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PERSA SENZA APPELLO LA PARTITA DEL LIBERISMO SPINTO COSTRUIAMO L’ALTRO MONDO POSSIBILE

E’tempo della contaminazione tra la farina del pane e i byte delle transazioni finanziarie (E VOI BALLATE 3) Pil in picchiata nel 2009 al – 4,3%. Inflazione all’1,2. E il tasso di disoccupazione al 9,2% e al 10,7%. Le stime diffuse nell’Economic Outlook dall’Ocse registrano l’accelerazione del declino. Per la crisi economica italiana e mondiale si invoca a gran voce il ritorno della politica. Si chiede più politica e meno mercato contro l’avidità del libero scambio distruttore del bene comune che ha favorito i ricchi ed i potenti lasciando il resto degli uomini in forti disagi quando non in vera e propria povertà. Il liberismo spinto è fallito perché non ha colmato la rinuncia ideologica dei movimenti operai, così come non si riempiono i frigoriferi con le chiacchiere. Il movimento dei lavoratori rappresenta il grande assente all’appuntamento con la smisurata situazione di crisi globale. Le lobbies finanziarie e politiche che hanno preteso la fine delle ideologie non sono riuscite a dimostrare che l’unica ideologia rimasta, quella del liberismo spregiudicato fosse vincente. Hanno perso anche loro, così come scadono le merci nei magazzini. Sentire che occorre scegliere, con gli stanziamenti del governo, tra promuovere la produzione o dare subito un sostegno ai privi di reddito pare un’alternativa assurda, quando tutti sanno che se si promuove la produzione e non c’è chi acquista le merci che si produce a fare? Inventiamo allora i negozi “a credito”, con il quadernino dalla copertina nera dove i droghieri un tempo usavano scrivere l’importo della spesa di chi non pagava al momento. Soldi veri e subito, ha chiesto Emma Marcegaglia. Finalmente si comincia a capire che se la gente non ha soldi in tasca poi chiudono le fabbriche e le saracinesche dei negozi. Si ritornerà alla concertazione con tutte le rappresentanze dei lavoratori? Auguriamoci che si riesca a capire che dare dei soldi a chi proprio non ce l’ha, nonostante si sforzi di essere ottimista, può essere la soluzione di inizio. L’impulso di partenza al virtuoso giro di acquisti di beni e servizi che entrano in circolo consumo-produzione, quindi lavoro, quindi aumento del Pil. Troppo semplice? Demagogico?. Le semplificazioni non piacciono anche quando costano meno e fruttano di più. Meglio dar fiducia, secondo teorie di comodo che strizzano l’occhio ai dissestatori, a certe banche che hanno scientemente contribuito al disastro nell’attuale economia, o a spregiudicati uomini d’affari, imprenditori e finanzieri che hanno intrappolato i consumatori in una fitta ragnatela di chimere economiche e politiche con la gestione di un’economia a delinquere. L’illusione neo-liberista analizzata a fondo da René Passet, professore emerito all’Università di Paris-I-Panthéon-Sorbonne, presidente del consiglio scientifico del movimento “Attac” (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie per l’aiuto ai cittadini), identifica un nuovo tipo di economia che modifica i nostri rapporti con il tempo, lo spazio, la società. I nostri responsabili politici – scrive Passet – persistono nel credere all’irreversibilità e all’universalità di un sistema che pretende di essere liberale. Tutti, siano di destra o di sinistra, applicano le stesse ricette: deregolamentazione, sottomissione alle leggi del mercato, produttivismo sfrenato. […] Il sistema produce effetti terribili, che rischiano di divenire irreparabili (avvicinati nel tempo e nello spazio, gli uomini sono sempre più allontanati tra loro da disuguaglianze crescenti) e generare precarietà, povertà ed esclusione sociale. La natura è in degrado, la catastrofi naturali si moltiplicano, tutto, anche la vita, viene mercificato.