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LA GIUSTIZIA GIUSTA CHE SERVE A DAVIDE

. A gran voce si chiede una giustizia tempestiva e il primo requisito di giustizia giusta è proprio la celerità dell’esito finale perché se la sentenza arriva quando i contendenti sono passati a miglior vita o sono troppo anziani e rincitrulliti per capire che il giudice gli ha dato ragione non ha più senso. La macchina farraginosa che porta avanti lentamente le istanze dei cittadini derubati di un diritto deve modernizzarsi e su questo si può essere tutti d’accordo. Serve perciò “uno scatto d’efficienza” e servono “scelte coraggiose” ha detto di recente il nostro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Pier Camillo D’Avigo, Consigliere della Corte di Cassazione i cui interventi sui mali della giustizia sono di una concisione e un’arguzia pregevoli, dichiara che in tema di giustizia il reato più odioso è quello che offende i più deboli. Alla domanda: “Allora sei di sinistra?” risponde: “L’etica del cavaliere medioevale di soccorrere i deboli e gli orfani, era di sinistra?”. La confusione che si crea nell’etichettare soggetti pubblici che svolgono la loro funzione con bravura e correttezza in “azioni di destra” o “di sinistra” non porta giovamento a Davide. Davide è l’uomo onesto che si affida, quando non riesce a trovare affermati i propri diritti, ad una magistratura che non intende colorare di rosso, di bianco o di nero. Un’istituzione super partes proprio in virtù dell’art.3 della Costituzione. E allora siccome Davide non ha altri mezzi per trovare conforto e ristoro se non l’affidarsi ad un soggetto “terzo”, superiore a se stesso e al proprio antagonista riguardo alla questione che ostacola il suo pieno diritto di cittadinanza, risulta di fondamentale importanza mantenere la sua fiducia nella magistratura. L’eccessiva lunghezza delle cause fa perdere tasselli importanti nello spazio vitale di ognuno. Il che si può riferire a procedimenti civili, ma ancor più a reati penali che incidono in maniera devastante nell’esistenza umana. Quindi non c’è maggior danno in tema di giustizia che il perdersi in diatribe politiche, o in inseguimenti su norme che riguardano pochi. Specie se questi pochi hanno nulla a che fare con Davide, ma piuttosto sono dei “super Golia” con un multistrato di protezione dato dal proprio status, che spesso è economico, sociale, politico, istituzionale, e di “potere” manifesto o occulto in quantità enormi di intrecci pubblici. “Leggi ad personam” è la locuzione più inflazionata di questi tempi. Se vogliamo dirla semplicemente si tratta di leggi personalizzate a proprio uso e consumo. Come se tutto l’imponente apparato dei due Parlamenti, le 945 cariche istituzionali di Camera e Senato, le Commissioni, il Sistema civile li abbia architettati e Iddio li tenga in vita per una o poche persone. “Tutti travagghiarono e ficero a iggio” dice un vecchio motto siciliano per schernire la pretesa di mobilitare l’intesse generale a favore di un solo soggetto. Il che è evidentemente al fuori a ogni buon senso, talmente avulso dalla saggezza da apparire poco intelligente. Ma c’è invece un’intelligenza scellerata, o un bisogno estremo di autotutela che muove e concentra certe azioni. Certo il permetterle non si addebita solo a chi le compie, semmai anche a chi certi codici di sistema ha inventato. Poiché abusare del privilegio non è novità di moderna realizzazione, ma esisteva, come esistevano gli spazi “vuoti”, talvolta predisposti, in cui s’è annidata la sfrontata crescita del beneficio personale. Alla faccia di Davide che sta in fila ad attender il suo turno, e non vede l’ora di essere chiamato dal suo giudice per dire, magari con un piccolo inchino e il cappello in mano: “Chiedo giustizia”. Ma la patologia del caso italiano da che dipende? I giudici sono fannulloni? Risponde sul tema D’Avigo per dire “Abbiamo la più alta produttività d’Europa, probabilmente del mondo. La giustizia è lenta per molte ragioni, ma la più importante di tutti è che ci sono troppi processi”. E ancora: “L’Italia spende per la giustizia quello che spende la Gran Bretagna, dove fanno 300 mila processi penali l’anno. Noi ne facciamo tre milioni. Abbiamo ogni anno più cause civili nuove di Francia, Spagna, Gran Bretagna messe insieme”. Spesso reati piccoli portano le cause fino alla Cassazione, come il mancato pagamento di un biglietto del tram o la banale lite tra condomini per chi debba pagare le spese d’elettricità dell’ascensore. Uno dei motivi che induce al ricorrere in Appello in materia penale è la inesistenza del rischio di vedersi aumentata la pena. Si dilungano le cause all’infinito anche