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La violazione dei diritti umani e delle pari opportunità nei regimi totalitari e nel contesto nazionale ed europeo Si fanno molte iniziative per capire e tentare di arginare l’irrefrenabile violazione dei diritti umani. Ho partecipato al ciclo di incontri “Per non dimenticare”, organizzato a Milano da Laura Tussi e mi è sembrato che le storie si ripetano ciclicamente e che poco o nulla cambi, specialmente in violazione dei diritti delle donne. Eppure i riconoscimenti dei diritti ad essere pari sono sanciti da molte leggi, dalla nostra Costituzione in forma chiara e incisiva, ma pure da dichiarazioni che in ogni epoca hanno dato ragione al principio di uguaglianza. “In qualunque ambito si siano mai cimentate, le donne hanno sempre raggiunto l’eccellenza” *. Non è una mia opinione; e se per questo non è neppure la considerazione di una donna. L’ha scritto nel 1532 Ludovico Ariosto: un uomo. L’avevano capito già quasi 500 anni fa che quanto a capacità e perizia noi donne siamo in grado quantomeno di eguagliare gli uomini. Eppure ancora oggi, a distanza di tutto questo tempo, in Italia e in parte dell’Europa, come nei peggiori regimi totalitari del pianeta, i diritti delle donne non vengono riconosciuti, se non parzialmente. Sono tante le donne che tutti i giorni, in ogni momento, e anche ora che stiamo parlando, subiscono ogni genere di vessazione o di discriminazione. Sono tante le donne che vorrebbero poter essere semplicemente valutate per quel che valgono e rispettate nella loro integrità, morale e materiale, per il prezioso contributo che offrono tutti i giorni, al pari degli uomini, nella edificazione della società comune. In molte parti del mondo, però, questo non avviene, e la donna continua a vivere una situazione di subalternità al modello maschile che non rende giustizia all’intelligenza dell’uomo stesso, prim’ancora che a quella della donna. Dall’Albania, dove larghissima diffusione continua ad avere il fenomeno della violenza domestica e dove sembra essere pressoché dominante “l’idea che le violenze fisiche e psicologiche facciano in qualche modo parte della vita coniugale” (Undp**), alla Cina, dove nel segreto e nel silenzio più totali continua ad essere perpetrata quell’odiosa, incivile e infame pratica dell’infanticidio precoce delle bambine, alle quali in alcune aree del Paese si continua a preferire il maschio. Con anche una possibilità in più rispetto al passato, quella del ricorso alle moderne diagnosi preimpianto, ove accessibili. Il tutto fatto per operare una selezione sessuale tanto ingiusta quanto insensata che reca danno, ancora una volta, all’uomo stesso, oltre che alla donna, costringendo tanti giovani ragazzi cinesi a vivere in un mondo in cui non vi è per loro un pari numero di ragazze con cui fidanzarsi e sposarsi (in media nel Paese vi sono solo 5 ragazze ogni 6 ragazzi, e in alcune ragioni il picco maschile è ancora più alto: una concezione dissennata, fonte anche, per i maschi, di disagi psicologici tanto profondi quanto assolutamente evitabili). Per arrivare ad alcune regioni del mondo arabo, in cui la condizione femminile vive spesso una situazione di soggezione rispetto all’intero universo maschile e in cui è normale considerare la donna come una proprietà, né più e né meno di come può esserlo un’automobile o un frigorifero. O a Paesi mediorientali come l’Iran, dove poco più di un anno fa si è deciso di chiudere d’autorità il “Centro dei Difensori dei Diritti Umani”, Ong guidata da Shirin Ebadi, l’avvocato donna insignita nel 2003 del Premio Nobel per la Pace per l’impegno profuso a sostegno delle donne e dell’infanzia. Ancora ieri, l’ Alto Commissario dell’ Onu per i diritti umani, la magistrato sudafricana Navi Pillay, ha denunciato a Ginevra la violenza domestica e i crimini di onore dei quali sono vittime circa 5000 donne ogni anno nel mondo. E sempre ieri a Nuova Delhi, in India, 63 persone, tutte donne e bambini (37 bimbi e 26 donne) hanno perso la vita in un tragico incidente mentre chiedevano cibo e vestiti davanti ai cancelli di un’organizzazione umanitaria. E potrei continuare ancora a lungo, partendo dalla leader non-violenta Aung San Suu Kyi, anche lei Premio Nobel per la Pace, costretta da tempo dal regime del Myanmar agli arresti domiciliari soltanto per aver difeso i diritti umani nel suo Paese; ad Ingrid Betancourt, per oltre 6 anni tenuta prigioniera in Colombia dalle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) per aver lottato a difesa dei diritti umani e contro la corruzione e il narcotraffico; ad Angelica Mendoza de