[…] La svolta con cui abbiamo adesso a che fare si annuncia ancora più decisiva: col computer, con l’informatica, l’umanità esce dalla fase del suo sviluppo fondata sull’energia ed entra in un’altra, dominata dalle forze dell’immateriale. Non ci meravigliamo, dunque, se la nave beccheggia e se dobbiamo aggrapparci all’albero maestro [..] è urgente invertire l’indirizzo liberista, mettendo l’uomo e il vivente al centro di ogni attività economica per costruire una società diversa. […] Non si tratta più di ripristinare gli equilibri del passato utilizzando meccanismi già sperimentati, ma di definire nuovi adeguamenti a nuovi strumenti. Trattandosi d’impiego, ad esempio, è il problema della sostituzione dell’uomo da parte della macchina a dover essere affrontato, insieme a quelli del tempo di lavoro, delle sue forme, del suo ruolo sociale. Si richiedono politiche che vadano ben al di là dell’aggiustamento congiunturale: sono politiche a lungo termine, riguardanti le strutture, i modi di funzionamento e le regole della vita economica. Altrettante nuove terre da esplorare. Gli attentati agli equilibri sociali marciano in parallelo con gli attentati globali all’ambiente. Sono minacciati i meccanismi regolatori del pianeta: il buco nell’ozono stratosferico compromette il filtraggio dei raggi ultravioletti, grazie al quale la vita ha potuto espandersi e diversificarsi; l’effetto serra minaccia la regolazione termica della Terra. Il passaggio alla dimensione globale impedisce che si possa continuare a parlare di disfunzioni.[…] Si scontrano due logiche: quella dello sviluppo economico e quella delle regolazioni naturali, la prima delle quali minaccia di distruggere la seconda e per ciò di liquidare ogni sostegno della vita umana. […] Si afferma allora il tema dell’emergere di un’economia dell’immateriale. […] Si dicono liberisti, poiché hanno bisogno di una bandiera e di una ragione sociale, ma è un altro imbroglio. Che liberismo è questo, dove un centinaio di nuovi “padroni del mondo”, grandi signori delle transnazionali, dominano il pianeta? Che criterio è questo, secondo cui gli Stati devono consegnare alle imprese le chiavi del settore pubblico e della protezione sociale, ma con beneficio d’inventario – in nome, ovviamente, dei rischi della concorrenza – sotto pena di citazione in tribunale? Non è certo il liberismo dei padri fondatori: nel 1776 Adam Smith denunciava inequivocabilmente lo sfruttamento del debole da parte del forte; e non parliamo di Marx. No, non permetteremo si dica che questo mondo, in cui la logica finanziaria detta legge su tutto, corrompe tutto e distrugge il senso delle cose, è un mondo necessario. Un altro mondo è possibile: sta nascendo sotto i nostri occhi, è alla portata delle nostre mani, dipende da noi far si che ne fioriscano le promesse”. Perché sia possibile cercare un altro mondo occorrono nuove intelligenze in politica, nel sociale e nelle istituzioni. Nel mondo del commercio e dell’imprenditoria è lenta la maturazione per accettare la inevitabilità di concertazioni. Da soli non si arriva lontano, soprattutto la frase “soldi veri e subito” la coniugherei con l’impatto del virtuale ormai entrato nelle nostre vite e con cui dobbiamo fare i conti. Si spostano denari e merci in pochi istanti con un collegamento internet e se pure gli stessi finanzieri poi hanno bisogno per vivere di “tangibilità”, cioè cibo, oggetti, abbigliamento, case, hotel, non si può continuare a credere che il mondo parallelo delle transazioni sia a loro esclusivo vantaggio, dimenticando che tutto quanto permette la nostra sopravvivenza è dovuto al fatto che un contadino butta i semi sulla terra arata, e un fornaio passa metà della notte a fare il pane. Cosa esiste di