ABBIAMO SETTE DONNE CAPOLISTA IN IDV? EVVIVA! FACCIAMO UN EUROBRINDISI (MA DOPO LE ELEZIONI)

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Le preoccupazioni di Antonio Di Pietro, i suoi tentativi di esorcizzarle

Senza altri eufemismi entrerò diretta nell’argomento. Nel merito di una citazione che mi riguarda in un’agenzia “Dire” del 16 aprile, anche perché dopo due interviste a quotidiani nazionali che mi chiedevamo dichiarazioni in proposito, appare doveroso fare chiarezza su alcuni elementi semplici che riguardano le liste elettorali. Argomento di questi giorni molto dibattuto a più livelli. L’arte di confondere i fatti con le storielle sta diventando sempre più conosciuta ed esercitata. Da un po’ di tempo a questa parte la politica va a scuola di manipolazione sociale e spesso riesce anche se in modo maldestro a far credere che il ‘nulla’ sia seta , e il cascame lana. Ma torniamo alle esternazioni di ADP (acronimo di Antonio Di Pietro). Leggo sul comunicato stampa succitato: “Non sono un ducetto e nemmeno un maschilista. Ecco la prova”. Antonio Di Pietro ribalta un luogo comune e alle prossime elezioni mette in campo un “esercito rosa”Sono davvero passati i tempi in cui dell’ex pm si diceva che era un “despota maschilista”. Solo due anni fa così la pensava Wanda Montanelli, allora responsabile del dipartimento politiche di genere dell’Italia dei Valori. Con un lungo sciopero della fame cercò di convincere il mondo della “scarsa attenzione riservata da Di Pietro alla componente femminile nelle liste per la camera e per il senato”. Di più: Montanelli ricorse anche al giudice civile per ottenere il risarcimento dal danno esistenziale. Oggi il maschio sotto accusa, Antonio Di Pietro, si prende una piccola rivincita e si presenta alla stampa con una piccola ma agguerrita pattuglia di candidate per Bruxelles. “Sette professioniste- spiega lo stesso Di Pietro- ognuna pienamente realizzata nel suo campo e in famiglia […].”. Apprendo la notizia e non sto nei panni dalla contentezza. Allora il mio doppio sciopero della fame ha portato un risultato tangibile! Le “magnifiche sette” dei miei reiterati appelli saranno elette al Parlamento di Strasburgo! Che importa se non ci son io. Le donne Idv riconosceranno che il coraggio e l’ottimismo non devono mai mancare e credo che per me nutriranno un po’ di gratitudine perché dopo anni un risultato a casa l’avremo portato. Che bello! Avrò sette amiche a Bruxelles con le quali proseguire i nostri programmi di riforma a tutela dei diritti umani. Passo a leggere la posta e Outlook mi scarica una marea di mail. Tante degli amici di facebook, ma tantissime dalle donne e gli uomini di Idv che si lagnano per le scelte elettorali. Che succede? “Dalle Alpi alle Piramidi – mi scrivono – c’è uno scoramento generale. I più dicono che Montanelli aveva ragione, qui non si considera il valore di chi fa crescere il partito, e le donne, da nord a sud e anche alcune dei dipartimenti esteri sono furiose”. Continuo a leggere le agenzie per meglio capire e vedo che i nomi presentati in conferenza stampa da ADP sono di persone cooptate. Qualcuna delle donne elencate le conosco, mi hanno pure sostenuta durante lo sciopero della fame. Che dire? Nulla contro di loro; che riescano nel loro proposito. Ma mi chiedo perché Di Pietro usa suggestivamente i mio titolo “sette magnifiche donne Idv” per candidarne altre che con le sette originarie non hanno nulla a che fare? Mi copiano anche le frasi. Dopo avermi tolto tutto: i diritti di cittadinanza politica, le risorse, i sogni, si appropriano delle mie parole. L’espressione “una piccola ma agguerrita pattuglia di donne” è anche questa copiata e l’avevamo lanciata in un comunicato che elogiava il gruppo femminile posto in prima fila a sostenermi nella lotta antidiscriminazione. Ma porca miseria. Io ho un po’ di talento nel coniugare le frasi e mettere insieme le parole. Anche di queste mi si spoglia? Questo modo di fare la copia di frasi e iniziative da me realizzate si reitera nel tempo: La “Consulta delle donne”, dopo anni di onorato servizio, viene di punto in bianco soppiantata con una consulta “B”, messa in piedi in fretta