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L’EGOISMO NUCLEARE

Secondo Carlo Rubbia il nucleare in Italia non risolverebbe il problema dei costi energetici, e allora perché si intende farlo? Chi ci guadagna nonostante le funeste esperienze evidenti e documentate? Siamo in balìa di vecchi egocentrici che giocano con il mondo come fosse roba loro. Entrano nella vita di tutti, si appropriano di luoghi, menti, intelligenze, destini. Derubano il futuro di chi oggi è giovane, o ancora dovrà nascere. Questa sindrome di Dio che li fa stare nel passato, nel presente, nel futuro e in ogni luogo è indice di un irriducibile soggettivismo. Si aiutano con i mezzi di comunicazione di massa in funzione di moltiplicatori di consensi, per arginare le obiezioni, e persuadere reiterando slogan sulla bontà del loro operato. Sono vecchi carrancani che satolli di un benessere avaro e circoscritto a loro stessi, o tutt’al più alle famiglie e agli amici-sudditi, non guardano al di là del periodo temporale che interessa la propria esistenza. Quanti anni ancora gli restano da vivere? Venti, trenta, cento? Bene. Che tutto funzioni ancora finché esisteranno loro stessi. Dopodiché il diluvio. Finisca pure il mondo. Chi si scompone per gli altri che verranno? Costoro sono vecchi dentro. La loro mente è corta, il progetto di vita è teso a monopolizzare l’accaparrabile oggi. La loro felicità è nel dominare adesso subito con la percezione di ubiquità. Del futuro non sanno che farsene perché loro non ci saranno e non essendoci il mondo può finire. Non credono in Dio non in quanto atei o agnostici, ma perché son convinti di essere loro stessi produzione ed effusione di onnipotenza divina a cui tutto è permesso. Se così non fosse non si capirebbe perché si è ritornati a riproporre il nucleare. Sono trascorsi 23 anni dal referendum abrogativo delle norme sulla realizzazione delle centrali nucleari. Si intende ritornare alla produzione atomica contro anche gli stessi governatori regionali che la rifiutano nei territori che governano. Il principio che dovrebbe muovere qualsiasi costruzione che ha grande impatto sulla vita di persone e ambiente può essere solo basato sulla certezza di aver pronto il rimedio in caso di guasti. Invece si fabbrica senza prevedere possibilità di malfunzionamenti e quindi accertarsi di possedere l’antidoto alle eventuali anomalie. Di questi giorni è il disastro che distrugge le coste della Louisiana. Definito dal presidente Barack Obama sciagura nazionale è dovuto alla piattaforma della BP Deepwater Horizon. Un guasto imprevisto ha lasciato ingegneri esperti inebetiti per non saper tamponare la falla. La società pagherà i danni, ma in tema di danni ambientali non tutto è ricomponibile. Si tratta di eventi senza rimedio e ciò che è distrutto resta tale. Così come nel nucleare dove sarebbe impresa gigantesca descrivere tutti gli oltraggi senza ritorno ad uomini e natura. Si può accennare tra tanti esempi che un milione di persone in tutto il mondo sono morte a causa dell’esposizione alle radiazioni liberate dal disastro nucleare di Chernobyl del 1986. Un nuovo libro Alexey Yablokov della New York Academy of Sciences, pubblicato in occasione del 24° anniversario dell’incidente si intitola: “Chernobyl: conseguenze della catastrofe su persone ed ambiente”. Dovrebbe poter bastare la conoscenza sulla durata dell’uranio che in 50 anni sarà finito se non si faranno altre centrali atomiche, e molto prima se la malaugurata idea di farne altre dovesse trovare applicazione. Ma anche l’antieconomicità dei costi dovrebbe indurre a più intelligenti scelte. Soprattutto il problema insormontabile delle scorie radioattive è talmente evidente che non prenderlo in considerazione rinvia a ciò che spiego all’inizio di questo scritto. Certa gente non vede al di là della propria quotidiana esistenza tra beni e privilegi. Nessuno può negare che le scorie a bassa e media attività restano pericolose per circa trecento anni e che quelle ad alta attività conservano fino a 250mila anni la propria carica mortale. Tutti sanno che le centrali di 31 nazioni già oggi producono migliaia di tonnellate di scorie soggette a casi imprevedibili come terremoti e alluvioni che nel lungo tempo, pur auspicando una buona tenuta delle strutture che le contengono, non sono né sicuramente conservate, né è garantito che non vadano a contaminare luoghi e persone. Un esempio a noi vicino è quello di Latina dove pur chiusa la centrale dal i 1º dicembre 1987, infiltrazioni di acqua di falda nei sotterranei che accolgono i contenitori di stoccaggio nucleare hanno provocato la fuoriuscita di ingenti quantità di materiale radioattivo come Cesio 137, Cesio 134 e cobalto 60. La moria di grossi pesci e bufale, le malformazioni fetali di bambini, piante e animali, sono state e sono tutt’ora oggetto di pubblicazioni e ricerche che danno un panorama angosciante sui fatti malsani che derivano dalla incontrollabilità della materia nucleare. Gli studi scientifici, sono innumerevoli. Rammento che nel ’99 in occasione della pubblicazione di Fortuna Fasano, un mio libro di narrativa a sfondo ambientalista, interpellavo frequentemente Carlo Marcantonio Tibaldi, l’avvocato sindaco di Castelforte che per tutta la vita si è battuto contro l’ignoranza dei danni provocati dal nucleare nella sua regione. Mi diede due dei suoi libri pubblicati: “L’inquinamento da radionuclidi nelle acque del Lazio meridionale”, editore Il Golfo, 1985, e “Lettere ai Giudici sulla centrale atomica del Garigliano” (del Centro Storico culturale Andrea Mattei SS.Cosma e Damiano). I dati divulgati sull’alta incidenza di leucemie, aborti, feti malformati; ma anche animali con due teste e pulcini a tre zampe, si ricavano da fatti documentati e inconfutabili. Ora in zona Sessa Aurunca, Castelforte, Minturno, la popolazione ha ripreso a manifestare contro ogni ulteriore centrale atomica. Già non riescono a disfarsi delle scorie di quella vecchia il cui smantellamento era previsto per il 2030 e i cui costi sono abnormi, figuriamoci se non vedono come un maledetto accanimento il riproporre il nucleare in zona. Ad oggi l’addio al nucleare è costato una cifra colossale. Nel 2001 erano previsti 3,3 miliardi ma in realtà siamo già ad un prelievo dalle bollette elettriche in cifre rivalutate di oltre 9 miliardi e 523 milioni di euro. La nota curiosa è che persino l’uranio usato nel 1942 da Enrico Fermi è ancora da sistemare definitivamente. Nel nostro paese tutto ciò che oggi riguarda il nucleare fa capo alla Società Gestione Impianti Nucleari S.p.S. (SOGIN) istituita nel 1999. Presidente della SOGIN è il generale Carlo Jean che, nel febbraio 2003, ha così quantificato i rifiuti radioattivi presenti in Italia: “50.000 metri cubi (mc) di scorie radioattive a bassa e media radioattività, circa 8.000 mc di scorie radioattive ad alta radioattività, 62 tonnellate di combustibile irraggiato, oltre a ospedali, acciaierie, impianti petrolchimici e così via che producono circa 500 tonnellate di rifiuti radioattivi ogni anno”. Secondo il premio Nobel Rubbia, il nucleare il Italia non risolverebbe il problema dei costi energetici e si può prevederlo solo in tempi molto lunghi. Si pensa che il nucleare possa ridurre il costo dell’energia, ma questo, a parere dello scienziato, non è vero. Allora perché si intende farlo? Chi ci guadagna nonostante le funeste esperienze evidenti e visibili a tutti? Sembra che le regioni si stiano tutte attrezzando per respingerlo. I presidenti non lo vogliono, i sindaci neppure, la gente ha votato “Sì” alla proposta di abrogazione del Referendum. Possono Soltanto Berlusconi, Sarkozy e la Confindustria dominare tutti? Anche il Presidente francese deve fare i conti con il dissenso. Ha in casa migliaia di associazioni contro il nucleare, di cui 842 sono confederate in “Sortir du Nucléaire”, e a chi obietta che dobbiamo avere il nucleare in casa perché gli Stati a noi vicini ce l’hanno, è bene rispondere che soprattutto chi si è trovato vicinissimo alle centrali in tutti i disastri atomici non ha avuto scampo. E se invece di andare dietro ai cattivi esempi cominciassimo a seguire quelli buoni di esempi? Carlo Rubbia dichiara che il futuro non sta nel nucleare ma nel solare. E’lui uno dei nostri maggiori referenti in materia. Il suo parere conterà qualcosa o vale di più la sapienza del ministro Claudio Scajola? Leggo nel suo curriculum che è docente di Storia dell’arte e laureato in Giurisprudenza, che c’entra con le competenze sull’atomo? Chi non sa deve invece guardarsi intorno per copiare da quelli che fanno meglio di noi. Abbiamo esperienze nel mondo di energia pulita basta volerle riconoscere. Ad Amburgo per esempio, sembra una favola, ma hanno tratto vantaggio ‘ecologico’ dall’immondizia di Napoli. Il recente servizio Raitre di Riccardo Iacona “Sole, vento, alberi” ha ben raccontato lo straordinario modello della Solar Valley in Germania dove con l’energia pulita si sono creati 750 mila posti di lavoro e ricavato il 16 per cento del fabbisogno elettrico senza usare il petrolio e per giunta diminuendo del 18 per cento l’emissione di gas serra. L’invito è alle persone di ogni età a sentirsi giovani dentro, perché questo li porterà a immaginare il futuro e cominciare a pensare alla bellezza di un mondo vivibile, e perché no, migliorato, a disposizione di chi verrà dopo di noi. Roma, 3 maggio 2010, Wanda Montanelli

LE DIFFICOLTA’ DELL’INTEGRAZIONE

L’accoglienza delle culture

di Laura Tussi L’Occidente sta affrontando l’arrivo di cittadini provenienti da luoghi diversi del nostro pianeta, che chiedono di restare per lavorare e per condividere un benessere economico, sociale, politico, dove il susseguirsi delle migrazioni, prima di nostri connazionali provenienti dal sud d’Italia e, attualmente, di cittadini che giungono dal Marocco, dalla ex Jugoslavia, dalle Filippine, dalla Cina, ha contribuito in modalità determinante a portare ricchezza economica e culturale. La convivenza tra culture e popoli diversi non costituisce solamente uno scambio pacifico e sereno, perché il mondo trasuda anche violenze e ingiustizia, dove la povertà e la ricchezza sono giustapposte in un connubio di delinquenza e criminalità, per cui alcuni sono costretti a vivere in condizioni di estrema indigenza e l’arroganza e la volgarità umiliano i più deboli con contrasti e scontri anche violenti. Il fenomeno migratorio nel nostro Paese risulta consistente e strutturale e con urgenza si dovrebbero disporre tutti gli strumenti necessari per affrontare e gestire non solo l’ingresso di molteplicità di immigrati, ma soprattutto la loro permanenza, garantendo civile e dignitosa accoglienza e reali possibilità di integrazione, anche se, in realtà, le