più concreto del pane? Eppure è necessaria la contaminazione tra la farina del pane e i byte delle transazioni finanziarie. A meno che non credano i banchieri e i manager finanziari di poter infornare da se stessi ogni notte le pagnotte, ogni mattina innaffiare l’insalata da taglio e ogni pomeriggio imbastirsi i vestiti, devono contribuire a dare, in proporzione ai loro guadagni la quota parte che permette al resto del mondo di esistere, vivere, gioire, produrre. Guarire dalle malattie e dalla fame, trovare una luce in fondo al tunnel della disperazione. La contaminazione riproposta da René Passet e dall’Attac, già ideata da James Tobin nel 1972 e denominata Tobin Tax; ripresa poi nel 1997 da Ignacio Ramonet redattore di Le Monde diplomatique (in “Disarmare i mercati”) dopo vent’anni, ritornando a proporre un’aliquota tra 0,05 e l’1% in tutte le transazioni dei mercati valutari per stabilizzarli e procurare delle entrate per la comunità internazionale, che ammonterebbero secondo i calcoli a circa 166 miliardi di dollari, il doppio della somma annuale utile a sradicare la povertà nel mondo. L’Attac è divenuta una finalità del movimento antiglobalizzazione, che Ramonet disconosce (“hanno preso in ostaggio il mio nome – dichiara – io non ho assolutamente niente in comune con questi ribelli antiglobalizzazione. Naturalmente sono compiaciuto […] Sono un economista, e come molti economisti, io sostengo il libero scambio”) pur confermando a distanza di anni la bontà della Tobin Tax che è argomento molto discusso non solo nelle istituzioni accademiche, ma anche tra la gente comune e nei parlamenti di Regno Unito e Francia e di tutto il mondo. In Canada è stata ampiamente rianimata grazie agli sforzi degli attivisti canadesi negli anni 1990, e nel marzo 1999 la Camera dei Comuni canadese passò una risoluzione diretta al governo per “promulgare una tassa sulle transazioni finanziarie in concerto con la comunità internazionale.” Nel Sud America la Tobin è stata appoggiata dal presidente venezuelano Hugo Chàvez, che ha recentemente annunciato lo studio di un’implementazione della tassa, e dal brasiliano Luiz Ignacio Lula da Silva, tra i pochi, a quanto sembra, ad avere le idee chiare in questo momento: “La crisi è colpa di gente bianca con gli occhi azzurri”. Un sostegno inatteso alla Tobin tax è arrivato dallo speculatore multimilionario George Soros, il quale ha dichiarato che, mentre la tassa va contro i suoi interessi personali, crede che la sua introduzione avrà effetti positivi sull’economia mondiale. La “rivoluzione keynesiana” dell’economista britannico, padre della moderna macroeconomia, John Maynard Keynes, primo Barone Keynes di Tilton scomparso nell”83, ha sostenuto la necessità dell’intervento pubblico nell’economia con misure di politica fiscale e monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregatata non riesca a garantire la piena occupazione. L’idea non è di oggi, anche se adesso si è nell’urgenza di passare dalla teoria alla pratica. Agire con interventi immediati per dare l’input alla vita di tutti i giorni con gli acquisti di alimenti, prodotti e servizi, e contemporaneamente pensare a qualcosa di strutturato per comprare il futuro. Progettare, investire, impegnarsi. Uscire dal guado della precarietà. Immaginare che la mobilità debba essere una scelta per migliorare la propria condizione lavorativa. Per programmare un futuro in acquisto, fatto anche di impegni a lungo termine per pagare l’affitto di casa, o il mutuo; permettersi dei figli, e dare vita a un mercato straordinario fatto di mobili, elettrodomestici, tendaggi, stoviglierie, e se la famiglia cresce pannolini, biberon, baby creme, latte, scarpine, e scuola e quaderni e libri, e vestiti, e vacanze per tutti. Invece è tutto