e in furia, tanto in fretta che le mogli dei parlamentari o dei coordinatori politici regionali destinate ad essere elette non ebbero nemmeno modo di fare le cose per bene. Quando le pratiche sono svolte d’urgenza capita di incorrere qualche errore. La fretta dipende dal fatto che in tali casi sono in gioco alcune condizione favorevoli, come ad esempio la quantità di tessere di chi le possiede già in gran numero, l’uso degli spazi per fare riunioni che non sono prerogativa femminile, il costo economico dell’elezione in cui le donne non hanno autonomia gestionale (ricordiamo il famoso art. 3 – legge 157/99 per la promozione attiva delle donne alla politica che è puntualmente disatteso, il che lascia le donne nella povertà più assoluta) . Insomma è come mettersi in gara a piedi contro chi, poiché sponsorizzato, ha l’automobile da corsa piena di carburante. Dicevo che la Consulta “B” , o “Ombra” fu eletta così in fretta che la moglie di un Coordinatore regionale non ebbe nemmeno il tempo di farsi un account per avere una casella di posta elettronica propria. Era arrivata all’ultimo minuto nel partito, e per scrivere a lei (candidata al ruolo politico di rappresentanza femminile) bisognava rivolgersi alla casella di posta del marito. Molto buffo no? Una donna che vuol rappresentare le Pari Opportunità che comunica solo attraverso suo marito. Cosa avrà detto lui alla moglie?: “Sbrigati che i digiuni della Montanelli qualcosa di buono hanno portato. Mo’ vuoi vedere che ti faccio eleggere rappresentante delle lotte femminili? Così il Presidente è contento perché non se ne può più con queste donne che pretendono di pensare con la capoccia loro! Che… per caso sai se tua cugina, a tempo perso, dopo che ha sbrigato le sue faccende, si vuol dedicare a fare la rappresentante donne? Sai, ci servono anche le esponenti provinciali e comunali….meglio andare sul sicuro e fare tutto in famiglia. Così nacque la consulta “propaggine”. Espressione del talento maschile a imbrogliare le carte in tavola. Ma dov’è adesso? Dico, la consulta B, dov’è? Si troverà nelle liste elettorali per l’Europa e per le Amministrative? E le bravissime politiche della Consulta “A” dove stanno? Saranno messe capolista nelle liste? Quelle che son rimaste, intendo. Poiché molte sono oggi con me. Ma quelle che hanno voluto restare e investire ancora sul loro diritto vivere un percorso politico all’interno di Idv saranno messe in condizioni di essere elette? Sarà data loro la posizione di capofila e tutti gli spazi della comunicazione elettorale? Si tratta di essere presenti nei dibattiti televisivi, nelle conferenze stampa, negli eventi organizzati, nei manifesti in tutte le città del loro luogo elettivo. Tutto questo loro non possono organizzarlo da se stesse perché i famosi fondi “per le pari opportunità” non sembrano ancora accessibili, ma il partito farà in modo che si spenda comunque denaro, lavoro, promozione, risorse umane, indicazione di voto agli iscritti. Sarà fatto tutto questo? Non voglio lasciarmi sopraffare dal pessimismo. Spero ancora che tra queste (magnifiche) sette ci siano le bravissime e talentuose esponenti originarie. Anche loro sono della società civile e oltre che buttare sudore e fatica nel partito inseguendo un’idea di società migliore, vi assicuro che appartengono alla società civile. Anzi civilissima: specializzate professioniste in medicina, psicoterapeute, volontarie dell’associazionismo, docenti universitarie, avvocate, ecc. Il lavoro politico lo fanno da molti anni gratis. Anzi no, pagando di tasca propria. Anche le altre, arruolate con l’annuncio che cercava aspiranti candidate tra le “esponenti della società civile”, avrebbero diritto a una vera chance. Si facciano mettere le une e le altre a capo delle liste sia europee che amministrative. Allora andremo bene. ADP Ascolti Dario Franceschini, il segretario PD, o gli altri segretari politici che non trovano corretto far finta di voler andare a fare il parlamentare europeo sapendo a priori che non ci si resterà nemmeno un minuto. Metta le donne capolista e uscirà dall’imbarazzo di dover rispondere sulle difformità da certi principi così ad alta voce