per la volontà dell’avvocato di non arrivare a conclusione. Ad alcuni soggetti conviene perdere tempo per una serie di motivi, tra cui la prescrizione, e il legale può trovare decine di escamotage per far rimandare l’udienza. Per esempio l’assenza del legale di parte in udienza è pretesto di rinvio, mentre sarebbe facile stabilire che chi non si presenta deve mandare un sostituto in grado di seguire la causa perché comunque il procedimento non può avere rinvii per motivi artificiosi. Insomma occorre raziocinio e volontà. Leggi adeguate, che non sono fatte dai magistrati, ma talvolta “malfatte” dai legislatori. Servono leggi di facile lettura e interpretazione. Servono mezzi, ma soprattutto l’impegno verso la semplificazione e l’uso del digitale; la notifica e la firma elettronica; la mediazione obbligatoria e veloce delle controversie minimali; nuovi modelli organizzativi del lavoro; misure alternative alla detenzione di chi con comportamenti asociali non può che giovarsi del suo impegno rieducativo nei confronti dei bisogni altrui. Le carceri scoppiano. I radicali che con Rita Bernardini seguono la questione con puntualità e visite ripetute negli istituti di pena fanno sapere che dal 1o gennaio 2000 ad oggi nelle carceri italiane sono morti 1.688 detenuti, di cui 586 per suicidio. Ma anche su questo grave problema sembra che si sia fatto poco o nulla. Alcune nuove carceri sono state edificate ma non sono mai state aperte. Quanto alle semplificazione delle procedure alcune regioni italiane in accordo con il Cnipa (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) e il Ministero della Giustizia, hanno attivato un protocollo d’intesa per l’erogazione di servizi on line a uffici giudiziari, come la cancelleria telematica, la rete dei giudici di pace, la gestione trasparente dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. Per ridurre il carico burocratico, risparmiare tempo e denaro, semplificare le procedure e dare giustizia. Una giustizia che funziona per tutti alla stessa maniera, come l’art. 3 prevede: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali dinnanzi alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali“. Il Presidente Napolitano, convinto del contenuto di democrazia di tale articolo, esprimendo le sue perplessità sul “lodo Alfano” che lo coinvolge nell’edificare uno scudo per le alte cariche dello Stato, rinvia in alcune dichiarazioni al contrasto che si creerebbe tra il lodo e l’art.90 che già prevede da sessant’anni: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”. Il che per lui può bastare, ma anche per tutti gli italiani che confidano nella democrazia. “…nell’esercizio delle sue funzioni”, è lì la differenza. Roma 24 ottobre 2010 Wanda Montanelli

SOLO CHIACCHIERE E DISTINTIVO

La gente si aspetta risultati veri per penare di meno. Cose concrete della vita di tutti i giorni che sembrano a portata di mano ma sfuggono via portate dal vento insieme alle chiacchiere che la nostra classe politica ci amministra. Tanto bravi tutti a parlare e litigare quanto incapaci di portare a casa quello che la popolazione disagiata desidera. Cosa? Lavoro, stipendio, casa, scuola, mezzo di trasporto, spesa alimentare, abito, salute, ecc. Se l’utopia un tempo era una carriera di prima ballerina alla Scala, oggi è utopico un posto di lavoro, una casa, un reddito per vivere. Non si chiede assistenza, ma un vero diritto ad una seria attività come prevede la nostra carta costituzionale. Si chiama lavoro. L’impegno cioè a svolgere un’attività fisica o intellettuale in cambio di uno stipendio dignitoso. Questo e non altro. Sto parlando dei nostri concittadini della fascia “non privilegiata” che l’assistenza sono consapevoli di doverla lasciare a chi ne ha diritto per elezione in quanto appartenente a una rango superiore. L’assistenza in questi ultimi tempi è concessa a chi le “cose tangibili” le ottiene per il proprio status di capitalista a prescindere dai frutti del capitale. E’ una sorta di socialismo per i ricchi e capitalismo per i poveri, è un impianto complessivo delle scelte che premia sempre e comunque chi il mantello per l’inverno ce l’ha già. E’ una scellerata politica economica che favorisce la concentrazione del capitale verso pochi soggetti sociali e il dissanguamento incessante verso tutti gli altri. L’accusa è al sistema di capitalismo clientelare che da troppo tempo ormai socializza le perdite e privatizza i profitti. Di esempi ne abbiamo negli Stati Uniti, come in Europa, con salvataggi compiuti nel corso degli anni come il commissariamento dei colossi del credito ipotecario Fannie Mae e Freddie Mac, o della Bear Ste-arns. Da noi è l’Alitalia il