E’tempo della contaminazione tra la farina del pane e i byte delle transazioni finanziarie (E VOI BALLATE 3) Pil in picchiata nel 2009 al – 4,3%. Inflazione all’1,2. E il tasso di disoccupazione al 9,2% e al 10,7%. Le stime diffuse nell’Economic Outlook dall’Ocse registrano l’accelerazione del declino. Per la crisi economica italiana e mondiale si invoca a gran voce il ritorno della politica. Si chiede più politica e meno mercato contro l’avidità del libero scambio distruttore del bene comune che ha favorito i ricchi ed i potenti lasciando il resto degli uomini in forti disagi quando non in vera e propria povertà. Il liberismo spinto è fallito perché non ha colmato la rinuncia ideologica dei movimenti operai, così come non si riempiono i frigoriferi con le chiacchiere. Il movimento dei lavoratori rappresenta il grande assente all’appuntamento con la smisurata situazione di crisi globale. Le lobbies finanziarie e politiche che hanno preteso la fine delle ideologie non sono riuscite a dimostrare che l’unica ideologia rimasta, quella del liberismo spregiudicato fosse vincente. Hanno perso anche loro, così come scadono le merci nei magazzini. Sentire che occorre scegliere, con gli stanziamenti del governo, tra promuovere la produzione o dare subito un sostegno ai privi di reddito pare un’alternativa assurda, quando tutti sanno che se si promuove la produzione e non c’è chi acquista le merci che si produce a fare? Inventiamo allora i negozi “a credito”, con il quadernino dalla copertina nera dove i droghieri un tempo usavano scrivere l’importo della spesa di chi non pagava al momento. Soldi veri e subito, ha chiesto Emma Marcegaglia. Finalmente si comincia a capire che se la gente non ha soldi in tasca poi chiudono le fabbriche e le saracinesche dei negozi. Si ritornerà alla concertazione con tutte le rappresentanze dei lavoratori? Auguriamoci che si riesca a capire che dare dei soldi a chi proprio non ce l’ha, nonostante si sforzi di essere ottimista, può essere la soluzione di inizio. L’impulso di partenza al virtuoso giro di acquisti di beni e servizi che entrano in circolo consumo-produzione, quindi lavoro, quindi aumento del Pil. Troppo semplice? Demagogico?. Le semplificazioni non piacciono anche quando costano meno e fruttano di più. Meglio dar fiducia, secondo teorie di comodo che strizzano l’occhio ai dissestatori, a certe banche che hanno scientemente contribuito al disastro nell’attuale economia, o a spregiudicati uomini d’affari, imprenditori e finanzieri che hanno intrappolato i consumatori in una fitta ragnatela di chimere economiche e politiche con la gestione di un’economia a delinquere. L’illusione neo-liberista analizzata a fondo da René Passet, professore emerito all’Università di Paris-I-Panthéon-Sorbonne, presidente del consiglio scientifico del movimento “Attac” (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie per l’aiuto ai cittadini), identifica un nuovo tipo di economia che modifica i nostri rapporti con il tempo, lo spazio, la società. I nostri responsabili politici – scrive Passet – persistono nel credere all’irreversibilità e all’universalità di un sistema che pretende di essere liberale. Tutti, siano di destra o di sinistra, applicano le stesse ricette: deregolamentazione, sottomissione alle leggi del mercato, produttivismo sfrenato. […] Il sistema produce effetti terribili, che rischiano di divenire irreparabili (avvicinati nel tempo e nello spazio, gli uomini sono sempre più allontanati tra loro da disuguaglianze crescenti) e generare precarietà, povertà ed esclusione sociale. La natura è in degrado, la catastrofi naturali si moltiplicano, tutto, anche la vita, viene mercificato.[…] La svolta con cui abbiamo adesso a che fare si annuncia ancora più decisiva: col computer, con l’informatica, l’umanità esce dalla fase del suo sviluppo fondata sull’energia ed entra in un’altra, dominata dalle forze dell’immateriale. Non ci meravigliamo, dunque, se la nave beccheggia e se dobbiamo aggrapparci all’albero maestro [..] è urgente invertire l’indirizzo liberista, mettendo l’uomo e il vivente al centro di ogni attività economica per costruire una società diversa. […] Non si tratta più di ripristinare gli equilibri del passato utilizzando meccanismi già sperimentati, ma di definire nuovi adeguamenti a nuovi strumenti. Trattandosi d’impiego, ad esempio, è il problema della sostituzione dell’uomo da parte della macchina a dover essere affrontato, insieme a quelli del tempo di lavoro, delle sue forme, del suo ruolo sociale. Si richiedono politiche che vadano ben al di là dell’aggiustamento congiunturale: sono politiche a lungo termine, riguardanti le strutture, i modi di funzionamento e le regole della vita economica. Altrettante nuove terre da esplorare. Gli attentati agli equilibri sociali marciano in parallelo con gli attentati globali all’ambiente. Sono minacciati i meccanismi regolatori del pianeta: il buco nell’ozono stratosferico compromette il filtraggio dei raggi ultravioletti, grazie al quale la vita ha potuto espandersi e diversificarsi; l’effetto serra minaccia la regolazione termica della Terra. Il passaggio alla dimensione globale impedisce che si possa continuare a parlare di disfunzioni.