enunciati. Perché in capo alla lista? Me lo hanno domandato i giornalisti con i quali ho parlato della faccenda. Perché – mi hanno chiesto – insiste sul doversi trovare, le donne, a capo della lista se questa volta le liste non sono bloccate e l’elettore può scrivere il nome del candidato preferito? Bisogna che io spieghi che non tutti possono avere una fama che suona pronunciando il nome di Levi Montalcini. Se una persona (uomo o donna) ha una fama pari a quella di Levi Montalcini può anche accettare di trovarsi in mezzo o in fondo alla lista e venire ugualmente eletto/a. Salvo la perplessità da parte dell’elettore nel trovare un personaggio di tale portata in un punto qualsiasi della lista, si potrà interpretare la cosa con una nota snobistica del candidato illustre e scrivere ugualmente il nome Montalcini sulla scheda elettorale. Ma chi non è Levi Montalcini, mettiamo si chiami Bianca Bianchi dovrà contare sulle persone che la stimano per le cose che ha fatto nella vita. Tale gruppo di persone, poniamo che sia numerosissimo, dovrà intanto accogliere il programma della candidata e quindi votarlo scegliendo lei. Per votarla e non avere la sensazione di buttar via un voto dovrà credere nella reale opportunità della persona pur stimatissima che si propone. A tale convincimento si arriva attraverso alcuni indizi. Primo indizio: posizione nella lista. Prima di lista equivale a dimostrata fiducia nelle sue capacità da parte del partito che la presenta. Secondo indizio: promozione pubblicitaria della candidata e spazi televisivi a disposizione (che sono in genere concessi ai capolista). Terzo indizio: (che, sapete, insieme agli altri due fa, per Poirot, una prova) il partito sostiene la candidata e lo annuncia ai cittadini. Che vuol dire ciò? Che tutti gli altri candidati non hanno nessuna opportunità di farcela? Non è così. Vediamo perché: – Levi Montalcini è ok. Abbiamo detto che la voterebbero comunque. – L’esponente di partito, con accordi interni può essere eletto/a perché il partito fa per lui/lei accordi tali che può dar come certa la sua elezione. – I ruoli istituzionali già in campo da molto tempo: Parlamentari, Governatori, Consiglieri regionali, provinciali, Sindaci, Assessori; hanno un seguito di consensi se hanno ben lavorato che gli garantisce il voto del tessuto sociale ed elettorale in cui operano. – I capi di grosse aziende con migliaia di dipendenti e con legami nell’indotto, se sono persone stimabili e positive possono contare su un numero di voti tra coloro che sono nella loro orbita. Restano le/gli esponenti della società civile: associazioni, consorzi, organizzazioni sindacali, ecc. Per queste ultime categorie la riuscita elettorale parte dai tre indizi che fanno una prova, ed in mancanza di quelli l’elezione dipende dall’avere disponibilità economica, logistica, di risorse umane, di uffici stampa per programmare la propria candidatura con un’alta percentuale nelle previsioni di riuscita. Il che significa, riassumendo, o che l’esponente della società civile è promosso dal partito, o che sta per tutto il mese precedente le elezioni in ogni spazio di tv, stampa, internet, e blog in rete; oppure la nostra Bianca Bianchi dovrà avere molti mesi di preavviso per poter organizzare a suo modo e con le sue risorse la sua elezione. Quindi mettere in moto un meccanismo per il quale si attiverà ad avvisare tutti coloro che sono nella sua orbita per dir loro che sarà certamente candidata con il partito tal dei tali, che non importa se proprio non è quello che i suoi estimatori preferiscono, poiché trattasi di candidatura indipendente attraverso la quale si porteranno avanti le istanze a cui loro tengono. Con un lavoro capillare Bianca Bianchi può farcela, contattando e facendo contattare più di una volta i suoi estimatori, nella rete di associazioni e gruppi che la conoscono. Lavoro lento, difficile, anche estenuante, ma necessario. Al di fuori di questo, le candidature che portino un voto o mille sono regali dati gratuitamente al partito che ospita le persone che ci mettono la faccia, la storia, e le risorse economiche praticamente senza chance, e per avere nulla in cambio. Oggi mi