fermo. Qualcuno si muove lì sulla nave in avaria. Sono coloro che hanno scelto di ballare potendo invece fare scelte diverse per “mitigare – come suggeriva J.M. Keynes – il predominio della speculazione sull’intraprendenza. Non certo l’assonante Robin Tax, del ministro Tremonti, che evoca la mai applicata Tobin Tax presentata come tassa sui petrolieri e di fatto consistente in una tassa sull’Eni pagata al 30% dallo Stato, cioè noi stessi. Il gioco delle assonanze e le comunicazioni suggestive prosegue ora con la i Tremonti bond con previsione di centri di controllo collegati alle Prefetture che dovranno verificare che i finanziamenti (obbligazioni speciali) finiscano davvero nell’economia. La dissennatezza di alcuni istituti di credito sarà pagata dallo Stato. Per anni le autorità di vigilanza hanno tollerato che le banche facessero bilanci irrealistici collocando come attive obbligazioni di dubbia qualità e partecipazione in società fatte apposta per nascondere la realtà, titoli tossici, ecc. Intanto Nicolas Sarkozy alla vigilia del G20 di Londra chiede risultati storici, perché la crisi è troppo grave. Il presidente americano Obama, vedette del vertice anche per celebrazioni di venerdì a Strasburgo per il sessantesimo anniversario della Nato, oggi incontrerà il presidente russo Dmitri Medvedev e quello cinese Hu Jin¬ta. Barack è in pieno accordo con la cancelliera tedesca Angela Merkel e chiede misure di forte impatto nell’opinione pubblica e so¬prattutto la certezza di tempi e scadenze. La preoccupazione giustamente incombe sui capi di stato. I segnali di possibili degenerazione della protesta sono già registrati. Quattro dirigenti della Caterpillar di Grenoble, in Francia, sequestrati dagli operai che contestano un piano di licenziamenti di 733 persone, e stessa sorte è toccata all’imprenditore Pinault, proprietario, tra innumerevoli altre cose, della Gucci. In Inghilterra il distretto finanziario di Londra si é blindato per il timore delle manifestazioni di gruppi violenti previste in occasione del vertice G20. Ai bancari della city è stato suggerito di andare a lavorare senza il completo scuro di ordinanza, e i diversi istituti di credito hanno rivisto i loro sistemi di sicurezza. Episodi oramai non più isolati, che si aggiungono alle contestazioni ai manager dell’Aig, come della Royal Bank of Scotland, o a quelli della Sony francese e della 3M Santè che sono stati presi addirittura in ostaggio dai propri dipendenti. Appena meglio è andata al direttore della Continental, Louis Forzy, fischiato e bersagliato da lanci d’uova marce. In Italia abbiamo la dichiarazione del premier Berlusconi che la crisi è grave e che bisogna davvero “produrre” sorrisi e ottimismo non semplicemente limitarsi a suggerirlo. Che sia arrivato il momento di interrompere il ballo e fermarsi a fare le scelte giuste per evitare l’iceberg? Roma 1 aprile 2009 Wanda Montanelli

La compromessa vicenda degli intrecci finanziari d’assalto

. (2. E voi ballate) Rovigo il 13 marzo 2009, all’assemblea degli Industriali si è sentito il grido d’allarme della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che ha ammonito: “La crisi è profonda e pesante. Il vero problema è che la crisi oggi colpisce soprattutto l’industria manifatturiera, colpisce soprattutto il Nord e le imprese migliori, quelle che hanno investito di più, quelle che esportano e che oggi si trovano con fatturati tagliati del 30, 40 e 50% “. La numero uno della Confindustria dichiara con l’occasione di non condividere alcune decisioni governative, come quella per il Ponte sullo Stretto, poiché si devono invece destinare più soldi per completare tutte le piccole opere che potrebbero partire subito. Bersani l’esponente del Pd rinforza da par sua le reiterate richieste di Franceschini