istituzioni stanno operando con strumenti poco efficaci e gli immigrati sono lasciati in una pericolosa ed ingiusta condizione di incertezza sui propri diritti e doveri. Il tema della multiculturalità si propone di favorire la conoscenza e il rispetto reciproco delle culture e offrire garanzie e strumenti per mantenere vivi i differenti patrimoni culturali. Il contatto con la diversità, anche se tra molte circostanze difficili, genera voglia di conoscere e sollecita maggiore attenzione e rispetto per le altre culture, ma certamente la costituzione di una società multiculturale sembrerebbe ancora un ambizioso obiettivo, in quanto si prospetta difficile la convivenza tra culture diverse e differenti gruppi etnici, evitando il rischio di pericolose reazioni di intolleranza. La ricerca della difesa delle diversità culturali, linguistiche, di censo, di sesso, etniche ed altro, come indicato nelle costituzioni della maggior parte degli Stati democratici è una causa legittima, nella motivazione a perfezionare la tutela delle diversità e del multiculturalismo che è fortemente radicata nella storia dei diritti umani dalla rivoluzione francese, riconoscendo ad ogni persona pari dignità e il diritto di vivere liberamente secondo la propria ragione. Le diversità etniche sono considerate motivo di arricchimento anche da una visione sociale ed economicista della comunità, dove l’arricchimento appunto è concepito come crescita valoriale per cui le diversità costituiscono fattori di evoluzione economica, sociale e culturale. Di fronte alla realtà immigratoria nel nostro Paese che si presenta in tutte le sue complessità, si prospetta l’urgenza di diffondere maggiori informazioni, di aprirsi alle nuove culture, come primo approccio verso una società multietnica e multilaterale, tramite un interscambio relazionale che possa arricchire e divenire un antidoto efficace all’intolleranza, all’emarginazione e al razzismo. Il rispetto di tali differenze storiche, economiche e di civiltà sarà effettuabile costruendo un terreno sociale e comunitario scevro di pregiudizi, luoghi comuni e stereotipi, creando le premesse per l’accettazione e la valorizzazione cosciente delle inevitabili e imprescindibili differenze tra esseri umani. Le scelte educative determinano il futuro di una comunità, dove la qualità delle persone costituisce una questione centrale del domani, nei problemi posti dall’introduzione della tecnologia, in tutti i campi dell’attività umana, dallo sviluppo economico disomogeneo e selvaggio, dal degrado ambientale, conseguente alla dissennata incentivazione dei consumi, con l’accentuarsi dell’ingiustizia sociale e dei conflitti, che pongono le nuove generazioni in una condizione determinante per il futuro di tutte le persone. L’educazione all’accoglienza, all’accettazione del diverso, all’antirazzismo, al rifiuto della discriminazione costituiscono il cardine indispensabile su cui si modificherà una società che riesca a coniugare la pacifica convivenza e il rispetto reciproco, attraverso la ricerca di soluzioni adeguate per arginare gli squilibri contemporanei. Risulta necessario porre grande attenzione al mondo della scuola, luogo istituzionale dove viene esercitata l’azione educativa delle comunità in modo organico e direttivo, alla famiglia e ai massmedia che contribuiscono alla coscientizzazione verso i problemi sociali. La necessità di elaborare una pedagogia interculturale è sorta in seguito all’ingresso nella scuola di persone appartenenti ad altri paesi. Il gioco tra autoctoni, immigrati, istituzioni e massmedia è complesso e si presenta facile il passaggio dall’accettazione al rifiuto, dall’indifferenza all’insofferenza, in quanto una profonda instabilità è propria delle relazioni umane e sociali, comportando una forte carica emotiva, ma anche innovativa. Il gioco simbolico ed emotivo è ancora più instabile e mutevole nel rapporto con l’immigrato e proprio per questo motivo l’instabilità e la volubilità dell’individuo e del gruppo sociale necessitano di trovare un supporto nelle istituzioni, che devono essere in grado di esprimere norme stabili e certe, frutto di un’approfondita conoscenza delle realtà attuali. L’Italia acquisisce tardivamente la coscienza di essere Paese meta di flussi migratori e solo negli anni ‘80 le amministrazioni pubbliche affrontano il problema dell’inserimento sociale dei migranti e la conseguente educazione dei loro figli. Il contenuto delle circolari ministeriali proclama ufficialmente che l’obiettivo primario dell’educazione interculturale si delinea come promozione della capacità di convivenza costruttiva in un tessuto sociale multiforme, che comporta l’accettazione e il rispetto del diverso e il riconoscimento dell’identità culturale nella ricerca quotidiana del dialogo, della comprensione e della collaborazione, in una prospettiva di arricchimento reciproco, nel valore della diversità generale come concetto da difendere e comprendere nel doppio versante dell’educazione interculturale, nell’affrontare e analizzare il problema degli studenti appartenenti a provenienze diverse e nella necessità che anche la scuola elabori le strategie capaci di affrontare i grandi mutamenti che caratterizzano la nostra epoca, in un policromo mosaico di popolazioni, lingue, culture, progetti, rappresentazioni reciproche di scambi e conflitti, interazioni e dialoghi.

