LA GIUSTIZIA GIUSTA CHE SERVE A DAVIDE

. A gran voce si chiede una giustizia tempestiva e il primo requisito di giustizia giusta è proprio la celerità dell’esito finale perché se la sentenza arriva quando i contendenti sono passati a miglior vita o sono troppo anziani e rincitrulliti per capire che il giudice gli ha dato ragione non ha più senso. La macchina farraginosa che porta avanti lentamente le istanze dei cittadini derubati di un diritto deve modernizzarsi e su questo si può essere tutti d’accordo. Serve perciò “uno scatto d’efficienza” e servono “scelte coraggiose” ha detto di recente il nostro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Pier Camillo D’Avigo, Consigliere della Corte di Cassazione i cui interventi sui mali della giustizia sono di una concisione e un’arguzia pregevoli, dichiara che in tema di giustizia il reato più odioso è quello che offende i più deboli. Alla domanda: “Allora sei di sinistra?” risponde: “L’etica del cavaliere medioevale di soccorrere i deboli e gli orfani, era di sinistra?”. La confusione che si crea nell’etichettare soggetti pubblici che svolgono la loro funzione con bravura e correttezza in “azioni di destra” o “di sinistra” non porta giovamento a Davide. Davide è l’uomo onesto che si affida, quando non riesce a trovare affermati i propri diritti, ad una magistratura che non intende colorare di rosso, di bianco o di nero. Un’istituzione super partes proprio in virtù dell’art.3 della Costituzione. E allora siccome Davide non ha altri mezzi per trovare conforto e ristoro se non l’affidarsi ad un soggetto “terzo”, superiore a se stesso e al proprio antagonista riguardo alla questione che ostacola il suo pieno diritto di cittadinanza, risulta di fondamentale importanza mantenere la sua fiducia nella magistratura. L’eccessiva lunghezza delle cause fa perdere tasselli importanti nello spazio vitale di ognuno. Il che si può riferire a procedimenti civili, ma ancor più a reati penali che incidono in maniera devastante nell’esistenza umana. Quindi non c’è maggior danno in tema di giustizia che il perdersi in diatribe politiche, o in inseguimenti su norme che riguardano pochi. Specie se questi pochi hanno nulla a che fare con Davide, ma piuttosto sono dei “super Golia” con un multistrato di protezione dato dal proprio status, che spesso è economico, sociale, politico, istituzionale, e di “potere” manifesto o occulto in quantità enormi di intrecci pubblici. “Leggi ad personam” è la locuzione più inflazionata di questi tempi. Se vogliamo dirla semplicemente si tratta di leggi personalizzate a proprio uso e consumo. Come se tutto l’imponente apparato dei due Parlamenti, le 945 cariche istituzionali di Camera e Senato, le Commissioni, il Sistema civile li abbia architettati e Iddio li tenga in vita per una o poche persone. “Tutti travagghiarono e ficero a iggio” dice un vecchio motto siciliano per schernire la pretesa di mobilitare l’intesse generale a favore di un solo soggetto. Il che è evidentemente al fuori a ogni buon senso, talmente avulso dalla saggezza da apparire poco intelligente. Ma c’è invece un’intelligenza scellerata, o un bisogno estremo di autotutela che muove e concentra certe azioni. Certo il permetterle non si addebita solo a chi le compie, semmai anche a chi certi codici di sistema ha inventato. Poiché abusare del privilegio non è novità di moderna realizzazione, ma esisteva, come esistevano gli spazi “vuoti”, talvolta predisposti, in cui s’è annidata la sfrontata crescita del beneficio personale. Alla faccia di Davide che sta in fila ad attender il suo turno, e non vede l’ora di essere chiamato dal suo giudice per dire, magari con un piccolo inchino e il cappello in mano: “Chiedo giustizia”. Ma la patologia del caso italiano da che dipende? I giudici sono fannulloni? Risponde sul tema D’Avigo per dire “Abbiamo la più alta produttività d’Europa, probabilmente del mondo. La giustizia è lenta per molte ragioni, ma la più importante di tutti è che ci sono troppi processi”. E ancora: “L’Italia spende per la giustizia quello che spende la Gran Bretagna, dove fanno 300 mila processi penali l’anno. Noi ne facciamo tre milioni. Abbiamo ogni anno più cause civili nuove di Francia, Spagna, Gran Bretagna