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22
Dic
- Wanda Montanelli
Raccontava un famoso conduttore tv nato a Roma di aver avuto per un certo periodo della sua vita un sogno notturno ricorrente: quello di diventare Papa. Una volta eletto al soglio pontificio si affacciava alla loggia della basilica di San Pietro e la piazza lo acclamava gridando: “È romano, è romano, è romanooooo!“. Al di là del curioso e divertente aneddoto, sono stati un centinaio nella storia i Papi nati a Roma. L’ultimo fu Pio XII, incoronato in Vaticano nel 1939. Sulla opposta riva del Tevere, invece, quanto a Presidenti della Repubblica Italiana, in oltre 70 di vita democratica non ve n’è stato curiosamente neppure uno che abbia potuto vantare natali nella Città Eterna.
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26
Gen
- admin
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Quelli che per far trionfare il bene sul male e veder finalmente riscoperti i valori ambientalisti devono ricorrere al cinema 3D
Le grida forti della disperazione di fronte alla distruzione del proprio mondo sono la parte più vera di Avatar. Il dolore che travalica i confini tra uomini e alieni e rende simili di fronte alla morte: dal sud d’Italia come ad Haiti, dalla Terra a Pandora. Un urlo come una fitta che ti spacca l’anima in pezzi. Neytiri, la donna Na’vi che piange i suoi morti ha gli occhi della sofferenza che la rendono umana e cancellano d’incanto il colore blu della sua pelle, le sembianze d’animale, la coda le orecchie e quel corpo alieno.
La possibilità di avere una nuova chance in un altrove impensato è il fascino di Avatar, più che nella sbalorditiva tecnologia costata quasi quattrocento milioni di dollari. Certo l’impatto è forte con le cadute a precipizio in strapiombi profondissimi, le risalite verso l’alto e il volo bizzarro dei banshee, mostruose creature alate: l’ingresso nel film tridimensionale fa toccare quasi con mano ogni persona e cosa, e la fuoriuscita di oggetti dallo schermo li avvicina a noi, ai nostri sensi per renderli tangibili e fantastici nello stesso tempo nella versione in 3D.
L’opportunità nuova del marine Jake Sully (interpretato dall’australiano Sam Worthington) di lasciare il suo corpo paralizzato e vivere nel corpo del suo avatar è la chiave del messaggio di salvezza di James Cameron. Il sogno che si realizza nella realtà di un corpo costruito in laboratorio. Da adesso la nuova speranza di noi umani è nel pensare di addormentarci e affidare al nostro avatar vigoroso di forza e di risorse il compimento di tutte le missioni in cui potremmo aver fallito.
L’anticonformismo di Avatar è nella riuscita benefica di ogni soggetto anche orrido che riempie la scena. La natura di Pandora affollata di pericoli non è ostile fino al punto di non poter essere domata; quindi è buona per gli abitanti di Pandora che la governano e trovano modi di vivere in simbiosi con lei, in scambi di energie positive e sogni cullati dalle amache dell’enorme albero casa.
La modernità di Avatar è nella concezione non sessista. Finalmente le femmine sono a fianco dei maschi, libere di cacciare e di scegliere il proprio compagno. Potenti nella guerra, nella marcia per i dirupi stretti irti di radici o con lanci tra le liane. Tenere e forti come…donne. Non bambole-oggetto della degenerata raffigurazione mediatica dei nostri giorni. Il linguaggio audiovisivo è spostato in avanti di decine di anni, ma il valore primitivo della dignità delle persone non teme patine di vetustà e si espone con tutta la casistica sentimentale e romantica. E’una donna guerriera, Trudy Chacon (Michelle Rodriguez), la soldatessa che si ribella al massacro dei Na’vi e dichiarando “Non mi sono arruolata per questo schifo!” e da il via alla reazione della parte sana dell’America.