IL RATTOPPO SCUCITO SULLE LISTE

Tra la Polverini e la Bonino doveva essere un’elezione all’insegna del fair play rosa, ma i politici maldestri l’hanno inquinata in grigiastro, colore della sporcizia e della pressappocaggine

“Non solo non è vero, ma è vero il contrario!”. Questa frase Berlusconi l’ha pronunciata decine di volte per rafforzare il diniego su parole e concetti degli avversari politici. Tante volte da assumere quasi il senso di uno slogan che si aggiunge ai molti da lui coniati per averla vinta, almeno a parole, nella opinione finale dei suoi elettori-spettatori. Le altre sono dichiarazioni di pericolo sulla presenza dei comunisti, sulla malvagità dei giudici, sulla esistenza di una sinistra “sinistra”; sul rischio rappresentato da una fazione pronta a colpire gli individui “del fare” al solo scopo di “disfare”. Minaccia che deriva da una non meglio descritta setta mancina che ignava, invidiosa e rancorosa ha come unico scopo la guerra al Partito della libertà, e ultimamente “dell’Amore”. Pare impossibile disgiungere il consenso dato alla Popolo della libertà dalla partecipazione al film che ha costruito la carriera politica di Berlusconi; alla rappresentazione che egli ha potuto dare di sé con accuse, colpi di scena e motti reiterati che sono stati un segno indelebile della sua predominante esistenza. Sfido chiunque a dimostrare che non riesce a diventare leader politico di primo piano avendo a disposizione un congruo numero di televisioni, alcune testate giornalistiche, e ingenti mezzi economici. Anche Mister Bean potrebbe apparire intelligente e abile, se ben guidato, avendo tali mezzi a disposizione. Pensiamo quindi che risultati può ottenere chi intelligente lo è davvero. Credo che a parte tutto il Premier si diverta come un matto da quando è entrato i politica. Lavora moltissimo, è vero. Dorme poco ed ha un sacco di pensieri, però sono convinta che non cambierebbe il suo status per tutto l’oro del mondo. Qualcuno direbbe “Già ce l’ha”, ma io intendo tutto l’oro dell’era dell’oro. E lui avrebbe potuto averlo se fosse stato un altro. Ma se la spassa così e gli basta. Un giorno spero possa scrivere e raccontare a noi curiosi come si è divertito, e darci la possibilità di conoscere la parte non ufficiale del Silvio Nazionale, quella in cui in privato si congratula con se stesso per averla data a bere a tanti, per aver convinto i refrattari, plagiato i fiacchi, cambiato il corso della storia, tutto da solo. Perché una cosa è vera. Il mattatore è lui e gli altri, salvo alcuni che mostrano estemporanei soprassalti di autonomia, sono solo comparse che se anche si sostituissero improvvisamente nessuno se ne accorgerebbe. E’ lui il primo attore e il regista, nonché il commediografo dell’opera teatrale talvolta tragica, spesso comica che abbiamo il lusso di vedere apparentemente gratis. Speriamo questo lusso non ci venga addebitato con gli interessi troppo alti alla resa dei conti. La sceneggiatura berlusconiana è efficace per chi non vuol altro che sentire le cose che dice. In fondo c’è gente che non vuol altro che essere rassicurata e lui è bravissimo in questo. In più è familiare. Una figura che entra in casa di tutte le famiglie ogni giorno è come un parente che si è a abituati a vedere spesso. Accadeva lo stesso con personaggi televisivi onnipresenti come Mike Bongiorno con i quali si creava un’affettività tale da sembrare impossibile a taluni di non essere corrisposti e riconosciuti quando lo incontravano. Mi pare che si diverta anche perché la sceneggiatura del Premier non ha nulla da invidiare quanto a spasso alle stravaganti elucubrazioni di Pirandello in Così è se vi pare, o nel Berretto a sonagli, dove chi ha ragione o perde il dritto di averla strada facendo, o risulta pazzo. Nella sua attitudine a rimettere in discussione il torto e la ragione tra protagonisti c’è la volontà incontenibile di vincere sempre ad ogni costo. Ed esiste un unico punto di vista. Il suo. C’è da gustare, nell’aspetto spettacolare, la visione dei vorticosi giri che la frittata berlusconiana compie prima di ricadere ribaltata nel piatto. Un po’ teatro drammatico, un po’ prestidigitazione, un po’ finzione acrobatica. Alla fine la rappresentazione dà i suoi frutti al popolo televisivo che non aspetta che di mangiarne. Così per spiegare che il Pdl ha ragione anche in questa confusa ricostruzione intorno alle liste per le regionali nel Lazio nega che vi sia stata una lotta al coltello fino all’ultimo sui nomi da inserire in lista, non ammette l’errore di un proprio dirigente, come non rivela chi sono i “pesci grossi” (“io sono un pesce piccolo” ha detto Alfredo Milioni, presidente del XIX Municipio di Roma quando ha capito che la scusa del panino non reggeva) che hanno imposto le sbianchettature e le modifiche in chiusura di liste. Irregolarità che anche altri partiti fanno, ma che nessuno avrebbe la sfrontatezza di presentare, una