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Le iene sul web massacrano Tiziana. Il giudice aiuta Golia anziché Davide, un brutto mondo alla rovescia che tutti dobbiamo contribuire a cambiare

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“Me l’hanno uccisa. E’ morta per la cattiveria della gente”. Così ha detto la madre di Tiziana Cantone, la ragazza suicida perché si è accorta di un mondo circondato di iene, di vigliacchi che schermati dal web imbrattano la rete e scrivono frasi di condanna, oscene, molto peggiori del video hard che per dabbenaggine Tiziana ha concesso, al cosiddetto “fidanzato” e quattro amici. Sono mancati il buonsenso e la furbizia nella ragazza trentunenne. Lei sicuramente ha sbagliato ad affidarsi così sguarnita nel magma della rete, a dare credito all’uomo che credo amasse. A contare su chissà quale ricaduta valoriale di presenza sul web, a immaginare che si fa così, si  butta via il proprio corpo  in pasto a famelici predatori. Del resto la scena hard del suo video è la stessa di quelle che migliaia di volte un’adolescente (speriamo di no i bambini confidando sui genitori) ha la possibilità di vedere in tv.

Scene che ognuno di noi ha l’occasione di incrociare, anzi direi “ha  l’obbligo di vedere”, mentre fa zapping: tant’è che la sera (ma anche in fasce protette pomeridiane) se desideri vedere un programma che non sia becero, devi saltellare con molta maestria e velocità con il telecomando tra questo e quel canale, scartando flutti di sangue dalla gola di qualcuno, coppie in posizioni anatomiche che ormai superano ogni fantasia del kamasutra, operazioni chirurgiche con ventri squarciati; quando non sei costretto a intravvedere l’orrido possibile di reati contro bambini, che comunque così reiterati cercano uno spazio ed una legittimazione; o quando, durante l’intervallo di un bella commedia, puoi incappare in riprese in primo piano di rifiuti corporei del genere che si espellono negli appositi privati spazi detti w.c. prima che vadano in fogna.  

A chi potrebbe dire: “Cambia canale se non ti piace il contenuto” risponderei che

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Lettera ad uno stalker prima che uccida la sua donna

StalkerCaro Stalker,

permettimi di chiamarti così. Sono quasi sicura che tu rifiuterai questo appellativo perché non ti senti stalker, allo stesso modo dei violenti che non accettano di essere riconosciuti come tali, e gli assassini che rimuovono la loro ferocia quasi appartenesse ad altro da sé. Tuttavia da qualcosa bisogna partire per cominciare a parlare, ed io parto da qui. Sempre pronta a ricredermi però. Anche perché la decisione finale tra essere o non essere uno stalker è la tua.

 Sgomberando il campo dagli squilibrati che immaginano possibili storie con donne virtuali, nel senso che

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STAFFETTA DI DONNE CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE (UDI-ONERPO)

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Sesso a gogò ricatti, intimidazioni. Roba da uomini mentre nelle retrovie le donne si occupano di iniziative concrete