La parabola antimperialista con rimandi a Hitler per l’uso del gas contro i Na’vi, o a Bush per la messa in atto dell’attacco “preventivo” è presente anche nell’antimilitarismo dei potenti apparecchi di volo che si distruggono con mezzi rudimentali e pezzi di manufatti inseriti negli ingranaggi. Certo con molta fatica e scene avveniristiche e lotte di titani meccanici, bulldozer soccombenti finalmente. Un “Arrivano i nostri” al contrario in cui “gli indiani” con le loro frecce avvelenate vincono la potentissima macchina da guerra, e stranamente la platea tifa per loro ed ignora il richiamo delle trombe del generale Custer. Hanno le frecce, le trecce, la spiritualità, e sono gerarchicamente obbedienti a principi guerrieri. Neytiri e Jake Sully si amano per la comune bellezza interiore che li rende uguali pur appartenendo a due mondi lontani. La dottoressa Grace Augustine, interpretata da Sigourney Weaver, sopravvive anche lei nel corpo del suo avatar perché il mondo degli umani non ha più posto per lei, né comprende gli esiti della sua ricerca scientifica e il rispetto per i nativi di Pandora.
Il film è eversivo in una ribellione di soldati Usa sani contro nuovi dittatori assetati di ricchezza e potere. Il motivo per cui distruggono l’enorme albero casa è per un minerale raro che si chiama Unobtainium (gemito), contenuto sotto le radici dello stesso albero sacro. Ci viene in mente il valore del petrolio causa di guerre preventive e massacri di popolazioni.
Avatar è eversivo fino in fondo. Lo è nella natura che si ribella: animali, piante, umani e umanoidi contro la cieca sopraffazione. Ma la rivoluzione di Avatar è nella capacità di ricominciare da capo a costruire un mondo migliore diverso dal nostro ormai deteriorato dalla mentalità autodistruttiva.
Il fallimento di Copenaghen nonostante la paura per il riscaldamento globale trova conforto nel sogno visto in tre dimensioni. Al Gore, tutti gli altri convenuti al convegno sul clima si daranno ancora da fare per dare un destino diverso alla nostra terra. Speriamo che fra 150 anni nessuno possa dire: “Non c’è verde sul loro “mondo morente” perché hanno ucciso la loro madre”.
27 gennaio 2010
Wanda Montanelli
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26
Ago
- admin
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Da nord a sud, da molti anni e sotto ogni governo imperversa la cultura del crimine facile. Una volta i malviventi si nascondevano, una volta cercavano posti isolati e occasioni senza rischio. Ora sono sfacciati. Dipende da noi dare “la percezione di pericolosità” nell’infrangere la legge e le regole morali. Anche da noi donne se ce lo concedono.
E’ un fattore di cultura. L’assimilazione di notizie sul paese di bengodi per i criminali pare senza freni. E in questo ognuno di noi è complice.
Sembra che si stia spargendo la voce che l’Italia è terra di nessuno. Un posto dove chi vuole si accomoda, si impone, infrange le leggi, stupra le donne, rapisce i bambini, accoltella la fidanzata o il vicino di casa per motivi banali, e tutto è compiuto impunemente. Non solo. La percezione di impunità è arrivata al punto tale che i crimini si compiono in pubblico, tra la gente, in pieno giorno, nelle piazze, sulle spiagge, sotto il portoni chiusi o aperti non importa.
Che immagine hanno degli italiani i criminali nostrani e stranieri? Che idea si son fatti della nostra capacità di reagire?
Tengo a chiarire che in quello che scriverò non c’entrano il razzismo o le ideologie. Cerco di fare un’analisi del buon senso. Come qualsiasi persona oggi fa, essendo preoccupata per la sfrontatezza e la sfacciataggine dei criminali. Ragioniamo. Perché questo succede? E cosa possiamo e dobbiamo fare perché l’arroganza criminale abbia fine?