chiedo chi darà e cosa all’altro. ADP avrà finalmente capito e metterà le donne capolista? Le presenterà in tutte le trasmissioni tv al suo posto? Allora -che bello- le candidate riceveranno una vera opportunità di riuscita. Non sarà così? Mi dispiace prevederlo, ma, nel malaugurato caso, saranno le candidate e i candidati a fornire un regalo ad ADP che farà di loro un uso momentaneo, salvo dimenticarsene quando non gli serviranno più. L’esempio del passato fa da monito: Elezioni 2005: venticinque eletti, tra cui molti cooptati, e tra questi due donne. Elezioni 2008: 43 eletti, quasi tutti uomini tra cui molti cooptati, e tra questi quattro donne. Vogliamo fare il calcole delle percentuali? Ma lasciamo perdere. Tutte le altre: portatrici d’acqua, purtroppo. A cui nessuno dirà grazie. Anzi. “Ma allora – mi ha chiesto la giornalista di un quotidiano – se così fosse quel comunicato sulle candidature femminili avrebbe il valore di una foglia di fico?”. “Praticamente sì – ho risposto – ma è lei a dirlo. Io non son sicura di poterlo dire. O forse potrei dirlo se lo riscontrassi ad elezioni avvenute. Insomma, ci devo andare cauta. C’è sempre una causa in Tribunale aperta e le mie esternazioni devono essere un po’ mediate. Eppoi calma. La speranza è l’ultima a morire. Che ADP si ravveda davvero? Lo spero, per le magnifiche sette, per me che ne sarei felice, e per le altre candidate che si affacciano per la prima volta in questo oscuro mondo della politica. Noi donne tentiamo di fare chiarezza. Anche la causa civile ha questo scopo. Mi scrivono sul blog “Speriamo in un giudice a Berlino”. Io so che ci sono tanti giudici in Italia che sono lì per fare il loro dovere ed applicare l’articolo 3 della Costituzione scritto in sintesi in un cartello affisso in ogni Tribunale “La legge è uguale per tutti”. Sono convinta dello spirito di giustizia che anima tanti magistrati, altrimenti non avrei iniziato da donna senza protettori né potere politico una causa civile contro Antonio di Pietro nella sua qualità di presidente di un partito e ministro delle infrastrutture. Causa ancora in atto, ricordiamolo, pendente presso il Tribunale di Milano. Niente di personale contro di lui. NDP. Ditemi però che cosa viviamo a fare se non possiamo contare né sperare in un mondo più equilibrato e giusto. Roma, 20 aprile 2009. Wanda Montanelli http://www.grnet.it/index.php?option=com_content&task=view&id=790&Itemid=9

PERSA SENZA APPELLO LA PARTITA DEL LIBERISMO SPINTO COSTRUIAMO L’ALTRO MONDO POSSIBILE

E’tempo della contaminazione tra la farina del pane e i byte delle transazioni finanziarie (E VOI BALLATE 3) Pil in picchiata nel 2009 al – 4,3%. Inflazione all’1,2. E il tasso di disoccupazione al 9,2% e al 10,7%. Le stime diffuse nell’Economic Outlook dall’Ocse registrano l’accelerazione del declino. Per la crisi economica italiana e mondiale si invoca a gran voce il ritorno della politica. Si chiede più politica e meno mercato contro l’avidità del libero scambio distruttore del bene comune che ha favorito i ricchi ed i potenti lasciando il resto degli uomini in forti disagi quando non in vera e propria povertà. Il liberismo spinto è fallito perché non ha colmato la rinuncia ideologica dei movimenti operai, così come non si riempiono i frigoriferi con le chiacchiere. Il movimento dei lavoratori rappresenta il grande assente all’appuntamento con la smisurata situazione di crisi globale. Le lobbies finanziarie e politiche che hanno preteso la fine delle ideologie non sono riuscite a dimostrare che l’unica ideologia rimasta, quella del liberismo spregiudicato fosse vincente. Hanno perso anche loro, così come scadono le merci nei magazzini. Sentire che occorre scegliere, con gli stanziamenti del governo, tra promuovere la produzione o dare subito un sostegno ai privi di reddito pare un’alternativa assurda, quando tutti sanno che se si promuove la produzione e non c’è chi acquista le merci che si produce a fare? Inventiamo allora i negozi “a credito”, con il quadernino dalla copertina nera dove i droghieri un tempo usavano scrivere l’importo della spesa di chi non pagava al momento. Soldi veri e subito, ha chiesto Emma