volta colto il flagrante, come colpe altrui. Invece secondo il premier la colpa è sempre degli altri. Sicuramente di chi ha ben interpretato l’art 122 della Costituzione in tema di disciplina sulle elezioni regionali. Certamente degli invidiosi sinistri “di sinistra” che hanno nostalgia di dittature prive di consultazioni elettorali. Dei giudici del Tar che hanno quadri del “Che” alle pareti. Soprattutto dei radicali che hanno fatto una gazzarra e si sono macchiati del reato di essere al posto giusto al momento giusto per osservare qualcosa di anomalo che stava avvenendo. Insomma la colpa è di tutti meno che di se stessi. Senza un minimo di autocritica verso il pressapochismo dei propri dirigenti di partito, o del fatto lampante, compreso anche dagli stessi elettori del PdL, che un partito serio dovrebbe avere con congruo anticipo i nomi di politici attendibili e di valore iscritti per la competizione elettorale. E nello specifico una regione così importante come il Lazio dovrebbe mettere in corsa persone con un loro background valutato in corso di approfondite riunioni. Il che non dovrebbe lasciar spazio a improvvisatori e avventurieri inseriti in lista all’ultimo minuto. Ma almeno la lista della candidata presidente è stata riammessa. L’onesta Polverini a mio parere non sarebbe male se fosse forte al punto tale da condurre la regione senza il fardello dell’entourage che la promuove. La sua azione in difesa dei diritti delle donne, le idee su quelli dei lavoratori, il suo operato non credo siano poca cosa per chi deve scegliere e votare. Tuttavia abbiamo in gioco realtà oggettive che presumono un’attenta valutazione. Il nucleare per esempio che Berlusconi intende appiopparci nella forma costosa inquinante e vecchia che servirà a far danno a noi e tanto favore a Sarkozy per sbolognarci le sue attrezzature. Credo che per lei, pur candidata della Popolo della libertà, ci sarà poca libertà. Per cui si voterà Bonino. Per quel pizzico di sana follia che c’è nei radicali che gli impedisce di mettersi sull’attenti nell’accettare le imposizione altrui. Quella singolarità che li fa guardare diritto dentro il cuore dei problemi per tentare di risolverli in modo pragmatico senza dare nulla per scontato. Quella follia che li riporta in gioco e nel farlo rimette in discussione tutti, chiunque essi siano. Non approvo proprio tutto delle tante iniziative radicali, ma adesso per dare un’impostazione nuova alla conduzione della cosa pubblica, per scongiurare il pericolo del nucleare, per dare un taglio ad abusi e usi avvezzi allo spreco, e infine per dimenticare la stagione Marrazzo, credo sia bene scegliere Emma Bonino. Ognuno nella sua preferenza di partito, ma radicali perché no. Non foss’altro per la trasparenza con cui pubblicano tutte le loro spese e i loro guadagni sul sito radicali.it. Non fosse che per una certa nostalgia di politici di spessore e di razza. Meglio se donne. Roma 12 marzo 2010 Wanda Montanelli

8 MARZO 2010: POCO DA FESTEGGIARE

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La violazione dei diritti umani e delle pari opportunità nei regimi totalitari e nel contesto nazionale ed europeo Si fanno molte iniziative per capire e tentare di arginare l’irrefrenabile violazione dei diritti umani. Ho partecipato al ciclo di incontri “Per non dimenticare”, organizzato a Milano da Laura Tussi e mi è sembrato che le storie si ripetano ciclicamente e che poco o nulla cambi, specialmente in violazione dei diritti delle donne. Eppure i riconoscimenti dei diritti ad essere pari sono sanciti da molte leggi, dalla nostra Costituzione in forma chiara e incisiva, ma pure da dichiarazioni che in ogni epoca hanno dato ragione al principio di uguaglianza. “In qualunque ambito si siano mai cimentate, le donne hanno sempre raggiunto l’eccellenza” *. Non è una mia opinione; e se per questo non è neppure la considerazione di una donna. L’ha scritto nel 1532 Ludovico Ariosto: un uomo. L’avevano capito già quasi 500 anni fa che quanto a capacità e perizia noi donne siamo in grado quantomeno di eguagliare gli uomini. Eppure ancora oggi, a distanza di tutto questo tempo, in Italia e in parte dell’Europa, come nei peggiori regimi totalitari del pianeta, i diritti delle donne non vengono riconosciuti, se non parzialmente. Sono tante le donne che tutti i giorni, in ogni momento, e anche ora che stiamo parlando, subiscono ogni genere di vessazione o di discriminazione. Sono tante le donne che vorrebbero poter essere semplicemente valutate per quel che valgono e rispettate nella loro integrità, morale e materiale, per il prezioso contributo che offrono tutti i giorni, al pari degli uomini, nella edificazione della società comune. In molte parti del mondo, però, questo non avviene, e la donna continua a vivere una situazione di subalternità al modello maschile che non rende giustizia all’intelligenza dell’uomo stesso, prim’ancora che a quella