Forse è tempo di interessarsi d’altro oltre che di tette a pagamento. Il silenzio delle donne di cui tanto si è scritto durante la calura estiva, non è un vero silenzio, ma una sordina d’obbligo che il sistema impone alla parte femminile del Paese, la più grande numericamente, la più povera di risorse e mezzi. La voce delle donne dà fastidio, anche quando è in toni caldi e persuasivi; anche quando usa argomentazioni civili per legittimamente difendersi da tutto ciò che l’aggredisce, la inquieta, costituisce pericolo per sé, la società, la famiglia, l’ambiente, la cultura. “Gli argomenti delle donne non interessano nessuno” qualcuno prova a dire, ma non è così. Perché un film ci piaccia dobbiamo vederlo, perché un libro ci affascini dobbiamo leggerlo, perché un quadro ci conquisti dobbiamo osservarlo. Quello di cui le donne vorrebbero parlare, bisogna conoscerlo, approfondirlo, pubblicarlo. Non solo nelle riviste femminili, o nelle poche tv tematiche, nei compartimenti stagni dei dipartimenti per le pari opportunità. Per carità utili, anzi indispensabili, ma dovesse esistere una vera democrazia aperta alla cittadinanza femminile non ci sarebbe bisogno dei settori per la parità. Oppure esserci per difendere gli uomini qualche volta vivaddio ! L’espressività e il talento femminili nelle rare occasioni in cui si può dimostrare dà risultati sorprendenti. Senza far la lista delle rare occasioni in cui ciò è successo, oserei sperare che qualche volta è accaduto perché nessuno ha posto volutamente limiti o ostacoli e non perché ci si è dimenticati di mettere in moto il meccanismo di esclusione: muto, sordo, invisibile, ma pazzescamente insormontabile e odioso. Non sono fantasie. Le donne, quando la competizione è corretta vincono. Quando si concorre a partire dallo stesso punto, si impongono in percentuale notevole. Sono più intelligenti e più brave? No. Sanno che il sistema non giustifica errori di donne che non hanno parti anatomiche in “co-gestione da carriera”, quindi si organizzano, si preparano, studiano, magari cercano di conoscere statistiche sulle domande d’esame e indagare sui testi preferiti dall’esaminatore. Non sono più brave. Si procurano borracce d’acqua essendo abituate ad attraversare il deserto. Eppure può accadere che gli uomini le temano. Fanno paura per la loro determinazione, la convinzione di avere qualche diritto. Come per esempio quello di scegliere di essere carine con chi le ispira a prescindere dal bisogno o dal tornaconto. Libertà di donne. Indipendenza vera. E’ la cosa che più spaventa gli uomini abituati a comprarle le donne. A comprarle con denaro, offerte di lavoro, o promesse di carriera. La sofferenza femminile è dovuta a questa incomprensione di fondo, al complesso che fa ritenere negativa la libertà femminile, poiché diventa impegnativo competere con intelligenza paritaria. E senza privare i gli uomini illuminati e veri della esistente considerazione che essi hanno di donne felici incontrate sul loro cammino, bisogna rilevare che l’esasperazione della incomprensione, la paura, i difficili condizionamenti sociali, portano alla violenza di cui in questi giorni non si fa che leggere e sapere. Ma più di tutti è deleteria la cattiveria dell’ignoranza. L’incultura. Donne violentate, uccise, rese schiave, vessate. “Si dovrebbe andare in piazza! Farsi sentire!” si scrive nei blog e in qualche quotidiano che d’estate ha pensato bene di trovare un argomento insolito. Ma noi in piazza ci siamo! Chi lo sa? “Le donne dovrebbero organizzarsi! Come mai tacciono?” Ma siamo organizzate! Parliamo! Cerchiamo di far sapere le cose… Chi lo scrive? Contro la violenza sono innumerevoli le iniziative, ma poco se ne sa. Questa dell’Udi ha attraversato l’Italia. Dalla Sicilia alla Lombardia. Regioni, province, centri piccoli o grandi, migliaia di donne vanno da una luogo all’altro, da una piazza centrale ad una via periferica, da un teatro, a un centro estivo; di giorno di notte, dovunque per protestare contro la brutalità. Si chiama “Staffetta di donne contro la violenza alle donne!”. Ha per simbolo un’anfora che viene consegnata dalle porta-staffetta da sud a nord, dalle alpi alle Piramidi. E’ partita da Niscemi il 25 novembre 2008 dove è stata assassinata Lorena Cultraro, di 14 anni. Finirà a Brescia il 25 novembre 2009 dove è stata assassinata Hina Saleem di 20 anni. Migliaia le associazioni interessate. Ognuna con suo colore sociale o politico ma plurale nell’interesse comune in difesa delle innocenti. Un’iniziativa di donne per le donne che ha la dignità di essere rappresentata, anche se nessun partito vi si riconosce o può metterci il cappello. Per una volta c’è qualcuno che può interessarsi di una manifestazione sociale a prescindere? E’ una cosa di donne, donne, donne. Punto. Il 12 settembre la staffetta sarà a Pordenone. L’hanno organizzata un gruppo di volontarie, insieme alle due portabandiera Onerpo e Udi. Francesca Costa e Zanette Chiarotto, con Franca Giannini, e le ospiti Aura Nobolo, Santina Zannier, Alessandra Battellino, Maria De Stefano. Ci stanno lavorando da tempo. Ci mettono il cuore, il tempo e ogni risorsa disponibile. Andiamoci nel nostro interesse. Wanda Montanelli LA LOCANDINA E L’INVITO

SCUOLA TELEVISIVA DI VIOLENZA E METODOLOGIA DEL DISPREZZO

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Come nella sindrome del maiale selvatico dei gururumba gli impulsi distruttivi giustificano la brutalità percepita come l’essere ‘posseduti’ da forze esterne