Non è strano che in pieno sole, sulla spiaggia Faber beach di Ostia Lido, stabilimento balneare del litorale laziale in cui è impossibile nascondere qualcosa, tra campi da beach volley, attrezzature per sport acquatici, bar all’aperto, e un asciugamani steso ad ogni metro, qualcuno rapisca una bambina? Il posto è vicinissimo a casa mia. Il Faber Beach mi piace perché grazie al sistema in concessione comunale qualcuno tiene pulita la spiaggia. Questo credo aggiunga servizi utili, oltre che opportunità di lavoro per tanti ragazzi, occupati a dare un volto nuovo ad una zona di Ostia una volta piuttosto degradata. Quando anni fa notai che si ponevano a dimora palmizi laddove fino ad un po’ di tempo prima c’erano cartacce e siringhe di drogati, ho pensato che fosse ora. Dare in concessione a cooperative di ragazzi un tratto di spiaggia pubblico toglieva all’amministrazione l’onere di mantenere pulito e sicuro un tratto di mare e spiaggia. Hanno iniziato con una baracchetta, poche sdraio, e… grande intuizione, un bel po’ di piante e fiori.
Ho scritto che mi piace Faber beach, non ho detto che ci vado, ed il motivo è uno solo. E’ impossibile passare inosservati. Ti trovi, sì al mare, ma nel centro della città, con la strada confinante, i palazzi di fronte, a poca distanza dal presidio medico S. Agostino, a un metro dai negozi e con la sabbia delimitata da un muretto basso, oltre il quale c’è l’asfalto su cui autobus vanno e vengono pieni di viaggiatori che osservano cosa fa la gente in spiaggia.
Come si fa in un posto così a rapire un bambino?
Giorni fa una mamma lasciava la spiaggia tra “La Buca Beach” e “Faber” quando un uomo le ha strappato dalle mani la bimba per darsi poi immediatamente alla fuga. Era un algerino un po’ alticcio catturato dagli stessi bagnanti e mancato al linciaggio per poco grazie all’intervento della polizia lidense che lo ha arrestato.
E’ vero, i bagnanti hanno reagito, ma non è questo il punto. Il punto è: “Chi ha messo in testa ai malviventi che in Italia si può fare azioni criminali senza rischi anche il pieno giorno? Chi ha così allentato i freni inibitori?“. Qualche birra bevuta in più?
Credo che il punto sia la “percezione del non rischio”.
Non sarà la considerazione che siamo mollicci, disattenti, che ci facciamo gli affari nostri e non aiutiamo il prossimo? Che la Polizia può contare su pochi componenti, che le leggi ci sono ma se pure ti arrestano esci dopo poco? Cosa è? Cosa fa pensare loro di farla franca?
Forse il fatto che la fanno franca davvero?
Torre Annunziata a Napoli, Ponte Galeria a Roma. Donne stuprate e aggredite dal branco, da un ragazzo napoletano di sedici anni in Campania, da due stranieri nel Lazio dove una coppia di ciclisti olandesi aveva deciso di pernottare in una tenda su un prato antistante un casale. Anche lì c’è l’errore di fondo di fermarsi a dormire dentro una canadese. Mi illudo. Mi piacerebbe sapere che una coppia che gira il mondo in bicicletta possa dormire sui nostri prati. Non è così. Ma anche nel caso dei rumeni cosa gli ha fatto credere che nessuno avrebbe aiutato i campeggiatori per tutto il tempo della loro aggressione? Passano macchine e camion poco distante da lì.
C’è un programma su Rai Tre “Amore criminale”, presentato il lunedì sera dalla brava Camila Raznovich. L’aspetto che sconcerta di più, oltre all’efferatezza dei crimini, è che per ogni storia si ha la certezza che si sarebbe potuto intervenire non una, ma decine di volte, per porre fine alle persecuzioni nei confronti della vittima. Per impedire il crimine.