messe insieme”. Spesso reati piccoli portano le cause fino alla Cassazione, come il mancato pagamento di un biglietto del tram o la banale lite tra condomini per chi debba pagare le spese d’elettricità dell’ascensore. Uno dei motivi che induce al ricorrere in Appello in materia penale è la inesistenza del rischio di vedersi aumentata la pena. Si dilungano le cause all’infinito anche per la volontà dell’avvocato di non arrivare a conclusione. Ad alcuni soggetti conviene perdere tempo per una serie di motivi, tra cui la prescrizione, e il legale può trovare decine di escamotage per far rimandare l’udienza. Per esempio l’assenza del legale di parte in udienza è pretesto di rinvio, mentre sarebbe facile stabilire che chi non si presenta deve mandare un sostituto in grado di seguire la causa perché comunque il procedimento non può avere rinvii per motivi artificiosi. Insomma occorre raziocinio e volontà. Leggi adeguate, che non sono fatte dai magistrati, ma talvolta “malfatte” dai legislatori. Servono leggi di facile lettura e interpretazione. Servono mezzi, ma soprattutto l’impegno verso la semplificazione e l’uso del digitale; la notifica e la firma elettronica; la mediazione obbligatoria e veloce delle controversie minimali; nuovi modelli organizzativi del lavoro; misure alternative alla detenzione di chi con comportamenti asociali non può che giovarsi del suo impegno rieducativo nei confronti dei bisogni altrui. Le carceri scoppiano. I radicali che con Rita Bernardini seguono la questione con puntualità e visite ripetute negli istituti di pena fanno sapere che dal 1o gennaio 2000 ad oggi nelle carceri italiane sono morti 1.688 detenuti, di cui 586 per suicidio. Ma anche su questo grave problema sembra che si sia fatto poco o nulla. Alcune nuove carceri sono state edificate ma non sono mai state aperte. Quanto alle semplificazione delle procedure alcune regioni italiane in accordo con il Cnipa (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) e il Ministero della Giustizia, hanno attivato un protocollo d’intesa per l’erogazione di servizi on line a uffici giudiziari, come la cancelleria telematica, la rete dei giudici di pace, la gestione trasparente dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. Per ridurre il carico burocratico, risparmiare tempo e denaro, semplificare le procedure e dare giustizia. Una giustizia che funziona per tutti alla stessa maniera, come l’art. 3 prevede: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali dinnanzi alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali“. Il Presidente Napolitano, convinto del contenuto di democrazia di tale articolo, esprimendo le sue perplessità sul “lodo Alfano” che lo coinvolge nell’edificare uno scudo per le alte cariche dello Stato, rinvia in alcune dichiarazioni al contrasto che si creerebbe tra il lodo e l’art.90 che già prevede da sessant’anni: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”. Il che per lui può bastare, ma anche per tutti gli italiani che confidano nella democrazia. “…nell’esercizio delle sue funzioni”, è lì la differenza. Roma 24 ottobre 2010 Wanda Montanelli

SOLO CHIACCHIERE E DISTINTIVO

La gente si aspetta risultati veri per penare di meno. Cose concrete della vita di tutti i giorni che sembrano a portata di mano ma sfuggono via portate dal vento insieme alle chiacchiere che la nostra classe politica ci amministra. Tanto bravi tutti a parlare e litigare quanto incapaci di portare a casa quello che la popolazione disagiata desidera. Cosa? Lavoro, stipendio, casa, scuola, mezzo di trasporto, spesa alimentare, abito, salute, ecc. Se l’utopia un tempo era una carriera di prima ballerina alla Scala, oggi è utopico un posto di lavoro, una casa, un reddito per vivere. Non si chiede assistenza, ma un vero diritto ad una seria attività come prevede la nostra carta costituzionale. Si chiama lavoro. L’impegno cioè a svolgere un’attività fisica o intellettuale in cambio di uno stipendio dignitoso. Questo e non altro. Sto parlando dei nostri concittadini della fascia “non privilegiata” che l’assistenza sono consapevoli di doverla lasciare a chi ne ha diritto per elezione in quanto appartenente a una rango superiore. L’assistenza in questi ultimi tempi è