Il tabù è un luogo inavvicinabile, un divieto sacrale che ci tiene al di fuori da un territorio segreto. Trovarsi a giusta distanza da zone buie dell’esistenza può essere salutare. Si è voluto però rompere il divieto per permettere agli umani di entrare dovunque anche nei peggiori sogni di brutalità e mai concepita virulenza contro i propri simili a livello cosciente. L’immagine rivelata attraverso il mezzo più comune di divulgazione del sogno (cinema e tv) ha rotto il velo sotto al quale la infinita sequela delle possibili crudeltà umane restava sconosciuta. La scuola di violenza delle immagini mostrate agli uomini a partire dall’infanzia ha avuto ospitalità nei media di pronta fruizione, nel video che come un caminetto raccoglie intorno a sé il nucleo della famiglia, oppure il telespettatore single con patatine e sandwich per cena. E’ forse ripetitivo citare il saggio di Popper e Condry sulla cattiveria di quella maestra bugiarda e inaffidabile che appioppa ai bambini scene di violenza alternate a pubblicità di giocattoli, o improbabili animali canterini. Si conferma con l’assuefazione al ‘medium’ anche una fase di “abituazione” ad un paradigma composto da modalità di sopraffazione inevitabile quanto quotidiana, senza che si spieghino i motivi della violenza. Come nella morfologia della Fiaba di Vladimir Propp dove le storie da lui studiate presentano vicende diverse ma seguono uno schema narrativo sempre uguale; e non si capisce, se non per il pedissequo conformarsi allo schema, come mai ad esempio la matrigna e le pessime sorellastre infieriscono così tanto su Cenerentola. Altro, dalla fiaba scritta e narrata, è invece la esposizione televisiva dove un giorno è iniziata la scuola di violenza. Metodologia dei vari sistemi di uccisione dell’essere umano, uomo o donna che siano, seguendo anche qui schemi uguali ma sempre più sofisticati nell’espletamento del dettaglio sanguinolento. Scuola di alta macelleria sulle infinite modalità di profanazione del corpo allo scopo di mostrare la brutalità gratuita in sempre differenti circostanze di perpetrarla. E il corpo diventa povera cosa, meno che nulla, nelle mani dell’omicida che senza conati di vomito può fare a pezzi un altro essere come lui umano. Per chi è cresciuto con i telefilm di Rin Tin Tin , e i fumetti del Grande Blek e Donald Duck, il massimo della sopportabilità può essere Psycho di Hitchcock , ancora censurabile per la fase dell’accoltellamento. Se non si riesce a guardare oltre perché dotati di sano rispetto dell’integrità del corpo è giusto che sia così. L’area tabù deve esistere. Se l’inconscio ne eleva intenzionalmente i confini manifestando sentimenti di ripulsa, di paura, o di disgusto di fronte a immagini in cui si rompe non solo l’integrità del corpo, ma anche il sentimento di rispetto che ad ogni corpo è dovuto, siamo dentro le regole morali. Se invece si resta impassibili di fronte ad dolore e alla crudeltà c’è da farsi qualche domanda. E’ inquietante restare freddi come lo è provare piacere sadico. Ma andiamo più in là e domandiamoci che tipo di emozioni provano i protagonisti di cattiverie, atti di bullismo, o azioni che non hanno nemmeno la minima motivazione per essere stati compiuti. Che facevano alle quattro di mattina ancora per strada quei ragazzi che hanno bruciato un uomo di nazionalità indiana? Il vuoto delle loro esistenze senza capo e senza coda è come un contenitore mai riempito di principi. Li immagino abbandonati a se stessi davanti al video della tv o della playstation, con l’unico compito, in lunghe ore della loro giornata, di cercare di non annoiarsi. Senza doveri precisi e “consegne” per meritarsi pane companatico e accessori. Si annoiavano i ragazzi. “Non è razzismo – hanno tenuto a spiegare gli inquirenti – ma che significa? Vuol essere per caso una giustificazione? La salvezza nel vuoto a perdere? Assurdità nell’assurdità. Peccato che nessuno abbia insegnato loro sin dall’infanzia che il modo migliore per non annoiarsi è essere utili agli altri e a se stessi. Impegnarsi. Se il giorno dopo quei malvagi avessero avuto l’obbligo di recarsi a scuola o a lavorare sarebbero andati a letto alcune ore prima senza far danni in giro. Invece hanno usato un uomo come diversivo alla loro inutile vita. Senza principi, né ideologie, né educazione alcuna. Chi non crede nella sacralità della vita umana, più semplicemente dovrebbe concepire il senso