della donna. Dall’Albania, dove larghissima diffusione continua ad avere il fenomeno della violenza domestica e dove sembra essere pressoché dominante “l’idea che le violenze fisiche e psicologiche facciano in qualche modo parte della vita coniugale” (Undp**), alla Cina, dove nel segreto e nel silenzio più totali continua ad essere perpetrata quell’odiosa, incivile e infame pratica dell’infanticidio precoce delle bambine, alle quali in alcune aree del Paese si continua a preferire il maschio. Con anche una possibilità in più rispetto al passato, quella del ricorso alle moderne diagnosi preimpianto, ove accessibili. Il tutto fatto per operare una selezione sessuale tanto ingiusta quanto insensata che reca danno, ancora una volta, all’uomo stesso, oltre che alla donna, costringendo tanti giovani ragazzi cinesi a vivere in un mondo in cui non vi è per loro un pari numero di ragazze con cui fidanzarsi e sposarsi (in media nel Paese vi sono solo 5 ragazze ogni 6 ragazzi, e in alcune ragioni il picco maschile è ancora più alto: una concezione dissennata, fonte anche, per i maschi, di disagi psicologici tanto profondi quanto assolutamente evitabili). Per arrivare ad alcune regioni del mondo arabo, in cui la condizione femminile vive spesso una situazione di soggezione rispetto all’intero universo maschile e in cui è normale considerare la donna come una proprietà, né più e né meno di come può esserlo un’automobile o un frigorifero. O a Paesi mediorientali come l’Iran, dove poco più di un anno fa si è deciso di chiudere d’autorità il “Centro dei Difensori dei Diritti Umani”, Ong guidata da Shirin Ebadi, l’avvocato donna insignita nel 2003 del Premio Nobel per la Pace per l’impegno profuso a sostegno delle donne e dell’infanzia. Ancora ieri, l’ Alto Commissario dell’ Onu per i diritti umani, la magistrato sudafricana Navi Pillay, ha denunciato a Ginevra la violenza domestica e i crimini di onore dei quali sono vittime circa 5000 donne ogni anno nel mondo. E sempre ieri a Nuova Delhi, in India, 63 persone, tutte donne e bambini (37 bimbi e 26 donne) hanno perso la vita in un tragico incidente mentre chiedevano cibo e vestiti davanti ai cancelli di un’organizzazione umanitaria. E potrei continuare ancora a lungo, partendo dalla leader non-violenta Aung San Suu Kyi, anche lei Premio Nobel per la Pace, costretta da tempo dal regime del Myanmar agli arresti domiciliari soltanto per aver difeso i diritti umani nel suo Paese; ad Ingrid Betancourt, per oltre 6 anni tenuta prigioniera in Colombia dalle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) per aver lottato a difesa dei diritti umani e contro la corruzione e il narcotraffico; ad Angelica Mendoza de Ascarza, perseguitata per essersi adoperata in Perù alla ricerca della verità sulla scomparsa di 6000 cittadini; ad Agathe Uwilingiyimana, primo ministro del Ruanda vittima dell’eccidio del 1994. Fino alle tante donne che non hanno neanche un nome portato alla ribalta delle cronache di giornale ma che, esattamente come le altre hanno subito violenza o perso la vita, magari senza un vero motivo. Penso alla ragazza incinta del Ruanda, flagellata da un medico Hutu durante il travaglio perché era una Tutsi; alla donna musulmana percossa e violentata in Bosnia da soldati serbi mascherati, davanti alla figlia ed ai genitori; alle tre sorelle di 16, 18 e 20 anni violentate dai soldati ad un posto di blocco in Chiapas; alla sorella quattordicenne di un membro dell’opposizione Haitiana violentata da alcuni appartenenti a una milizia civile armata. Tutte cose che fanno parte della nostra dolorosa storia comune. Tutte cose di cui ci vergogniamo e dobbiamo fare in modo che non si ripetano più. Un articolo, su un noto quotidiano romano, commentava un documentario sui discendenti di alcuni tra i più stretti e feroci collaboratori di Hitler che uscirà quest’estate (“I bambini di Hitler”***). Tra le tante testimonianze vi è quella di Monika Hertwig, 65 anni, figlia di Amon Goeth, ex comandante del lager di Plaszow, alla periferia di Cracovia, in Polonia, che ricorda come il padre si divertisse “a sparare dal balcone a donne con i loro bebè in braccio”. Un sadico gioco, alle spese di innocenti donne e bambini, fatto solo “per vedere se riusciva a uccidere due persone con un solo proiettile”. Ecco, queste sono le cose che noi non dobbiamo mai dimenticare. Cose che siamo stati capaci di fare appena pochi decenni fa, anche qui, nel cuore della civilissima Europa, nel paese che fu di Kant, Hegel e Beethoven, e che non vogliamo si verifichino mai più. Oggi nel nostro continente viviamo per fortuna un contesto storico diverso e certamente non paragonabile alle situazioni sin qui evidenziate. Ma è assolutamente chiaro che la donna, in Italia come in altri paesi europei – non tutti per fortuna – vive ora una contraddizione storica del tutto anomala e mai conosciuta prima. Da un lato, grazie anche all’uso delle