concessa a chi le “cose tangibili” le ottiene per il proprio status di capitalista a prescindere dai frutti del capitale. E’ una sorta di socialismo per i ricchi e capitalismo per i poveri, è un impianto complessivo delle scelte che premia sempre e comunque chi il mantello per l’inverno ce l’ha già. E’ una scellerata politica economica che favorisce la concentrazione del capitale verso pochi soggetti sociali e il dissanguamento incessante verso tutti gli altri. L’accusa è al sistema di capitalismo clientelare che da troppo tempo ormai socializza le perdite e privatizza i profitti. Di esempi ne abbiamo negli Stati Uniti, come in Europa, con salvataggi compiuti nel corso degli anni come il commissariamento dei colossi del credito ipotecario Fannie Mae e Freddie Mac, o della Bear Ste-arns. Da noi è l’Alitalia il caso tra i più eclatanti di socializzazione delle perdite. Ma numerosi sono gli esempi di azzardo morale, moral hazard cioè il sistema mentis che permette ad un soggetto di correre rischi avventati perché si considera esonerato dalle conseguenze del rischio stesso. E’ un ombrello grande quanto un pianeta rispetto alla cifra necessaria a non far morire di fame la famiglia di un cassintegrato. “Questi soggetti fanno i soldi sui disastri che loro stessi hanno creato” afferma Joseph Stiglitz, premio Nobel e docente di Economia alla Columbia University. E la domanda che i comuni mortali hanno in mente è: se una banca o una società prossima al fallimento diventa redditizia grazie ad una gestione pubblica perché restituirla agli incapaci che l’hanno fatta fallire? Il rigore logico non dovrebbe portare a socializzare i profitti dal momento che quei profitti derivano dalle tasche dei cittadini? Non di ipotesi ideologica si tratta, ma di considerazione pragmatica. Chi il capitale sa farlo fruttare liberamente senza chiedere nulla al pubblico merita di intascare i profitti, altrimenti i profitti devono essere restituiti al pubblico. Viviamo in una società privata del futuro, in cui banche e holding finanziarie accumulano guadagni, mentre i comuni mortali vivono giornate buie senza schiarite. Dal Rapporto sui diritto globali 2010 emerge che nel 2009 le famiglie italiane si sono indebitate di media per 21.270 euro per ogni cittadino. Per i lavoratori dipendenti il debito annuo è di 15.900 euro, di cui il 79,4% per la casa e il resto per consumi diversi. Pensare che un tempo gli italiani erano un popolo di risparmiatori e di lavoratori, ma adesso non sono più né l’uno né l’altro e non per loro colpa. Il popolo di risparmiatori si è disperso nel rincorrere le spese superiori alle attese di guadagno. E la “fortuna” di avere un lavoro, le rare volte che capita, non salva dall’impoverimento. Il fenomeno del “working poor”, citato nello stesso rapporto, fornisce i dati sulla soglia di povertà relativa di 13,6 milioni di lavoratori con meno di 1.300 euro netti al mese. Il reddito familiare perso tra il 2002 e il 2008 è di 1.599 euro tra gli operai e di1.681 euro tra gli impiegati. Ma non basta perché gli aumenti dei prezzi, della disoccupazione e il livellamento verso il basso dei salari hanno aggravato l’emergenza casa. Entro il 2011, si prevede che 150.000 famiglie italiane saranno sfrattate. A fronte di questi impoverimenti si apre la distanza tra ceti sociali fino al punto che c’è chi guadagna smodatamente e senza alcun imbarazzo nei confronti dei disperati alle prese con rate di mutuo in mora, il distacco della corrente o lo stop all’erogazione del metano, sicché gli sfiancati dalle difficoltà del vivere perdono anche l’ultima chance di attaccarsi alla canna del gas. I sacrifici (non dico a lacrime e sangue ma semplici economie dettate da un soprassalto di decenza) sono istituti che certa gente sa ben allontanare da sé, un po’ per egoismo, un po’ per questione di classe (assenza di). Per fare qualche esempio possiamo citare Carlo Puri Negri, ex vicepresidente esecutivo di Pirelli Re, che ha incassato 14 milioni di euro nonostante la società abbia chiuso l’anno con un passivo di 104 milioni. Claudio De Conto, ex direttore generale di Pirelli, con l’introito di 7,3 milioni. Tra chi non si fa mancare niente troviamo, con 5,6 milioni, Marco Tronchetti Provera presidente