sull’assegno ai disoccupati e su una manovra che garantisca un rientro di somme da impiegare anche per le piccole imprese, attraverso misure efficaci come il contrasto all’evasione fiscale e il controllo di alcuni meccanismi di spesa pubblica. Il deciso intervento in Veneto di Emma Marcegaglia chiede poche cose al Governo, molto chiare, per uscire da questa crisi. “Certe cose – ha detto – non possono più essere accettate in un Paese diviso a metà: da una parte chi lavora e affronta la crisi e dall’altra chi vive di spesa improduttiva”. Nella sua analisi del difficile momento economico, ha insistito sulla necessità che le banche facciano la loro parte e che sul controllo, oltre alla vigilanza dei Prefetti, ci sia un ”ruolo attivo anche del mondo imprenditoriale” Giusto. I controlli. Da noi, e dovunque il problema è tra i più dibattuti. Ad alcuni mesi dal default di Lehman Brothers, il mondo è impantanato in una palude economica. Di fronte alla massa di denaro pubblico che i governi devono impegnare per salvare le banche, negli Usa, in Germania e in Gran Bretagna si cercano cambiamenti nei controlli. Gli Usa hanno attaccato il segreto bancario svizzero, in un braccio di ferro con il colosso Ubs. In Europa ugualmente ci si attrezza e Dominique Strass Kahn direttore del Fmi intende affrontare la questione a colpi di dinamite. I paradisi fiscali in cui le banche, anche italiane, hanno società sono: Cayman, Bermuda, Nauru, Panama. Poi vi sono società partecipate in Lussemburgo, Montecarlo, Svizzera. Difendersi dai raggiri è una nuova consapevolezza da acquisire per i risparmiatori. Dopo la mela avvelenata dei mutui immobiliari sub-prime che ha provocato disastri da far crollare le economie americana, europea e asiatica, hanno stabilito record negativi i raggiri di diversi avventurieri della finanza, tra cui Bernard Madoff, accusato di aver ha derubato almeno tre milioni di persone per circa 50 miliardi di dollari, l’imprenditore nipponico Kazutsugi Nami, arrestato a Tokyo con l’accusa di aver truffato 37mila persone per 126 miliardi, il finanziere texano Robert Allen Stanford, che si ritiene abbia messo in piedi un imbroglio da otto miliardi di dollari promettendo ai clienti rendimenti annui del 10 per cento; come pure Charles Ponzi e Richard S. Piccoli che sono riusciti a truffare negli States cittadini e piccoli risparmiatori con una sorta di catena di Sant’Antonio a largo raggio. I liberal americani da Thurow a Krugman hanno denunciato la deregolamentazione selvaggia nella finanza e puntato l’indice verso le responsabilità della Federal Reserve e nelle norme di Bretton Woods (dalla conferenza nell’omonima cittadina New Hampshire da cui derivarono nel 1944 nuovi accordi in campo monetario). In Italia la legge tutela i risparmiatori e le banche possono essere condannate al risarcimento tramite sentenza. E’ da esempio il giudizio sull’anatocismo, cioè gli interessi sugli interessi illegali, vinto in Cassazione dall’avvocato Roberto Vassalle di Mantova, uno dei legali più noti in Italia che in Tribunale ha avuto ragione anche sul rimborso dei Bond argentini. Ci si chiede quanto pesa l’origine sociale e la diffusione del precariato nella crisi finanziaria. Emiliano Brancaccio, docente di Macroeconomia presso l’Università del Sannio e membro della consulta economica della FIOM conferma che il punto per individuare le radici della crisi si trova rievocando il conflitto tra capitale e lavoro. “La crisi in corso – afferma il prof. Brancaccio – può esser letta come un riflesso della pressoché totale assenza di quel conflitto a livello globale. Tutto parte da una constatazione: la debolezza del movimento dei lavoratori ha fatto sì che venisse creato un mondo di bassi salari. Questo mondo però è strutturalmente instabile, e