Marcegaglia. Finalmente si comincia a capire che se la gente non ha soldi in tasca poi chiudono le fabbriche e le saracinesche dei negozi. Si ritornerà alla concertazione con tutte le rappresentanze dei lavoratori? Auguriamoci che si riesca a capire che dare dei soldi a chi proprio non ce l’ha, nonostante si sforzi di essere ottimista, può essere la soluzione di inizio. L’impulso di partenza al virtuoso giro di acquisti di beni e servizi che entrano in circolo consumo-produzione, quindi lavoro, quindi aumento del Pil. Troppo semplice? Demagogico?. Le semplificazioni non piacciono anche quando costano meno e fruttano di più. Meglio dar fiducia, secondo teorie di comodo che strizzano l’occhio ai dissestatori, a certe banche che hanno scientemente contribuito al disastro nell’attuale economia, o a spregiudicati uomini d’affari, imprenditori e finanzieri che hanno intrappolato i consumatori in una fitta ragnatela di chimere economiche e politiche con la gestione di un’economia a delinquere. L’illusione neo-liberista analizzata a fondo da René Passet, professore emerito all’Università di Paris-I-Panthéon-Sorbonne, presidente del consiglio scientifico del movimento “Attac” (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie per l’aiuto ai cittadini), identifica un nuovo tipo di economia che modifica i nostri rapporti con il tempo, lo spazio, la società. I nostri responsabili politici – scrive Passet – persistono nel credere all’irreversibilità e all’universalità di un sistema che pretende di essere liberale. Tutti, siano di destra o di sinistra, applicano le stesse ricette: deregolamentazione, sottomissione alle leggi del mercato, produttivismo sfrenato. […] Il sistema produce effetti terribili, che rischiano di divenire irreparabili (avvicinati nel tempo e nello spazio, gli uomini sono sempre più allontanati tra loro da disuguaglianze crescenti) e generare precarietà, povertà ed esclusione sociale. La natura è in degrado, la catastrofi naturali si moltiplicano, tutto, anche la vita, viene mercificato.[…] La svolta con cui abbiamo adesso a che fare si annuncia ancora più decisiva: col computer, con l’informatica, l’umanità esce dalla fase del suo sviluppo fondata sull’energia ed entra in un’altra, dominata dalle forze dell’immateriale. Non ci meravigliamo, dunque, se la nave beccheggia e se dobbiamo aggrapparci all’albero maestro [..] è urgente invertire l’indirizzo liberista, mettendo l’uomo e il vivente al centro di ogni attività economica per costruire una società diversa. […] Non si tratta più di ripristinare gli equilibri del passato utilizzando meccanismi già sperimentati, ma di definire nuovi adeguamenti a nuovi strumenti. Trattandosi d’impiego, ad esempio, è il problema della sostituzione dell’uomo da parte della macchina a dover essere affrontato, insieme a quelli del tempo di lavoro, delle sue forme, del suo ruolo sociale. Si richiedono politiche che vadano ben al di là dell’aggiustamento congiunturale: sono politiche a lungo termine, riguardanti le strutture, i modi di funzionamento e le regole della vita economica. Altrettante nuove terre da esplorare. Gli attentati agli equilibri sociali marciano in parallelo con gli attentati globali all’ambiente. Sono minacciati i meccanismi regolatori del pianeta: il buco nell’ozono stratosferico compromette il filtraggio dei raggi ultravioletti, grazie al quale la vita ha potuto espandersi e diversificarsi; l’effetto serra minaccia la regolazione termica della Terra. Il passaggio alla dimensione globale impedisce che si possa continuare a parlare di disfunzioni.