Ascarza, perseguitata per essersi adoperata in Perù alla ricerca della verità sulla scomparsa di 6000 cittadini; ad Agathe Uwilingiyimana, primo ministro del Ruanda vittima dell’eccidio del 1994. Fino alle tante donne che non hanno neanche un nome portato alla ribalta delle cronache di giornale ma che, esattamente come le altre hanno subito violenza o perso la vita, magari senza un vero motivo. Penso alla ragazza incinta del Ruanda, flagellata da un medico Hutu durante il travaglio perché era una Tutsi; alla donna musulmana percossa e violentata in Bosnia da soldati serbi mascherati, davanti alla figlia ed ai genitori; alle tre sorelle di 16, 18 e 20 anni violentate dai soldati ad un posto di blocco in Chiapas; alla sorella quattordicenne di un membro dell’opposizione Haitiana violentata da alcuni appartenenti a una milizia civile armata. Tutte cose che fanno parte della nostra dolorosa storia comune. Tutte cose di cui ci vergogniamo e dobbiamo fare in modo che non si ripetano più. Un articolo, su un noto quotidiano romano, commentava un documentario sui discendenti di alcuni tra i più stretti e feroci collaboratori di Hitler che uscirà quest’estate (“I bambini di Hitler”***). Tra le tante testimonianze vi è quella di Monika Hertwig, 65 anni, figlia di Amon Goeth, ex comandante del lager di Plaszow, alla periferia di Cracovia, in Polonia, che ricorda come il padre si divertisse “a sparare dal balcone a donne con i loro bebè in braccio”. Un sadico gioco, alle spese di innocenti donne e bambini, fatto solo “per vedere se riusciva a uccidere due persone con un solo proiettile”. Ecco, queste sono le cose che noi non dobbiamo mai dimenticare. Cose che siamo stati capaci di fare appena pochi decenni fa, anche qui, nel cuore della civilissima Europa, nel paese che fu di Kant, Hegel e Beethoven, e che non vogliamo si verifichino mai più. Oggi nel nostro continente viviamo per fortuna un contesto storico diverso e certamente non paragonabile alle situazioni sin qui evidenziate. Ma è assolutamente chiaro che la donna, in Italia come in altri paesi europei – non tutti per fortuna – vive ora una contraddizione storica del tutto anomala e mai conosciuta prima. Da un lato, grazie anche all’uso delle nuove tecnologie, ad Internet, agli strumenti di diffusione del pensiero che le moderne società mettono a disposizione di tutti noi, sembra riuscire a guadagnare nuovi spazi. Dall’altra, però, risulta essere sempre più schiacciata dal peso di una considerazione estremamente superficiale della sua esistenza e da un progressivo processo di mercificazione del suo corpo che, oltre a non renderle merito, ne impedisce di fatto un autentico e completo progresso sociale. Basti pensare a quante siano davvero le donne che fanno parte delle nostre classi dirigenti e quanto scarsa sia la linearità dei percorsi di ascesa sociale. “Il numero di donne che ha oggi accesso al potere è molto ridotto. In Occidente non vi sono più donne Primo ministro di quante fossero nel Medioevo regine o reggenti”. Può sembrare eccessiva e fors’anche pretestuosa una comparazione tra la realtà politico-sociale attuale e quella del Medioevo. Ma in realtà anche in questo caso non faccio altro che riportare testualmente un concetto espresso da un uomo: quel Jacques Le Goff, considerato uno dei più insigni medievisti contemporanei. Il che ci porta inevitabilmente a riflettere su quali passi in avanti siano stati concretamente fatti da allora e quali prospettive ci vengano riservate. Ecco, io credo che noi tutti – intendendo donne e uomini insieme – dobbiamo guardare al nostro futuro e a quello dei nostri figli avendo ben chiara in mente una cosa: che non si può costruire una società realmente moderna e fondata su autentici principi di uguaglianza e di parità se non ci si libera definitivamente dal peso di tutte queste contraddizioni. E’ un percorso difficile, in salita e certamente non privo di insidie. Nel quale le donne devono capire che non si può prescindere da un coinvolgimento diretto, prima di tutto culturale, dell’uomo. E gli uomini, da parte loro, devono comprendere fino in fondo l’importanza di una loro attiva partecipazione a questo processo evolutivo sociale. Perché una vera uguaglianza tra i due sessi, pur in una distinzione di ruoli sociali, di compiti e di attitudini, conviene anche – e forse prima di tutto – all’uomo. 8 marzo 2010, Wanda Montanelli * Testualm. “Le donne sono venute in eccellenza di ciascun’arte ove hanno posto cura” (Ludovico Ariosto, L’Orlando furioso). ** Dati United Nations Development Programme. *** “Hitlers Kinder” del regista israeliano Chanoch Zeevi.