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DRAGHI’ NUN CE LASSA’ ! DRAGHI’ NUN CE LASSA’ !

 

A partire dai Sindaci di mille splendide città e borghi italiani, fino alle cancellerie internazionali, dai sindacati, alla Confindustria, e  primo fra tutti il nostro amatissimo Pesidente Mattarella; a seguire il Vaticano, i direttori delle maggiori testate giornalistiche, ma immagino tanta parte di popolo che come gli indigeni del famoso film “Riusciranno i nostri eroi… “ si sentono spaesati dalla partenza del loro capo carismatico e gridano quasi al cielo “Titì nun ce lassà!” . Nel geniale film di Ettore Scola, con la magistrale interpretazione di Alberto Sordi e Nino Manfredi  verso il finale arriva la agognata pioggia. E noi?  Noi che pure siamo a secco di acqua, tra roghi criminali che non sono mai puniti abbastanza, le incognite future sul Pnrr, l’inflazione, la crisi energetica, il bisogno di fare tagli alle accise, la necessità  di siglare un accordo sul grano, il contenimento del maledetto virus (e ora pure con la sottovariante Ba.2.75, Centaurus) che fa contare ancora troppi morti ogni giorno; e la gente che non sa come mettere a tavola un piatto due volte al giorno e si dispera per le bollette aumentate in modo esponenziale. Ma fra tutto ci opprime la Guerra pesantissima, assurda, imprevista, su cui nessuno ha una soluzione giusta per farla terminare.

Senza offesa per nessuno per il paragone, ma diciamolo pure, siamo tutti sconcertati, e se è pur vero che la democrazia si esplica maggiormente attraverso le elezioni facciamoci delle domande. Ho chiesto a molti. Nessuno sa dire con certezza chi vorrebbe al Governo da qui al futuro. Chiediamoci perché. Soprattutto se lo chiedano i partiti. Perché abbiamo bisogno di appoggiarci alla spalle forti di Mario Draghi e non ci vengono in mente alternative? Il fatto è che non vogliamo cambiamenti. Non adesso, non subito. E’ solo questione di denaro? “No Mario no soldi” scrive Feltri su Libero, ma certo anche i soldi ci servono eccome, e trovo sagge le parole di Paolo Guzzanti di oggi L’altra metà delle Stelle :  È verissimo che gli italiani sono stati espropriati per anni del diritto di esprimersi col voto come un vero popolo sovrano, ma è altrettanto vero che stavolta siamo in mezzo a un guado pieno di bestiacce carnivore e sabbie mobili che prima non esistevano, come la ripresa del virus, una guerra di aggressione che va fermata e una crisi economica, che richiedono virtù, polso fermo ed esperienza, qualità per cui Draghi ha accumulato crediti nazionali e internazionali”. E ancora  sulla stessa onda Claudio Cerasa sul Foglio: “Perché ringraziare il Parlamento italiano, comunque finirà: Ha saputo arginare gli estremismi, ha prodotto grandi trasformazioni nei partiti e ha accompagnato l’Italia verso una stagione di compromessi esemplari. Qualunque sarà il destino di Draghi, questa legislatura non va demonizzata”. Così pure Matteo Renzi che ha fatto partire la petizione “Draghi resti a palazzo Chigi”  .

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ATTACCHI ALLE SINDACHE RAGGI E APPENDINO. TENTATIVI INTIMIDATORI PERCHE’ DONNE?

Non è dato sapere se gli stessi attacchi si sarebbero compiuti da parte dei criminali se i sindaci di Roma e Torino fossero stati uomini. Nemmeno ci interessa più di tanto se non per sottolineare che le azioni di governo delle due sindache pentastellate non danno speranza di possibili collusioni a chi è abituato a trovare spazi vitali di crescita negli alvei delle pubbliche amministrazioni per far allignare piante criminogene, con radici  profonde, fusti robusti e chiome fruttifere.

Si rendono conto adesso i gestori del malaffare che i tempi sono cambiati, che forse davvero l’onestà è tornata di moda, e che nonostante qualche fisiologico difetto di carburazione iniziale, le due macchine amministrative delle donne sindaco di Raggi e Appendino si fanno largo per avanzare con progetti, redistribuzione di ricchezza e diritti, produzione cauta a salvaguardia democratica delle complicate norme su appalti e concessioni.

Insomma per dirla come il famoso primo Sindaco della capitale di inizio novecento Ernesto Nathan “Nun c’è trippa pe’ gatti.!”, ed è per questo che non ci vogliono stare soggetti abituati ad altre “entrature” nella cosa pubblica, e generose concessioni che nel passato avevano moltiplicato costi a danno dei contribuenti stravolgendo le procedure, ché sì erano veloci, ma sempre in situazioni di urgenza, emergenza, prassi consolidata in cui il bene comune addiveniva un bene assegnato ai soliti pochi addentrati amici degli amici.

Ormai credo che tutto il mondo di sopra, di sotto, di mezzo, debba ricredersi, e la politica del passato sia finita. Quella politica che invece di compiere azioni verso il dovere pubblico, per tutelare il diritto degli ultimi, i penultimi, i terzultimi, e così via via a salire verso le classi medie e ricche, per dare a ognuno il giusto, senza sprechi, approssimazioni e fretta, realizzavano esattamente il contrario. Fare autocritica è un mestiere che pochi sanno svolgere. Qualche eccezione esiste e ne trovo una nel recente bel libro di Federico RampiniLa notte della sinistra”,  in cui scrive: “Ci fu un tempo in cui sinistra e popolo erano quasi la stessa cosa. Adesso in tutto il mondo le classi lavoratrici, i mestieri operai vecchi e nuovi, cercano disperatamente protezione votando a destra. Perché per troppi anni le sinistre hanno abbracciato la causa dei top manager, dell’Uomo di Davos; hanno cantato le lodi del globalismo che impoveriva tanti in Occidente. E la sinistra italiana da quando è all’opposizione non ha corretto gli errori, anzi. È diventata il partito dello spread. Il partito che tifa per l’Europa «a prescindere», anche quando è governata dai campioni della pirateria fiscale….”. E quanto ha ragione Rampini, se solo penso che Renzi è riuscito a fare quello che nemmeno a Berlusconi era stato mai permesso, togliere di mezzo l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Per fare un piacere a chi poi? Se da alcuni sondaggi emerge che agli imprenditori la faccenda non è mai interessata più di tanto. Per dare qualcosa all’Europa, o meglio a quell’ideologia fallimentare di Liberismo spinto che non ha portato altro che sfacelo dovunque abbia cercato di attecchire.

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