adesso iniziamo a rendercene conto. Ogni paese oggi punta a tenere bassi i salari e la domanda interna, e cerca quindi all’esterno dei propri confini uno sbocco per le proprie merci. Questo meccanismo nel corso dell’ultimo decennio ha funzionato grazie al fatto che gli Stati Uniti hanno agito da “spugna assorbente” delle eccedenze produttive di tutti gli altri paesi. Tuttavia, questa “spugna” funzionava non certo perché i salari dei lavoratori americani fossero alti, ma perché negli USA montava un debito privato colossale, in grado di finanziare qualsiasi eccedenza di spesa rispetto ai redditi. […] Il sistema era ormai talmente drogato che permetteva a un operaio di pagare i debiti di un mutuo accendendo un nuovo prestito, e di rimborsare i soli interessi del prestito attivando una carta di credito, e così via. Insomma, parafrasando un grande economista, Hyman Minsky, potremmo parlare di “ultra-speculative working poors”, cioè di poveri tramutati loro malgrado in ultra-speculatori”. Un così fragile castello di carta era una bomba ad orologeria che alla fine è scoppiata, ma il problema è che a pagarne le conseguenze potrebbero essere ancora una volta i lavoratori, mentre i padroni di Wall Street, che hanno fabbricato quella bomba, potrebbero addirittura guadagnarci. E l’ironia delle conseguenze sta proprio nel fatto che i fautori del liberismo a tutti i costi rientrano dalle loro perdite o ci guadagnano grazie all’intervento dello Stato. Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, è convinto che ci sia il rischio reale per gli Usa di entrare in una “malattia giapponese”, una recessione “lunga un decennio” come quella che ha colpito il Giappone negli anni Novanta ed a tal proposito ha dichiarato che I il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, è stato eccessivamente ottimista a dire che nell’arco di tre anni l’economia degli Stati Uniti uscirà dalla crisi. Bernanke spiega che il piano di capitalizzazione degli istituti prevede che il Tesoro acquisti azioni privilegiate a seconda delle necessita’ nelle 19 maggiori banche del paese dopo averle sottoposte a uno ‘stress test’ con il quale determinare quanto capitale sarebbe necessario per far fronte alle perdite nello scenario peggiore. “Non ci sarà alcuna implicazione di controllo fino a quando le perdite previste nel caso peggiore si verifichino” Wanda Montanelli ( to be continued…)

E VOI BALLATE…

Il mondo va a picco come il Titanic, ma gli storditi dal benessere si illudono davvero che esistano le caste protette ad oltranza Il profumo dei soldi ottenebra anche le menti più acute e all’interno dell’area di sperpero di beni e servizi utilizzati nella vita agiata non si pensa al mondo che c’è là fuori. Mi viene in ricordo il Titanic e tutti i ricconi che mai avrebbero immaginato che l’isola viaggiante derivata dal super progetto di William Pirrie e Thomas Andrews avesse potuto inabissarsi. Il Titanic era considerata una nave assolutamente sicura, al punto che fu detto che “neppure Dio avrebbe potuto affondarla”… Aveva una stazza di 46.328 tonnellate e poteva trasportare 3537 persone. A bordo il lusso era la parola d’ordine, gli alloggi sfarzosi dotati di soggiorno con sala di lettura, palestra; e per il tempo libero piscina coperta, bagno turco, campo di squash. Adesso, in questo ottuso ignorare le tempeste che agitano i mari su cui poggia l’ordine mondiale, che fanno i ricchi? Come sul Titanic continuano a ballare, pensando erroneamente che loro non saranno travolti dai flutti dell’oceano di povertà e sofferenza in cui sta annegando tanta gente. Uso l’aggettivo “ricchi”, perché finalmente si può tornare a parlare di ceti sociali senza timore di apparire ancorati al passato, al tempo in cui esistevano i poveri che si distinguevano