[…] Si scontrano due logiche: quella dello sviluppo economico e quella delle regolazioni naturali, la prima delle quali minaccia di distruggere la seconda e per ciò di liquidare ogni sostegno della vita umana. […] Si afferma allora il tema dell’emergere di un’economia dell’immateriale. […] Si dicono liberisti, poiché hanno bisogno di una bandiera e di una ragione sociale, ma è un altro imbroglio. Che liberismo è questo, dove un centinaio di nuovi “padroni del mondo”, grandi signori delle transnazionali, dominano il pianeta? Che criterio è questo, secondo cui gli Stati devono consegnare alle imprese le chiavi del settore pubblico e della protezione sociale, ma con beneficio d’inventario – in nome, ovviamente, dei rischi della concorrenza – sotto pena di citazione in tribunale? Non è certo il liberismo dei padri fondatori: nel 1776 Adam Smith denunciava inequivocabilmente lo sfruttamento del debole da parte del forte; e non parliamo di Marx. No, non permetteremo si dica che questo mondo, in cui la logica finanziaria detta legge su tutto, corrompe tutto e distrugge il senso delle cose, è un mondo necessario. Un altro mondo è possibile: sta nascendo sotto i nostri occhi, è alla portata delle nostre mani, dipende da noi far si che ne fioriscano le promesse”. Perché sia possibile cercare un altro mondo occorrono nuove intelligenze in politica, nel sociale e nelle istituzioni. Nel mondo del commercio e dell’imprenditoria è lenta la maturazione per accettare la inevitabilità di concertazioni. Da soli non si arriva lontano, soprattutto la frase “soldi veri e subito” la coniugherei con l’impatto del virtuale ormai entrato nelle nostre vite e con cui dobbiamo fare i conti. Si spostano denari e merci in pochi istanti con un collegamento internet e se pure gli stessi finanzieri poi hanno bisogno per vivere di “tangibilità”, cioè cibo, oggetti, abbigliamento, case, hotel, non si può continuare a credere che il mondo parallelo delle transazioni sia a loro esclusivo vantaggio, dimenticando che tutto quanto permette la nostra sopravvivenza è dovuto al fatto che un contadino butta i semi sulla terra arata, e un fornaio passa metà della notte a fare il pane. Cosa esiste di più concreto del pane? Eppure è necessaria la contaminazione tra la farina del pane e i byte delle transazioni finanziarie. A meno che non credano i banchieri e i manager finanziari di poter infornare da se stessi ogni notte le pagnotte, ogni mattina innaffiare l’insalata da taglio e ogni pomeriggio imbastirsi i vestiti, devono contribuire a dare, in proporzione ai loro guadagni la quota parte che permette al resto del mondo di esistere, vivere, gioire, produrre. Guarire dalle malattie e dalla fame, trovare una luce in fondo al tunnel della disperazione. La contaminazione riproposta da René Passet e dall’Attac, già ideata da James Tobin nel 1972 e denominata Tobin Tax; ripresa poi nel 1997 da Ignacio Ramonet redattore di Le Monde diplomatique (in “Disarmare i mercati”) dopo vent’anni, ritornando a proporre un’aliquota tra 0,05 e l’1% in tutte le transazioni dei mercati valutari per stabilizzarli e procurare delle entrate per la comunità internazionale, che ammonterebbero secondo i calcoli a circa 166 miliardi di dollari, il doppio della somma annuale utile a sradicare la povertà nel mondo. L’Attac è divenuta una finalità del movimento antiglobalizzazione, che Ramonet disconosce (“hanno preso in ostaggio il mio nome – dichiara – io non ho assolutamente niente in comune con questi ribelli antiglobalizzazione. Naturalmente sono compiaciuto […] Sono un economista, e come molti economisti, io sostengo il libero scambio”) pur confermando a distanza di anni la bontà della Tobin Tax che è argomento molto discusso non solo nelle istituzioni accademiche, ma anche tra la gente comune e nei parlamenti di Regno Unito e Francia e di tutto il mondo. In Canada è stata ampiamente rianimata grazie agli sforzi degli attivisti canadesi negli anni 1990, e nel marzo 1999 la Camera dei Comuni canadese passò una risoluzione diretta al governo per “promulgare una tassa sulle transazioni finanziarie in concerto con la comunità internazionale.” Nel Sud America la Tobin è stata appoggiata dal presidente venezuelano Hugo Chàvez, che ha recentemente annunciato lo studio di un’implementazione della tassa, e dal brasiliano Luiz Ignacio Lula da Silva, tra i pochi, a quanto sembra, ad avere le idee chiare in questo momento: “La crisi è colpa di gente bianca con gli occhi azzurri”. Un sostegno inatteso alla Tobin tax è arrivato dallo speculatore multimilionario George Soros, il quale ha dichiarato che, mentre la tassa va contro i suoi interessi personali, crede che la sua introduzione avrà effetti positivi sull’economia mondiale. La “rivoluzione