caso tra i più eclatanti di socializzazione delle perdite. Ma numerosi sono gli esempi di azzardo morale, moral hazard cioè il sistema mentis che permette ad un soggetto di correre rischi avventati perché si considera esonerato dalle conseguenze del rischio stesso. E’ un ombrello grande quanto un pianeta rispetto alla cifra necessaria a non far morire di fame la famiglia di un cassintegrato. “Questi soggetti fanno i soldi sui disastri che loro stessi hanno creato” afferma Joseph Stiglitz, premio Nobel e docente di Economia alla Columbia University. E la domanda che i comuni mortali hanno in mente è: se una banca o una società prossima al fallimento diventa redditizia grazie ad una gestione pubblica perché restituirla agli incapaci che l’hanno fatta fallire? Il rigore logico non dovrebbe portare a socializzare i profitti dal momento che quei profitti derivano dalle tasche dei cittadini? Non di ipotesi ideologica si tratta, ma di considerazione pragmatica. Chi il capitale sa farlo fruttare liberamente senza chiedere nulla al pubblico merita di intascare i profitti, altrimenti i profitti devono essere restituiti al pubblico. Viviamo in una società privata del futuro, in cui banche e holding finanziarie accumulano guadagni, mentre i comuni mortali vivono giornate buie senza schiarite. Dal Rapporto sui diritto globali 2010 emerge che nel 2009 le famiglie italiane si sono indebitate di media per 21.270 euro per ogni cittadino. Per i lavoratori dipendenti il debito annuo è di 15.900 euro, di cui il 79,4% per la casa e il resto per consumi diversi. Pensare che un tempo gli italiani erano un popolo di risparmiatori e di lavoratori, ma adesso non sono più né l’uno né l’altro e non per loro colpa. Il popolo di risparmiatori si è disperso nel rincorrere le spese superiori alle attese di guadagno. E la “fortuna” di avere un lavoro, le rare volte che capita, non salva dall’impoverimento. Il fenomeno del “working poor”, citato nello stesso rapporto, fornisce i dati sulla soglia di povertà relativa di 13,6 milioni di lavoratori con meno di 1.300 euro netti al mese. Il reddito familiare perso tra il 2002 e il 2008 è di 1.599 euro tra gli operai e di1.681 euro tra gli impiegati. Ma non basta perché gli aumenti dei prezzi, della disoccupazione e il livellamento verso il basso dei salari hanno aggravato l’emergenza casa. Entro il 2011, si prevede che 150.000 famiglie italiane saranno sfrattate. A fronte di questi impoverimenti si apre la distanza tra ceti sociali fino al punto che c’è chi guadagna smodatamente e senza alcun imbarazzo nei confronti dei disperati alle prese con rate di mutuo in mora, il distacco della corrente o lo stop all’erogazione del metano, sicché gli sfiancati dalle difficoltà del vivere perdono anche l’ultima chance di attaccarsi alla canna del gas. I sacrifici (non dico a lacrime e sangue ma semplici economie dettate da un soprassalto di decenza) sono istituti che certa gente sa ben allontanare da sé, un po’ per egoismo, un po’ per questione di classe (assenza di). Per fare qualche esempio possiamo citare Carlo Puri Negri, ex vicepresidente esecutivo di Pirelli Re, che ha incassato 14 milioni di euro nonostante la società abbia chiuso l’anno con un passivo di 104 milioni. Claudio De Conto, ex direttore generale di Pirelli, con l’introito di 7,3 milioni. Tra chi non si fa mancare niente troviamo, con 5,6 milioni, Marco Tronchetti Provera presidente di Pirelli. Sergio Marchionne e Luca Cordero di Montezemolo entrambi remunerati dalla Fiat, rispettivamente con 4 milioni e 782 mila euro l’uno, cinque milioni e 177 mila euro l’altro. Gli elenchi riempirebbero pagine e pagine ma chiudiamola qui specificando che con il compenso di 100 top manager delle banche si potrebbero pagare i salari di 10.000 lavoratori. IL PRAGMATISMO DI CUI GLI ITALIANI HANNO BISOGNO Come se ne esce? Evitando gli scontri tra fazioni sembra avvicinarsi il tempo di condividere con le donne la gestione della cosa pubblica. Le donne che impegnate nelle istituzioni non si dilungano in polemiche di principio, ma affrontano in modo pragmatico le questioni per risolverle in tempi rapidi e in una prospettiva attenta ai bisogni delle persone. Da indagini su comportamento delle deputate in Europa risulta che l’approccio femminile alla politica è caratterizzato dall’attenzione all’individuo e ai suoi tempi e modi d’essere. Appare chiaro che le donne sono più democratiche, aperte ai cambiamenti e molto sensibili agli interessi degli elettori. Non conviene, a chi è abbarbicato ai posti di potere, fare l’esperimento clou. Provare cioè come le donne riescono a risolvere gli annosi problemi che loro, per interessi di bottega o