nuove tecnologie, ad Internet, agli strumenti di diffusione del pensiero che le moderne società mettono a disposizione di tutti noi, sembra riuscire a guadagnare nuovi spazi. Dall’altra, però, risulta essere sempre più schiacciata dal peso di una considerazione estremamente superficiale della sua esistenza e da un progressivo processo di mercificazione del suo corpo che, oltre a non renderle merito, ne impedisce di fatto un autentico e completo progresso sociale. Basti pensare a quante siano davvero le donne che fanno parte delle nostre classi dirigenti e quanto scarsa sia la linearità dei percorsi di ascesa sociale. “Il numero di donne che ha oggi accesso al potere è molto ridotto. In Occidente non vi sono più donne Primo ministro di quante fossero nel Medioevo regine o reggenti”. Può sembrare eccessiva e fors’anche pretestuosa una comparazione tra la realtà politico-sociale attuale e quella del Medioevo. Ma in realtà anche in questo caso non faccio altro che riportare testualmente un concetto espresso da un uomo: quel Jacques Le Goff, considerato uno dei più insigni medievisti contemporanei. Il che ci porta inevitabilmente a riflettere su quali passi in avanti siano stati concretamente fatti da allora e quali prospettive ci vengano riservate. Ecco, io credo che noi tutti – intendendo donne e uomini insieme – dobbiamo guardare al nostro futuro e a quello dei nostri figli avendo ben chiara in mente una cosa: che non si può costruire una società realmente moderna e fondata su autentici principi di uguaglianza e di parità se non ci si libera definitivamente dal peso di tutte queste contraddizioni. E’ un percorso difficile, in salita e certamente non privo di insidie. Nel quale le donne devono capire che non si può prescindere da un coinvolgimento diretto, prima di tutto culturale, dell’uomo. E gli uomini, da parte loro, devono comprendere fino in fondo l’importanza di una loro attiva partecipazione a questo processo evolutivo sociale. Perché una vera uguaglianza tra i due sessi, pur in una distinzione di ruoli sociali, di compiti e di attitudini, conviene anche – e forse prima di tutto – all’uomo. 8 marzo 2010, Wanda Montanelli * Testualm.Le donne sono venute in eccellenza di ciascun’arte ove hanno posto cura (Ludovico Ariosto, L’Orlando furioso). ** Dati United Nations Development Programme. *** “Hitlers Kinder” del regista israeliano Chanoch Zeevi.

L’INCRESCIOSA QUESTIONE DONNE CHE TURBA L’ESTABLISHMENT IDV

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Ancora una volta, come per le amare esperienze di Vasto, le delegate disertano il partito senz’anima

Ci risiamo. Ci ha provato di nuovo Antonio Di Pietro a gabbare le donne del partito e come per una legge di contrappasso ha perso con la faccia anche quel poco di credibilità che agli occhi di qualche ragazza ingenua e riverente – posto che ne sopravviva qualcuna – ancora conservava. E’ un fatto politico gravissimo la questione donne. Eccome se lo è. E’ la misura della democrazia come e più di ogni altra azione all’interno di un partito. Torno a dire che i diritti delle donne in politica sono sanciti dalla Costituzione italiana negli articoli 51, 2 ,3. La stessa carta per la quale Di Pietro si batte il petto in giuramenti di fedeltà e in proteste e minacce verso chi secondo lui non è abbastanza osservante dei suoi dettami. Tutte scene ad uso propaganda. Non ci crediamo più e ormai cominciamo ad essere in molti. L’esito del primo congresso di partito dopo oltre dieci anni restituisce, a proposito di contrappasso, le stesse accuse che Di Pietro muove contro gli altri partiti, in un’Italia dei Valori a doppia corsia, quella dei fiduciosi iscritti della base e quella dei vertici che predicano bene e razzolano male. Leggiamo sul suo stesso blog: “Ho votato IDV ed ora mi trovo un Di Pietro che sino ad ieri ha urlato ai quattro venti no alle candidature di inquisiti o sottoposti ad indagine della magistratura ed ora sostiene uno sottoposto ad indagini come De Luca”. Lo stesso asseriscono Luigi De Magistris e Sonia Alfano, parlamentari europei indipendenti che non sono iscritti all’Italia dei Valori e a sentir loro se ne guardano bene. Quindi, non appartenendo ai vertici di partito rappresentano un “Concorso esterno in opposizione furiosa” quando dichiarano, come ad esempio la Alfano: “Non condivido la scelta di sostenere De Luca in Campania e pertanto non darò il mio contributo per una sua eventuale elezione. La questione morale non può essere accompagnata da sconti soprattutto in Campania”. Opposizione rinforzata da Marco Travaglio e Antonio Padellaro, anche loro ormai disincantati, che sulle pagine del Fatto Quotidiano criticano aspramente la candidatura di De Luca. “Vorrei un partito di persone per bene” ha detto Sonia Alfano sere fa a Cruciani su radio 24 nell’intervista del programma “La zanzara”, e sembrava molto sincera nel nominare De Magistris, Claudio Fava, Flores