keynesiana” dell’economista britannico, padre della moderna macroeconomia, John Maynard Keynes, primo Barone Keynes di Tilton scomparso nell”83, ha sostenuto la necessità dell’intervento pubblico nell’economia con misure di politica fiscale e monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregatata non riesca a garantire la piena occupazione. L’idea non è di oggi, anche se adesso si è nell’urgenza di passare dalla teoria alla pratica. Agire con interventi immediati per dare l’input alla vita di tutti i giorni con gli acquisti di alimenti, prodotti e servizi, e contemporaneamente pensare a qualcosa di strutturato per comprare il futuro. Progettare, investire, impegnarsi. Uscire dal guado della precarietà. Immaginare che la mobilità debba essere una scelta per migliorare la propria condizione lavorativa. Per programmare un futuro in acquisto, fatto anche di impegni a lungo termine per pagare l’affitto di casa, o il mutuo; permettersi dei figli, e dare vita a un mercato straordinario fatto di mobili, elettrodomestici, tendaggi, stoviglierie, e se la famiglia cresce pannolini, biberon, baby creme, latte, scarpine, e scuola e quaderni e libri, e vestiti, e vacanze per tutti. Invece è tutto fermo. Qualcuno si muove lì sulla nave in avaria. Sono coloro che hanno scelto di ballare potendo invece fare scelte diverse per “mitigare – come suggeriva J.M. Keynes – il predominio della speculazione sull’intraprendenza. Non certo l’assonante Robin Tax, del ministro Tremonti, che evoca la mai applicata Tobin Tax presentata come tassa sui petrolieri e di fatto consistente in una tassa sull’Eni pagata al 30% dallo Stato, cioè noi stessi. Il gioco delle assonanze e le comunicazioni suggestive prosegue ora con la i Tremonti bond con previsione di centri di controllo collegati alle Prefetture che dovranno verificare che i finanziamenti (obbligazioni speciali) finiscano davvero nell’economia. La dissennatezza di alcuni istituti di credito sarà pagata dallo Stato. Per anni le autorità di vigilanza hanno tollerato che le banche facessero bilanci irrealistici collocando come attive obbligazioni di dubbia qualità e partecipazione in società fatte apposta per nascondere la realtà, titoli tossici, ecc. Intanto Nicolas Sarkozy alla vigilia del G20 di Londra chiede risultati storici, perché la crisi è troppo grave. Il presidente americano Obama, vedette del vertice anche per celebrazioni di venerdì a Strasburgo per il sessantesimo anniversario della Nato, oggi incontrerà il presidente russo Dmitri Medvedev e quello cinese Hu Jin¬ta. Barack è in pieno accordo con la cancelliera tedesca Angela Merkel e chiede misure di forte impatto nell’opinione pubblica e so¬prattutto la certezza di tempi e scadenze. La preoccupazione giustamente incombe sui capi di stato. I segnali di possibili degenerazione della protesta sono già registrati. Quattro dirigenti della Caterpillar di Grenoble, in Francia, sequestrati dagli operai che contestano un piano di licenziamenti di 733 persone, e stessa sorte è toccata all’imprenditore Pinault, proprietario, tra innumerevoli altre cose, della Gucci. In Inghilterra il distretto finanziario di Londra si é blindato per il timore delle manifestazioni di gruppi violenti previste in occasione del vertice G20. Ai bancari della city è stato suggerito di andare a lavorare senza il completo scuro di ordinanza, e i diversi istituti di credito hanno rivisto i loro sistemi di sicurezza. Episodi oramai non più isolati, che si aggiungono alle contestazioni ai manager dell’Aig, come della Royal Bank of Scotland, o a quelli della Sony francese e della 3M Santè che sono stati presi addirittura in ostaggio dai propri dipendenti. Appena meglio è andata al direttore della Continental, Louis Forzy, fischiato e bersagliato da lanci d’uova marce. In Italia abbiamo la dichiarazione del premier Berlusconi che la crisi è grave e che bisogna davvero “produrre” sorrisi e ottimismo non semplicemente limitarsi a suggerirlo. Che sia arrivato il momento di interrompere il ballo e fermarsi a fare le scelte giuste per evitare l’iceberg? Roma 1 aprile 2009 Wanda Montanelli

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