inettitudine, lasciano marcire. Se i cittadini, una volte messe alla prova le donne nelle istituzioni apicali, dovessero trovarsi tanto bene da confermarle al potere decisionale, costoro avrebbero chiuso e andrebbero a casa intorbidati dalle chiacchiere di cui hanno ammorbato il clima. Tra le possibilità concrete di perseguire il bene comune un’idea da ben valutare potrebbe essere il modello di Big Society,  del 44enne Phillip Blond. La sua idea è criticata come un possibile progetto di taglio al Welfare State, ma se ben regolato il piano potrebbe creare nuove opportunità di lavoro appaltando ai cittadini i servizi. E’ chiaro che non di privatizzazione si tratterebbe, ma di concessione vincolata al rispetto dei diritti di chi vi è coinvolto. In Italia il sistema delle cooperative già funziona da molti anni. Una supervisione delle istituzioni e soprattutto accordi di conferimento del servizio che prevedano l’annullamento del contratto in caso di manifesta incapacità o mancato rispetto delle regole sui contratti di lavoro o altre irregolarità, sarebbe il necessario contrappeso prima di imbarcarsi in un sistema che potrebbe essere vincente o deleterio a seconda di come lo si imposta dall’inizio. Di buone idee ve ne sono. Basterebbe avere l’interesse a realizzarle, chiaramente interesse “pubblico” per migliorare la qualità della vita degli italiani. Un’idea rivoluzionaria: “Tassare chi specula” è la campagna condotta dall’Unità. Si tratta della Ftt, Financial Transaction Tax (la tassa sulle transazioni finanziarie), dell’importo minimale che va dallo 0,01 allo 0,05% che approvata sarebbe una risorsa per superare gli effetti della crisi che ancora incombe. Il premier Berlusconi la definisce ridicola, Nicolas Sarkozy l’ha promossa in sede Onu, le lobby finanziarie la osteggiano. Ma non sembra così ridicola se l’Austrian Institute for Economic Research fa sapere che la tassa applicata a livello globale potrebbe garantire un gettito fra i 500 e i 1000 miliardi di dollari l’anno, e applicata nei soli Paesi dell’Unione europea la Ftt frutterebbe circa 200 miliardi di euro. Il dibattito aperto negli Stati Uniti dagli economisti Paul Krugman e Joseph Stiglitz, è sostenuto dal presidente Barack Obama che però deve andarci cauto considerando i contraccolpi nelle elezioni di mid term. La minuscola tassa mette paura a chi gioca con la speculazione e giocando si diverte solo lui mentre tutto il resto va in malora. A Bruxelles i socialdemocratici tedeschi e austriaci pensano di raccogliere un milione di firme in base a quanto previsto dall’Art. 11 del Trattato di Lisbona per invitare la Commissione europea a presentare una proposta. L’obiettivo è chiaro: chiedere al prossimo G20, previsto per novembre a Seul, l’introduzione di Ftt. In Italia già dalla scorsa primavera è iniziata la “Campagna 005”. Sul relativo sito si può aderire e lasciare un commento. Roma 10 – 10 – 10 Wanda Montanelli

LE PIETRE DELLA LAPIDAZIONE SUL MONDO

STONING IN (ON) THE WORLD

Dai casi che hanno fatto scalpore, come quelli di Safya Husseini e Amina Lawal in Nigeria fino alla condanna alla lapidazione di Sakineh Mohammadi Ashtiani in Iran, il percorso che riconduce “la pena antica” alla “pena nuova” non si è mai interrotto. Nelle pietrose contrade mediorientali la lapidazione costituisce una forma di linciaggio ed esecuzione sommaria di origini antiche. La Bibbia riferisce vari episodi di cui si ricorda, più comunemente, quello di Santo Stefano, lapidato per blasfemia, e la contestazione di Gesù, contro il diritto di chiunque ad eseguire una simile pena, a favore dell’adultera “ Chi di Voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei” – Giovanni 8:7-11 -. La lapidazione è di derivazione giudaica e ne troviamo traccia, per esempio, in Deuteronomio 22,23-25 o nei Cor. 24,4. Dalla terra sassosa di Palestina, dove la rabbia popolare si esprimeva attraverso il linciaggio e la lapidazione, alla presunta introduzione di questa barbarie nei califfati medinesi, successivi al Profeta Maometto da parte del califfo Umar (6m.644), testo di riferimento / Hadith, volume 8, Libro 82, numero 810), la lapidazione risulta essere non un rimasuglio del passato ma una pena in espansione diffusa dagli integralisti. In Iran, l’articolo 83 del codice Penale, chiamato legge dello Hodoud, prevede la pena di 100 frustate per coloro che, non essendo sposati, praticano sesso fuori dal matrimonio; per gli adulteri è prevista la pena per lapidazione. Se l’Iran ha reintrodotto la lapidazione nel 1983, a seguito della Rivoluzione Islamica sciita, all’estremo nord dell’isola di Sumatra, il Parlamento di Aceh ha approvato nel 2009 le nuove norme “a