[…] Si scontrano due logiche: quella dello sviluppo economico e quella delle regolazioni naturali, la prima delle quali minaccia di distruggere la seconda e per ciò di liquidare ogni sostegno della vita umana. […] Si afferma allora il tema dell’emergere di un’economia dell’immateriale. […] Si dicono liberisti, poiché hanno bisogno di una bandiera e di una ragione sociale, ma è un altro imbroglio. Che liberismo è questo, dove un centinaio di nuovi “padroni del mondo”, grandi signori delle transnazionali, dominano il pianeta? Che criterio è questo, secondo cui gli Stati devono consegnare alle imprese le chiavi del settore pubblico e della protezione sociale, ma con beneficio d’inventario – in nome, ovviamente, dei rischi della concorrenza – sotto pena di citazione in tribunale? Non è certo il liberismo dei padri fondatori: nel 1776 Adam Smith denunciava inequivocabilmente lo sfruttamento del debole da parte del forte; e non parliamo di Marx. No, non permetteremo si dica che questo mondo, in cui la logica finanziaria detta legge su tutto, corrompe tutto e distrugge il senso delle cose, è un mondo necessario. Un altro mondo è possibile: sta nascendo sotto i nostri occhi, è alla portata delle nostre mani, dipende da noi far si che ne fioriscano le promesse”. Perché sia possibile cercare un altro mondo occorrono nuove intelligenze in politica, nel sociale e nelle istituzioni. Nel mondo del commercio e dell’imprenditoria è lenta la maturazione per accettare la inevitabilità di concertazioni. Da soli non si arriva lontano, soprattutto la frase “soldi veri e subito” la coniugherei con l’impatto del virtuale ormai entrato nelle nostre vite e con cui dobbiamo fare i conti. Si spostano denari e merci in pochi istanti con un collegamento internet e se pure gli stessi finanzieri poi hanno bisogno per vivere di “tangibilità”, cioè cibo, oggetti, abbigliamento, case, hotel, non si può continuare a credere che il mondo parallelo delle transazioni sia a loro esclusivo vantaggio, dimenticando che tutto quanto permette la nostra sopravvivenza è dovuto al fatto che un contadino butta i semi sulla terra arata, e un fornaio passa metà della notte a fare il pane. Cosa esiste di più concreto del pane? Eppure è necessaria la contaminazione tra la farina del pane e i byte delle transazioni finanziarie. A meno che non credano i banchieri e i manager finanziari di poter infornare da se stessi ogni notte le pagnotte, ogni mattina innaffiare l’insalata da taglio e ogni pomeriggio imbastirsi i vestiti, devono contribuire a dare, in proporzione ai loro guadagni la quota parte che permette al resto del mondo di esistere, vivere, gioire, produrre. Guarire dalle malattie e dalla fame, trovare una luce in fondo al tunnel della disperazione. La contaminazione riproposta da René Passet e dall’Attac, già ideata da James Tobin nel 1972 e denominata Tobin Tax; ripresa poi nel 1997 da Ignacio Ramonet redattore di Le Monde diplomatique (in “Disarmare i mercati”) dopo vent’anni, ritornando a proporre un’aliquota tra 0,05 e l’1% in tutte le transazioni dei mercati valutari per stabilizzarli e procurare delle entrate per la comunità internazionale, che ammonterebbero secondo i calcoli a circa 166 miliardi di dollari, il doppio della somma annuale utile a sradicare la povertà nel mondo. L’Attac è divenuta una finalità del movimento antiglobalizzazione, che Ramonet disconosce (“hanno preso in ostaggio il mio nome – dichiara – io non ho assolutamente niente in comune con questi ribelli antiglobalizzazione. Naturalmente sono compiaciuto […] Sono un economista, e come molti economisti, io sostengo il libero scambio”) pur confermando a distanza di anni la bontà della Tobin Tax che è argomento molto discusso non solo nelle istituzioni accademiche, ma anche tra la gente comune e nei parlamenti di Regno Unito e Francia e di tutto il mondo. In Canada è stata ampiamente rianimata grazie agli sforzi degli attivisti canadesi negli anni 1990, e nel marzo 1999 la Camera dei Comuni canadese passò una risoluzione diretta al governo per “promulgare una tassa sulle transazioni finanziarie in concerto con la comunità internazionale.” Nel Sud America la Tobin