di Pirelli. Sergio Marchionne e Luca Cordero di Montezemolo entrambi remunerati dalla Fiat, rispettivamente con 4 milioni e 782 mila euro l’uno, cinque milioni e 177 mila euro l’altro. Gli elenchi riempirebbero pagine e pagine ma chiudiamola qui specificando che con il compenso di 100 top manager delle banche si potrebbero pagare i salari di 10.000 lavoratori. IL PRAGMATISMO DI CUI GLI ITALIANI HANNO BISOGNO Come se ne esce? Evitando gli scontri tra fazioni sembra avvicinarsi il tempo di condividere con le donne la gestione della cosa pubblica. Le donne che impegnate nelle istituzioni non si dilungano in polemiche di principio, ma affrontano in modo pragmatico le questioni per risolverle in tempi rapidi e in una prospettiva attenta ai bisogni delle persone. Da indagini su comportamento delle deputate in Europa risulta che l’approccio femminile alla politica è caratterizzato dall’attenzione all’individuo e ai suoi tempi e modi d’essere. Appare chiaro che le donne sono più democratiche, aperte ai cambiamenti e molto sensibili agli interessi degli elettori. Non conviene, a chi è abbarbicato ai posti di potere, fare l’esperimento clou. Provare cioè come le donne riescono a risolvere gli annosi problemi che loro, per interessi di bottega o inettitudine, lasciano marcire. Se i cittadini, una volte messe alla prova le donne nelle istituzioni apicali, dovessero trovarsi tanto bene da confermarle al potere decisionale, costoro avrebbero chiuso e andrebbero a casa intorbidati dalle chiacchiere di cui hanno ammorbato il clima. Tra le possibilità concrete di perseguire il bene comune un’idea da ben valutare potrebbe essere il modello di Big Society,  del 44enne Phillip Blond. La sua idea è criticata come un possibile progetto di taglio al Welfare State, ma se ben regolato il piano potrebbe creare nuove opportunità di lavoro appaltando ai cittadini i servizi. E’ chiaro che non di privatizzazione si tratterebbe, ma di concessione vincolata al rispetto dei diritti di chi vi è coinvolto. In Italia il sistema delle cooperative già funziona da molti anni. Una supervisione delle istituzioni e soprattutto accordi di conferimento del servizio che prevedano l’annullamento del contratto in caso di manifesta incapacità o mancato rispetto delle regole sui contratti di lavoro o altre irregolarità, sarebbe il necessario contrappeso prima di imbarcarsi in un sistema che potrebbe essere vincente o deleterio a seconda di come lo si imposta dall’inizio. Di buone idee ve ne sono. Basterebbe avere l’interesse a realizzarle, chiaramente interesse “pubblico” per migliorare la qualità della vita degli italiani. Un’idea rivoluzionaria: “Tassare chi specula” è la campagna condotta dall’Unità. Si tratta della Ftt, Financial Transaction Tax (la tassa sulle transazioni finanziarie), dell’importo minimale che va dallo 0,01 allo 0,05% che approvata sarebbe una risorsa per superare gli effetti della crisi che ancora incombe. Il premier Berlusconi la definisce ridicola, Nicolas Sarkozy l’ha promossa in sede Onu, le lobby finanziarie la osteggiano. Ma non sembra così ridicola se l’Austrian Institute for Economic Research fa sapere che la tassa applicata a livello globale potrebbe garantire un gettito fra i 500 e i 1000 miliardi di dollari l’anno, e applicata nei soli Paesi dell’Unione europea la Ftt frutterebbe circa 200 miliardi di euro. Il dibattito aperto negli Stati Uniti dagli economisti Paul Krugman e Joseph Stiglitz, è sostenuto dal presidente Barack Obama che però deve andarci cauto considerando i contraccolpi nelle elezioni di mid term. La minuscola tassa mette paura a chi gioca con la speculazione e giocando si diverte solo lui mentre tutto il resto va in malora. A Bruxelles i socialdemocratici tedeschi e austriaci pensano di raccogliere un milione di firme in base a quanto previsto dall’Art. 11 del Trattato di Lisbona per invitare la Commissione europea a presentare una proposta. L’obiettivo è chiaro: chiedere al prossimo G20, previsto per novembre a Seul, l’introduzione di Ftt. In Italia già dalla scorsa primavera è iniziata la “Campagna 005”. Sul relativo sito si può aderire e lasciare un commento. Roma 10 – 10 – 10 Wanda Montanelli

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