D’Arcais e altri che meritano secondo i suoi progetti ideali, l’accreditamento nel partito-perbene. Sul web la protesta si scatena con l’assunto: “Se date la deroga a De Luca dovete darla anche a Berlusconi”. Sonia Alfano su Facebook conferma il suo contrasto alla scelta infelice, mentre De Magistris incalza su you Tube: “L’Idv si deve sottrarre da questa cosa. Di Pietro da leader del partito si è assunto una responsabilità politica, quella di appoggiare una persona con reati gravissimi. Questa è una scelta responsabile ed impegnativa per un leader”. La storia si ripete e per chi non sa o non ricorda è come se succedesse tutto per la prima volta. All’ hotel Marriot di Roma, il 7 febbraio si è dipanato un copione già rappresentato. Di Pietro che vuol passare dalla protesta ad essere una forza di governo, e auspica di incorporarsi nel Pd. Rammento lo slogan“Dalla protesta alla proposta” di Bellaria nel 2003 e l’accordo con Veltroni per le politiche 2006 dove il presidente unico Idv manifestava l’intento di “incorporarsi” in un unico gruppo parlamentare con i Democratici. Salvo cambiare idea subito dopo le elezioni, forse dopo il calcolo della resa economica dei consensi ottenuti. E quante volte abbiamo sentito promettere che toglierà il suo nome dal logo lasciando volare il gabbiano senza zavorra?”. Non si capisce poi, in questo primo congresso, quale fosse la mozione alternativa, perché Di Pietro aveva uno sfidante nel deputato campano Franco Barbato, definito “pittoresco” dai cronisti, il quale non aveva un proprio programma e non è tra l’altro nemmeno iscritto al partito (neanche lui!). Forse il suo è stato un semplice ruolo di comparsa tanto per movimentare l’evento. Una specie di commedia dell’arte con il “canovaccio” appena tracciato e poi come va-va. L’importante è fare un po’ di “ammuina” Meglio è andata la elezione del coordinatore dei giovani con la scelta di Rudi Russo che ha ottenuto il 47% dei voti. Tra le altre candidature, alcune sponsorizzate dall’alto, non c’è stata storia perché il 28enne toscano ha vinto nettamente. LA FALLITA OPERAZIONE ROSA E’ stata imbarazzante invece la faccenda delle donne tal quale come la sottoscritta l’ha già descritta da tempo. Il Corriere della sera titolava ieri: “Fallisce l’operazione dirigenti rosa”, salta l’elezione delle donne, qualcosa secondo l’ex Pm non ha funzionato”. Non ha funzionato il tentativo di asservimento da parte degli uomini di partito per decidere chi eleggere tra donne. Solo questo non ha funzionato. L’unica candidatura per il settore donne era quella di Patrizia Bugnano, già commissaria dello stesso dipartimento, per inciso creato da chi scrive sin dal lontanissimo 1998, e mantenuto fino al 2008 quando la scomoda voce di chi dice la verità e reclama democrazia venne messa a tacere. O almeno si tentò di farlo e di fatto si chiuse senza preavviso il sito web della Consulta femminile e si nominò come sostituta la Bugnano che mai si era affacciata prima nel dipartimento donne, anzi ne era proprio disinteressata, e così da politica inerte ma con l’importate titolo di “moglie di un coordinatore” in affiatati affari con la presidenza ottenne il dipartimento impegnandosi a tenerlo – presumo – spento e in insignificanza di idee e progetti. E’ il cosiddetto fenomeno di cooptazione in funzione di “propaggine” del politico di turno che non lascia nulla di intentato e piuttosto che niente si butta ad occupare anche gli spazi delle donne Sono tentativi di contaminare l’autonomia femminile, quella giusta per fare una politica “insieme” agli uomini da pari e senza sottomissioni. Le donne idv si sono ribellate anche stavolta e invece di ratificare una decisione già presa dai vertici del partito hanno espresso dissenso disertando in massa il congresso nella fase elettiva (di 800 delegate solamente in 173 hanno votato e meno della metà per la Bugnano). Il segnale di disaccordo è stato più che eclatante con schede bianche e interviste di protesta per l’andazzo familiaristico in politica che ormai ha davvero stancato. Tante le precedenti occasioni, tra cui quella di Vasto 2006 nell’assemblea denominata “talebana”, per la completa assenza di donne tra i relatori del convegno nazionale, e durante la quale il 22 settembre occupammo il Meeting Center dell’hotel Palace per fare la nostra assemblea autoconvocata e permanente intitolata “Vasto… aperti dissensi” con tanto di verbalizzazione raccolta firme e proteste, smorzate dalle promesse ufficiali di Leoluca Orlando in funzione di portavoce di Di Pietro. Promesse mai mantenute in questo partito di “marinai” senza certezze né porti sicuri. Con molta amarezza, ho fatto ieri sera la constatazione che “nulla è cambiato” nonostante anni di lotte e frustrazioni. E’ però di conforto sapere che le donne Idv continuano ad essere toste, come sempre, come allora. E chi la dura la vince. La storia è aperta. Roma 9 febbraio 2010 Wanda Montanelli