Al fidanzato che accoltella la sua ragazza. Diritto di proprietà coniugato a quello di impunità, che gli dice la testa ? Che uno può assassinare la sua donna e non pagare il conto alla giustizia?
Cosa è che gli fa credere di farla franca?
Forse il fatto che non se ne trova uno di colpevole?
Tra tutti i femminicidi chi ha pagato?
Una volta esistevano il rimorso, i sensi di colpa, il bisogno di confessare.
Oggi esiste il gioco perverso di dimostrarsi più furbi degli inquirenti e non pagare.
Alla Casa Internazionale delle Donne di Roma c’è un’intera parete con effigi di donne assassinate il cui aguzzino resta sconosciuto. L’argomento è continuamente dibattuto dalle associazioni femminili e l’Udi sta organizzando le staffette contro la violenza in ogni luogo d’Italia. La volontà di trovare ferme soluzioni a questo gravissimo problema ci contraddistingue per tanti propositi messi in atto. Ma se fossimo di più nei luoghi delle decisioni avremmo accorciato le distanze e migliorato la nostra qualità di vita.
Vorremo poter dire noi donne qualcosa sulla sicurezza. Avanzare proposte. Credo che un gruppo di studio sulla sicurezza delle città con la presenza di donne a metterci buon senso e risoluzione potrebbe funzionare. Vorremmo poter organizzare la nostra autodifesa. Con corsi di prevenzione rivolti alle donne e con l’impostazione di una vera campagna culturale, difficile da esprimersi in poche parole ma con l’obiettivo di cambiare la mentalità dei criminali, a partire dal fatto che possono scegliere di non esserlo fino all’attimo prima di compiere il delitto.
In aggiunta a questo c’è la necessità di diffondere la cultura dell’inesorabilità “del prezzo da pagare” quando si decide di essere infami. L’efficienza della legge sullo Stalking, la cultura del rispetto inviolabile di ogni essere umano, per il suo diritto a vivere e decidere di se stesso senza sopraffazione alcuna. La scuola, la famiglia, devono trasmettere concetti morali parallelamente a tutto il virtuale che ci circonda: tv, spot pubblicitari, commedie comiche, soap opera, giochi a quiz, videogame, tutto. Tutto deve concorrere a mettere semi di buon senso nella vita di ogni persona; a infondere l’idea che c’è un’opzione di salvezza in fondo al viale grigio dell’incertezza. Chance che è in mano nostra come l’asso nel poker.
Il problema è culturale di informazione corretta, persuasione attraverso i mezzi di comunicazione individuali e di massa. Conoscere se stessi, le persone che abbiamo accanto. Rifuggire dal pericolo, e, trovandolo implacabilmente davanti, avere imparato che esistono alcune opzioni per non morire. Conoscere l’autodifesa, avere a portata di mano mezzi e strumenti per chiedere aiuto, contare sui fulminei interventi della forza pubblica. Non lasciare zone buie e scoperte da sorveglianza, e quando l’occhio umano non arriva… affidarsi al grande fratello. Che ce lo abbiamo a fare? Solo per farci controllare se paghiamo o no le tasse? Basta dare un’occhiata ai nostri scontrini per stabilire dove trascorriamo il tempo ora dopo ora. Il telefonino è il nostro controllore quotidiano, il video dell’Ufficio postale ci riprende, ma che ci importa se non abbiamo nulla da nascondere. Utilizziamo allora il grande fratello per trarne vantaggi e sicurezza.
Il problema è di messaggi mediatici. E’ di lavorare di psicologia sulla mentalità e la deterrenza alla delinquenzialità. Si sono vinte le elezioni per la “percezione” di insicurezza. Si può sconfiggere il crimine divulgando “percezioni di civiltà” e di legalità che sempre hanno un conto e un bilancio da cui nessuno è esente. Per infondere ideali di libertà rigore e bellezza, e immagini dei prati liberi di casa nostra nel filmato finale di una vita migliore.
26 agosto 2008 Wanda Montanelli