interpretazione” della legge islamica, che prevedono la morte per lapidazione per chi tradisce il marito o la moglie. In Arabia Saudita, dove non esiste un vero e proprio codice penale né un sistema giudiziario regolamentato, la situazione in concreto non è dissimile dal contesto tribale in cui i processi sono condotti in paesi come l’Afghanistan, lo Yemen, il Bangladesh, il Pakistan, la Somalia, il Sudan. I processi sono segreti, gli imputati non hanno diritto ad un avvocato né vengono informati della condanna alla quale non vi è possibilità di appello. In Arabia Saudita il Consiglio Giudiziario Supremo, i cui membri vengono nominati dal Re, “riesamina” i casi capitali ed è ritenuto responsabile dell’applicazione della shari’a. In Somalia, a causa della guerra civile, le strutture giudiziarie sono collassate fin dal 2000 e spesso i tribunali islamici, sorti a livello locale, sono fuori controllo statale e applicano pene come il taglio delle mani o dei piedi e anche la lapidazione. Idem per il Sudan dove la rete dei tribunali islamici , creata dal fondamentalista sudanese Hassan el Turabi, sfugge al controllo del governo centrale e sentenzia in piena indipendenza. Piccoli cenni questi che offrono un quadro chiaro che tradisce l’impossibilità di avere notizie dei casi di lapidazione che accadono in zone remote e lontane dalle grandi città. Affinché il caso iraniano di Sakineh Mohammadi Ashtiani non sia strumentalizzato per fini di carattere politico, con oscuri rovesci di interessi internazionali che vanno oltre la condanna dell’Iran per l’applicazione della lapidazione (tortura e pena di morte), ho voluto ricordare il corollario di paesi, nel mondo islamico, che nell’assenza di informazione più assoluta affiancano questa realtà. L’occidente è servito solo in minima parte dalla verità necessaria a capire quel che davvero muove le notizie. Le giuste campagne di sdegno internazionale verso la lapidazione lasciano spesso sul campo un nemico scomodo e non i colpevoli tutti. Ci sono però musulmani che sostengono che il Corano condanni apertamente la lapidazione e che la stessa non sia affatto una pena islamica. A tal proposito va ricordato un ex membro del Consiglio supremo della Magistratura in Iran, l’Ayatollah Dr. Seyed Mohammad Bojnourdi, il quale, intervistato, ha affermato che punizioni così crudeli danno un’immagine distorta dell’Islam (cosa che di fatto avviene) tanto da indebolirlo e da creare un effetto di riluttanza soprattutto fra i giovani. Credo che il punto chiave della situazione sia la violazione dei diritti umani. Sia la tortura che la pena di morte, applicate nella lapidazione, non possono ridursi ad un caso o ad una questione nazionale (ricordo anche che la maggior parte delle lapidazioni è subita da donne) ma vanno ricondotte al perenne controllo di qualsiasi tipo di libertà e nel caso delle donne a qualsiasi tipo di emancipazione delle donne stesse. Parlare dei diritti delle donne nel mondo è la storia più lunga dell’umanità. La donna non ha diritti sia come madre che come sposa in moltissimi paesi e le conquiste occidentali appaiono quasi un miracolo, nonostante i problemi di discriminazione che tutti conosciamo anche in occidente. La vessazione continua, infatti, che il corpo femminile subisce attraverso la propaganda pubblicitaria “liberata” è spesso oggetto di contestazione e nel contempo non offre quell’immagine appunto “liberata” della donna soggetto dell’evoluzione umana. Il male di tutti i mali resta “lo stupro”, il signore indisturbato dei crimini contro l’umanità. L’elenco impressionante di donne stuprate, che l’era moderna veste anche di un abito bellico dalla sostanza antica e brutale comune solo all’uomo, esprime la radice malvagia di un’insana relazione tra i generi. Le pietre che uccidono sono espresse dunque anche dai sassi avvolti nelle mani di chiunque non ha il coraggio di lasciarle cadere in terra e riconciliarsi con l’umanità. Altre pietre uccidono con la stessa forza anche se non figurata colpendo la bellezza dell’infanzia e marcando lividamente l’anima di dolore e sofferenza. Dalla violenza sessuale alla lapidazione la strada a ritroso conduce dritti nella caverna. L’uomo della caverna sperimenta, non conosce, ha sentore del pericolo e colpisce per primo come può. L’uomo della caverna è la sintesi dell’incapacità a cogliere il messaggio di vita oltre la mera sopravvivenza fisica. Secoli di storia, intrisi di bellezza e malvagità, non hanno ancora permesso al destino umano di fare la differenza e di riappacificarsi con l’universo. Essere donna oggi è più pericoloso che essere soldato, in guerra come in pace”A pronunciare queste parole è il generale