di inviolabilità del corpo. Per un sana conoscenza della chimica dei corpi, o una minima cognizione scientifica su come è l’uomo, quante cellule diverse ha, il dna che lo compone, la meraviglia matematica dell’intelligenza che lo costruisce e muove. L’indiano fatto bruciare da questi alieni nostrani cresciuti a pane e nutella consumato mentre in video si esibivano apologie di stupri e trafitture di membra è una persona unica e irripetibile e mai nessuno, fosse anche l’uomo più potente del mondo, potrà rimediare al male che gli è stato fatto. Non è stato ben spiegato ai violenti che la vita non è un supporto digitale o un film di celluloide che possa essere riavvolto. Determinate cellule epiteliali, di una persona che si chiama Sing Navte ed ha un Dna, un colore, uno status e una storia, a meno che non si faccia un clone, “non sono ripetibili”. Un doppione, un clone poi non sarebbe altro che un involucro-fotocopia privo dello stesso senso compiuto. Nessuno ha insegnato loro che la vita è spietata e che il rovesciamento di marcia delle cattive azioni non si può fare come nei videogiochi. In questo hanno fallito le più importanti agenzie educative come scuola e famiglia. Di contro è dall’istruzione di violenza della tv generalista-generalizzante che fioriscono soggetti feroci quanto poco intelligenti nell’incapacità di mediare gli input ricevuti. Va riconosciuta a tali soggetti l’appartenenza ad un ruolo sociale che è uno schema comportamentale tipico, osservabile in un contesto di sottospecie umana così esaltata in filmati di infima qualità da restare nell’immaginario. Un modello da riprodurre. Come gli schemi della fiaba che non spiegano i motivi, ma giustificano la brutalità perché appresa e assimilata quali automi piuttosto che esseri dotati di discernimento. Scegliamo però: o ammettiamo di avere segatura nella testa o ci assumiamo la responsabilità delle nostre azioni. La sociologia trova sempre una causa scatenante e giustificante. L’analisi psicologica* spiega piuttosto come in questi casi “Il modello sociale che questi soggetti vogliono dare nella rappresentazione di sé autorizza condotte altrimenti inaccettabili e sfrutta il carattere passivo normalmente attribuito alle forti emozioni aggressive, al fine di sottrarsi alla responsabilità per l’azione compiuta”. L’individuo si ‘disappropria’ così dell’azione, e lo stato emozionale vissuto come un evento oggettivo e non soggettivo, cioè una cosa che non è prodotta dalla mente ma che ‘capita’, porta a commettere nefandezze. Si costituisce perciò un’attenuante che potremmo comparare a quella dei gururumba della Nuova Guinea e al forte impulso detto “sindrome del maiale selvatico” (ahaDe idzi Be) che induce a comportarsi come suini rabbiosi e aggirarsi furibondi aggredendo gli astanti, facendo man bassa di oggetti anche di poco valore e devastando i luoghi. A questo proposito si può rilevare come sia singolare l’ipotesi che possa costituire un’attenuante, nei casi di violenza, l’uso di sostanze psicotiche, droghe o alcool quando tale uso non sia preordinato alla commissione del reato. Poiché chi va in giro sotto l’effetto di sostanze stupefacenti ha in preventivo la possibilità di gesti incontrollati, questo dovrebbe costituire semmai un’aggravante. Perché un conto è ubriacarsi o drogarsi dentro le mura della propria abitazione, un conto è farlo per poi andare per strada a espletare esercizio di violenza. E’ evidente nel secondo caso il comportamento antisociale unito al disprezzo assoluto della vita altrui. Ho scritto di violenza in senso generale. Quella che tanto imperversa in questi tempi è la violenza contro le donne. Se ne parla, si fanno convegni, manifestazioni e incontri come quelle dell’Udi che con un numero elevatissimo di donne riunite in associazioni ha messo in cantiere un anno intero di percorsi ed eventi.. La “Staffetta delle donne contro la violenza” è visibile in questi siti: http://www.udinazionale.org/; http://www.onerpo.it/tutte-le-notizie/87-udi-onerpo-e-affi-insieme-l8-marzo-per-la-staffetta-contro-la-violenza.html . La legge contro lo stalking, i comportamenti talvolta prevedibili degli stalker sono tuttavia un capitolo da conoscere capire e indagare bene. Ad un prossimo appuntamento qui sul blog ne vedremo insieme gli aspetti critici e le soluzioni anche di altri Paesi. 5 febbraio 2009, Wanda Montanelli *M. Marraffa, Ian Hacking, P.L. Newman, P. Ekman