carte processuali con diffidenza. Ma benché non trascurassi neanche una virgola della intricata storia, non riuscivo a capire quali fossero concretamente gli elementi contro di lui: c’erano le dichiarazioni dei pentiti, d’accordo, ma nulla di più. (…). Molti dicono che bisogna attendere la sentenza completa per criticare il tribunale. Ma che cosa può esserci scritto nel verdetto più di quanto si è udito in aula? Semmai è da respingere una legge, e una prassi, che legittima condanne senza prove; una legge che dà a un Panico o a un Melluso licenza di scegliersi una vittima e di stritolarla, sostituendosi, non solo al giudice, ma addirittura al boia. (…). La corporazione voleva a larga maggioranza la condanna di Tortora, neanche si trattasse di una conquista per la categoria. Ma perché tanto accanimento? Ho avuto l’impressione di uno scoppio di irrazionalità, di una specie di tifo cieco analogo a quello degli stadi, alimentato, per giunta, dall’antipatia dell’imputato e dal suo modo ora goffo ora insolente, di difendersi. Un collega lo odiava perché con la Tv aveva strappato un facile successo, e scordava che, se il successo fosse facile, l’avrebbe avuto anche lui. Ha inciso anche la sua popolarità: troppa per essere perdonata da chi non ne ha affatto. Ed ora che il presentatore era a terra, il piacere di sferrargli delle pedate era voluttuoso. Durante la lettura della sentenza ho visto cose turpi. Il nome di Tortora tardava a essere pronunciato. Che fra i colpevoli non ci sia? I giornalisti si interrogavano con lo sguardo, increduli, delusi, amareggiati. Parecchi avevano scommesso sulla condanna, avevano investito articoli ed articoli e temevano di essere sconfessati. Uno si volta e, allargando le braccia mi sussurra: vedrai che l’hanno assolto, mi toccherà andare in giro coi baffi finti. Ma la sua disperazione, e non solo la sua, è durata poco: “Tortora Enzo… dieci anni di reclusione e 50 milioni di multa” ha detto il presidente Sansone. Qualcuno ha stretto i pugni dalla felicità, altri hanno sorriso, sia pure con moderazione, dato il momento. Era come se la loro squadra avesse segnato in trasferta. E alla sera, ho saputo, hanno brindato: alla faccia di Tortora”. Non dovrà mai più ripetersi l’accanimento come quello consumato contro Enzo Tortora. Le sue figlie non hanno avuto ancora oggi né giustizia, né risarcimenti. Rispetto la magistratura, ma come in tutte le professioni credo che chi sbaglia debba pagare. Almeno dimostrare che l’errore è avvenuto in buona fede. La vicenda di Tortora è assurda. Il tempo passa e tanti particolari si dimenticano, poi per fortuna qualcuno pensa a riproporre la storia al grande pubblico ed ai molti giovani ignari di cosa è accaduto. “L’uomo muore di crepacuore” è la frase scritta da Giorgio Bocca per commentare la morte di Enzo Tortora avvenuta il 20 maggio 1998. L’ha riletta Antonello Piroso, particolarmente coinvolto e commosso nel suo monologo. Ha citato il libro “Applausi e sputi. Le due vite di Enzo Tortora”, di Vittorio Pezzuto. Lo leggerò per non dimenticare il calvario di un uomo per bene. Può capitare ad ognuno di noi quello che gli è accaduto se manca il buon senso e… Mickey-Mouse o no, la distinzione delle chiacchiere dai fatti. 3 settembre 2007 Wanda Montanelli http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=omnibus&video=16317