è stata appoggiata dal presidente venezuelano Hugo Chàvez, che ha recentemente annunciato lo studio di un’implementazione della tassa, e dal brasiliano Luiz Ignacio Lula da Silva, tra i pochi, a quanto sembra, ad avere le idee chiare in questo momento: “La crisi è colpa di gente bianca con gli occhi azzurri”. Un sostegno inatteso alla Tobin tax è arrivato dallo speculatore multimilionario George Soros, il quale ha dichiarato che, mentre la tassa va contro i suoi interessi personali, crede che la sua introduzione avrà effetti positivi sull’economia mondiale. La “rivoluzione keynesiana” dell’economista britannico, padre della moderna macroeconomia, John Maynard Keynes, primo Barone Keynes di Tilton scomparso nell”83, ha sostenuto la necessità dell’intervento pubblico nell’economia con misure di politica fiscale e monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregatata non riesca a garantire la piena occupazione. L’idea non è di oggi, anche se adesso si è nell’urgenza di passare dalla teoria alla pratica. Agire con interventi immediati per dare l’input alla vita di tutti i giorni con gli acquisti di alimenti, prodotti e servizi, e contemporaneamente pensare a qualcosa di strutturato per comprare il futuro. Progettare, investire, impegnarsi. Uscire dal guado della precarietà. Immaginare che la mobilità debba essere una scelta per migliorare la propria condizione lavorativa. Per programmare un futuro in acquisto, fatto anche di impegni a lungo termine per pagare l’affitto di casa, o il mutuo; permettersi dei figli, e dare vita a un mercato straordinario fatto di mobili, elettrodomestici, tendaggi, stoviglierie, e se la famiglia cresce pannolini, biberon, baby creme, latte, scarpine, e scuola e quaderni e libri, e vestiti, e vacanze per tutti. Invece è tutto fermo. Qualcuno si muove lì sulla nave in avaria. Sono coloro che hanno scelto di ballare potendo invece fare scelte diverse per “mitigare – come suggeriva J.M. Keynes – il predominio della speculazione sull’intraprendenza. Non certo l’assonante Robin Tax, del ministro Tremonti, che evoca la mai applicata Tobin Tax presentata come tassa sui petrolieri e di fatto consistente in una tassa sull’Eni pagata al 30% dallo Stato, cioè noi stessi. Il gioco delle assonanze e le comunicazioni suggestive prosegue ora con la i Tremonti bond con previsione di centri di controllo collegati alle Prefetture che dovranno verificare che i finanziamenti (obbligazioni speciali) finiscano davvero nell’economia. La dissennatezza di alcuni istituti di credito sarà pagata dallo Stato. Per anni le autorità di vigilanza hanno tollerato che le banche facessero bilanci irrealistici collocando come attive obbligazioni di dubbia qualità e partecipazione in società fatte apposta per nascondere la realtà, titoli tossici, ecc. Intanto Nicolas Sarkozy alla vigilia del G20 di Londra chiede risultati storici, perché la crisi è troppo grave. Il presidente americano Obama, vedette del vertice anche per celebrazioni di venerdì a Strasburgo per il sessantesimo anniversario della Nato, oggi incontrerà il presidente russo Dmitri Medvedev e quello cinese Hu Jin¬ta. Barack è in pieno accordo con la cancelliera tedesca Angela Merkel e chiede misure di forte impatto nell’opinione pubblica e so¬prattutto la certezza di tempi e scadenze. La preoccupazione giustamente incombe sui capi di stato. I segnali di possibili degenerazione della protesta sono già registrati. Quattro dirigenti della Caterpillar di Grenoble, in Francia, sequestrati dagli operai che contestano un piano di licenziamenti di 733 persone, e stessa sorte è toccata all’imprenditore Pinault, proprietario, tra innumerevoli altre cose, della Gucci. In Inghilterra il distretto finanziario di Londra si é blindato per il timore delle manifestazioni di gruppi violenti previste in occasione del vertice G20. Ai bancari della city è stato suggerito di andare a lavorare senza il completo scuro di ordinanza, e i diversi istituti di credito hanno rivisto i loro sistemi di sicurezza. Episodi oramai non più isolati, che si aggiungono alle contestazioni ai manager dell’Aig, come della Royal Bank of Scotland, o a quelli della Sony francese e della 3M Santè che sono stati presi addirittura in ostaggio dai propri dipendenti. Appena meglio è andata al direttore della Continental, Louis Forzy, fischiato e bersagliato da lanci d’uova marce. In Italia abbiamo la dichiarazione del premier Berlusconi che la crisi è grave e che bisogna davvero “produrre” sorrisi e ottimismo non semplicemente limitarsi a suggerirlo. Che sia arrivato il momento di interrompere il ballo e fermarsi a fare le scelte giuste per evitare l’iceberg? Roma 1 aprile 2009 Wanda Montanelli