Patrick Cammaert, ex capo delle forze di peacekeeping dell’ONU, intendendo così lo stupro come strumento militarmente efficace, una sorta di arma bellica in grado di determinare tanti conflitti. Gli antichi e i nuovi drammi della storia umana devono essere sdoganati alla consapevolezza. Occorre lavorare ad un modello di “uomo nuovo”, un essere umano compassionevole e capace, un essere dal battito pulsante verso il vero e la gioia, un essere che si innalza al di sopra di tutto perché in grado di riconoscere le radici del suo male oscuro che lo rendono spesso peggiore di una qualsiasi bestia. La protesta globale contro l’abuso, la tortura e la pena di morte rappresenta il seme della riconciliazione con l’alito vitale. Le donne possono cambiare il corso della storia dell’umanità. I loro ventri generosi cullano la vita che verrà e che darà loro la forza di resistere all’ostinazione mortale di chi teme, più che mai, il confronto e il futuro. Come un Satana che aumenta la dose di malvagità davanti alla bellezza del bene così una parte di umanità scimmiotta il satanico sistema in difesa del potere. La verità è che sia l’uno che gli altri sono molto preoccupati. Hanno guardato nel futuro, hanno cercato accuratamente in “quel futuro”, ma di loro nessuna traccia. La natura elimina ciò che non serve e rafforza chi la sostiene. All’alba del nuovo mondo il “nuovo uomo” smetterà di soffrire e di far soffrire. Io ci credo e voi? Anna Rossi Responsabile Relazioni Esterne Onerpo Docente di Business English – Facoltà di Scienze Sociali- Roma Li, 06 settembre 2010 FIRMA L’APPELLO CONTRO LA LAPIDAZIONE

COSTITUZIONE DA BERE

(pensieri liberi di un politico “alla moda”)

E’ lei la colpevole. Non prende compensi. Non cambia vestiti a gusto di Pigmalione. Dà i numeri e li interpreta a suo modo. Se la crede, eccome se se la crede! Anziana com’è farebbe bene ad andare in pensione e lasciare il posto ad altre più avvenenti e moderne. Che dobbiamo farcene di lei? Bisogna assolutamente sostituirla. Sì, dobbiamo proprio farlo e interrompere quei suoi vaneggiamenti su diritti, doveri, dignità, lavoro. Ci ha stancato con i suoi numeri. Insomma dà proprio fastidio la cifra del suo impegno. Animo, leggerezza ci vuole! Cambiamento, globalizzazione e vita nuova! Per esempio in questi giorni il numero 41 che ritorna come un tormentone. Che vuol dire Lavoro sociale? Roba di altri tempi. Il lavoro è lavoro e basta. I lavoratori della Fiat di Pomigliano devono essere “inquadrati”, e scordarsi che il 41 sia tollerabile quando considera ancora attuabile la frase: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana…” Questa è pura follia! Se io ti dico che ho bisogno di mettere le pari opportunità tra i cinesi, i polacchi e gli italiani, tu che fai, mi metti davanti i fini sociali? Ma i fini d’impresa? Questi contano. I tempi son cambiati. C’è concorrenza, c’è! E basta con questi egoismi. La globalizzazione non è forse un livellamento planetario dei diritti sociali? Mica vi illudevate di livellare i cinesi e gli indiani verso l’alto? E’ al contrario che si fa! Di che vi lamentate? Non si pretende infine di dare le frustate come nei call center! Noi non diamo frustate cambiamo i diritti fondamentali alle origini. Perché se c’è da lavorare è questo che conta. Si lavora sempre. Di notte, di giorno, e poche chiacchiere. Facciamola finita con il diritto di sciopero… A ordine si obbedisce. Punto. O volere o volare. Se no si va in Asia, in India, a produrre con costi cinesi e ricavi europei! Anche questo è diritto d’impresa. Di che dignità parli lavoratore? La fabbrica è la tua famiglia, il datore di lavoro vuole il tuo bene. L’utilità sociale è nella ricchezza. La mia, che quando guadagno, guadagno io, quando perdo, perdiamo noi. Così è una vera condivisione del rischio! Ve lo condividete tra tutti voi salariati, non siete contenti? Mal comune mezzo gaudio. Come pure l’art. 3. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Ma che cavolata! Come si può pensare che un leader di successo possa essere trattato come uno qualsiasi. E’ comunista la femmina che porta avanti questi numeri! Il numero 18 poi “ (…) Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”. Ma che pirlata! Le associazioni devono essere segrete se no che gusto c’è? Il problema è invece che di segreto resta ben poco e con le intercettazioni scoprono i fatti da tenere nascosti. Roba che il popolo non può capire ed è per il loro bene che è meglio non dare ansie su come si spendono i quattrini pubblici, chi guadagna chi perde, chi fa favori chi li prende. La gente non può capire ed è meglio non far sapere. Senza intercettazioni non si sarebbe mai saputo che Scajola era stato, suo malgrado, beneficiato di una casa con 900 mila euro. In fondo son fatti suoi. La casa è un diritto anche per un ministro, o no? L’avete sentita quella femmina quando si fissa con il numero 21? E il ventuno di qua il ventuno di là. Ma cos’avevano bevuto i padri costituenti quando hanno scritto il testo: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Col cavolo! Regolamentiamo invece. Legge bavaglio la chiamano. Esagitati. Comunisti due volte. Io ho l’esigenza di cambiare soprattutto qui. Non si permetteranno più intercettazioni che rompono il nostro progetto di leadership e mettono in discussione tutto. C’è, adesso, troppo spazio ai facinorosi, e a strampalate idee di parità di trattamento tra uomini e donne, bianchi, neri, agnostici, religiosi… Il numero 51 è quello che non si sa che cosa reclami: “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini…”. Che presunzione! Ma siamo matti? Altro numero bizzarro è il 37: ”La donna lavoratrice ha diritto alle stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. “Ma se vanno in pensione prima! Son strane ‘ste donne. Come si fa a farle guadagnare uguale. Costano di meno perché poi devono andare a casa a fare il resto. Non è che poi pagandole troppo si esaltano e a casa non fanno il loro dovere: lavare, stirare, cucinare, far da badanti!”. Che incoerenza. Tutte vogliono andare in pensione prima e l’unica che non riusciamo a mandar via è lei. Questa qui che dà i numeri da sessant’anni e rompe l’equilibrio. Il mio. Il problema che ci son troppi che la difendono anche dal mio schieramento. Non capiscono che un’azienda è un’azienda e il pensiero unico di colui che comanda è quello vincente. Se potessi fare a modo io, come sempre ho fatto, avrei già risolto. L’avrei cambiata e buona notte! L’avrei anzi “sostituita” con un’altra. Così si fa, e così molti di noi fanno, anche dallo schieramento opposto. Specie in politica dove occorre stare attenti a chi ci può dare confronti sulle idee. A donna adulta si sostituisce donna giovane, meglio se minorenne. A donna competente, si sostituisce donna libera e anagraficamente allettante. Cosa crede di essere questa signora Costituzione? Insostituibile? Non è femmina anche lei? Allora è rimpiazzabile come tutte le femmine. Così seria, autorevole, prestigiosa, altera. Democratica dicono. Ma facciamola finita! Ce l’ho io in mente che cosa è la libertà della democrazia. La democrazia è quella situazione in cui niente è inamovibile quando c’è di mezzo il vantaggio di chi comanda. Quello che mi occorre è una bella Costituzioncina, giovane-giovane. Qualcosa da conformare alle mie esigenze, da usare a piacimento, pagare e mollare quando non serve più. E’ questo il concetto di gentil sesso che mi piace. Diciamo la verità, la Costituzione mi piacerebbe libera, modificabile, assoggettata, emancipata e remunerabile. Come una escort, come una delle tante belle ragazze premiate con candidature e assessorati. Ripensandoci mi sovviene come sono sempre stato generoso con le donne! In tante mi sono grate. Lo sarebbe anche lei se non si desse troppe arie. Troppo ancorata al passato. Pessima femmina. Non fa per me. Il sistema funziona così. Lei se ne andrà. Non la cambierò solo parzialmente. La “sostituirò” con una giovane, pronta, libera e sottomessa. Intelligente, mica no. Perché a me le donne piace valorizzarle. Un po’ zoccola, un po’ sorella, un po’ madre un po’ amica. Una da mettere sotto. Vivace e spiritosa, leggera e rinfrescante, carina e dissentante. Una bellissima nuova “Costituzione da bere”. Wanda Montanelli

IL TAMBURINI VENETO

I soldi delle tangenti aumentano i costi pubblici e rubano il futuro agli italiani Dove vanno i nostri soldi? Ad arricchire patrimoni di gente che s’è data alla politica per arraffare a piene mani valori, posizioni di potere, ruoli istituzionali, incarichi di consulenza, tangenti. Ladri di beni pubblici, ladri di futuro. Ladri di polli dice Berlusconi e concordo in questa valutazione soltanto riguardo alla povertà morale di furfanti paragonabili a miseri malviventi che si buttano a trafugare tutto ciò che capita. In verità il conto economico in questa Italia così frodata è alto, non si tratta solo di pennuti, ed è alto anche perché si ruba in troppi. Una volta si prendevano tangenti per finanziare partiti, ed era uno solo per ogni fazione che in genere se ne occupava. Oggi che le ideologie sembrano finite, c’è la privatizzazione dello scambio di favori pubblici. Ognuno ruba per sé, per la famiglia, i figli, i parenti vicini e lontani, e così facendo questo flusso di benefici ad uso privato non ha mai fine. Si può moltiplicare per migliaia di possibilità di accesso al denaro pubblico, catene di devianze, aumenti incalcolabili di costi di appalti; saturazione di ogni possibile intervento, consulenza, posto di lavoro, incarico politico, chance artistica, concorso. Questi fanno tana su tutto e chiudono ogni possibilità di accesso al resto del mondo. Sprangano le porte a candidati con le carte giuste per concorrere a questo o quell’incarico, oppure a imprenditori che potrebbero offrire interventi “sani” a prezzi competitivi e invece restano al di fuori delle cricche che hanno voce in capitolo in piccoli, medi e grandi appalti. Tutto. Mettono le loro manacce su tutto. E quando si sono accorti che le donne con le loro lotte hanno ottenuto un po’ di attenzione sul diritto alle pari opportunità, si sono beffati delle legittime istanze femminili ed hanno salutato come ulteriore colpo di fortuna la questione delle quote rosa. Come se le donne non avessero portato avanti lotte decennali per dare un senso agli articoli 3, 2, 51 della Costituzione ma invece lo avessero fatto per trovare collocazioni alle loro propaggini di sesso femminile. Hanno così tinto di turchino anche le quote rosa e senza neanche un minimo di decoro sono andati a cercare tra le loro amanti, sorelle, mogli e affiliate, soggetti disponibili ad occupare anche gli spazi creatisi in sostegno alle pari opportunità. Così ogni tassello del puzzle è incollato da loro stessi. Loro che con prevaricanti quote celesti occupano l’80-90 per cento dei ruoli decisionali si attivano perché “non sia mai” che qualche spazio non sia riempito da derivazioni di sé che ne assicurino il controllo. Il danno e la beffa in tasca alle femministe. In disprezzo delle donne autonome e con idee che non siano le loro. Questo sistema ha fatto sì che le briciole rimaste non risolvono i problemi del paese. Il governo risanante delle donne è ancora lontano. La coperta si fa cortissima e restano all’aria tanti vitali settori della vita pubblica come scuola, sanità, ricerca, imprenditoria. L’ingordigia di chi ha troppo e non considera le situazioni disperate di tanti italiani sia dipendenti precari che piccoli imprenditori. Ma a questi ingordi non interessa. Fingono di darsi una mossa per gli altri ma sin dal primo giorno del loro mandato pensano ad acchiappare tutto l’acchiappabile. A parte le loro vite dorate, tutto resta provvisorio. Non si investe nella crescita perciò sono ladri del futuro. Un gruppo di fisici italiani, impegnati in progetti di ricerca internazionali con il Cern in Europa e il Fermilab negli Stati Uniti, in seguito al DDL 144-quater approvato il 15 ottobre alla Camera e alla legge 133/08, ha dovuto scrivere un’istanza rivolta ai membri di Camera e Senato perché 600 ricercatori e tecnici dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare rischiano di dover abbandonare la ricerca. Troppi sono gli studiosi di talento costretti ad andarsene dall’Italia o condurre una vita da precari. Tra loro Fabrizio Tamburini astronomo che vive con poco più di mille euro al mese e con contratto provvisorio dovuto a finanziamenti di alcune banche-sponsor. Questo geniale scienziato invitato al Celsius Symposium 2010 in Svezia, riesce a portare avanti le sue ricerche resistendo ancora a non fuggire via come gli altri nostri scienziati esuli all’estero. Ricercatore del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova, collabora con i professori Barbieri, Bianchini e Romanato e, partendo dalle premesse poste da Ettore Majorana, è lo scopritore in campo elettromagnetico delle vorticità ottiche, (o momento angolare orbitale della luce) che permetteranno di potenziare la capacità di dettaglio visivo del telescopio e del microscopio, con applicazioni non solo astronomiche, ma anche mediche. La sua è una tecnologia rivoluzionaria che se applicata alle onde radio, potrà contenere in una sola frequenza fino a 100 canali al posto degli attuali 5. Le sue ricerche svolte in collaborazione con il professor Bo Thidé dell’Università di Uppsala hanno suscitato l’attenzione della comunità scientifica internazionale perché tra l’altro permetterà, grazie alla nuova tecnologia di vedere buchi neri rotanti, una sorta di cilindri d’accesso a viaggi nel tempo fino a oggi mai osservati. La cosa strana è che tra i colleghi scienziati internazionali il Tamburini veneto è l’unico ad avere la paga da precario e scherzando in un’intervista risponde a chi gli augura il premio Nobel che è meglio il Superenalotto. Ma con tante contaminazioni, vista l’esperienza del lotto, siamo sicuri che il Superenalotto sogno-gioco degli italiani non sia truccato come gran parte dei luoghi dove scorre il denaro? Wanda Montanelli, 15 maggio 2010