in maniera chiara ed evidente dai ricchi. Pensavamo ormai superato quel tempo per dei passaggi che hanno portato via via all’uniformazione epidermica, puramente ingannevole nella sostanza, dato che la conquista paritaria di benessere sociale mai si è completata. Dal dopoguerra in poi in Europa si era cambiato modo di vestire e talvolta di vivere. In Francia gli operai avevano iniziato ad andare in giro con la chemise Lacoste mentre in Italia avveniva quell’omologazione dovuta all’avvento della cultura di massa spiegata da un interessante punto di vista di Pier Paolo Pasolini alla fine degli anni ’60. Secondo Pasolini il livellamento culturale riguardava tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale si uniformava attraverso lo strumento televisivo, visto che il Potere voleva (come vuole) che si parli e si agisca in un dato modo. Non c’è parola che un operaio pronunzi in un intervento – scriveva Pasolini – che non sia “voluta” dall’alto. Ciò che resta originario nell’operaio è ciò che non è verbale: per esempio la sua fisicità, la sua voce, il suo corpo; pertanto unificare i linguaggi alla media televisiva significa controllarli all’interno di un unico mondo-lingua, fatto di espressioni e slang comuni modellanti una nuova coscienza di classe “televisiva”, una super-classe che abbatte le classi tradizionali in un superamento delle differenze, tuttavia fittizio e virtuale. Se un tempo l’operaio vestiva con la tuta e si esprimeva con un suo linguaggio, oggi che questa differenza si è persa risulta perdente anche la forza di classe. Per i salariati il vestito conformante è una conquista falsa e mai come in questo caso si può dire che “l’abito non fa il monaco”, perché il tutto è dovuto al medium di massa incontenibile e tracotante, che forgia, omogeneizza, appiana le differenze sia linguistiche che comportamentali, sia intellettuali che di classe. Secondo Pasolini non c’è niente di più feroce della banalissima televisione La mediazione che diventa un Tutto e tutto canalizza in direttive comportamentali che si innestano nell’uomo mutandolo e ammansendolo. La distinzione tra ricchi e poveri, non è qui indicata per incoraggiare un’avversione di classe ma per capire. Secondo il rapporto Eurispes 2009 gli italiani che possono contare su un capitale superiore ad un milione passano nel giro di tre anni a un incremento del 98%, e nel 2010 saranno 712 i paperoni storditi dall’opulenza e come sul Titanic frastornati al suono dei violini. Da noi come altrove le categorie dei marpioni a qualunque titolo e ruolo in quanto referenti dell’attuale disordine mondiale vivono la distrazione musicale e ballando ignorano gli richiami all’ordine. Parimenti sull’inaffondabile transatlantico fin troppi furono i messaggi ignorati. Era, ricordiamo, il 14 aprile 1912, e alle 13.30 la nave a vapore Baltic avvisò il capitano del Titanic che a 400Km di distanza dalla loro rotta era presente del ghiaccio. Il messaggio fu preso sottogamba. Alle 13.45 arrivò un secondo comunicato da parte del batiscafo Amerika, ma non giunse mai al ponte di comando. Un terzo avvertimento da parte del Californian che sostava bloccato tra i ghiacci segnalava la presenza di grossi pezzi di ghiaccio nella rotta del Titanic, però l’operatore radio del Californian fu zittito perché in quel momento il marconista del Titanic, stava inviando i messaggi personali dei passeggeri. Alle 23.40 le vedette avvistarono un iceberg praticamente davanti alla nave e il resto lo sapete. Qui mi viene in mente l’arguto aneddoto che raccontava Nino Manfredi sul canotto inviato tre volte dal santo protettore al suo protetto che era così convinto di essere unto dal Signore da pretendere di passare al guado le acque alte di un torrente. Tanto erroneamente convinto da soccombere e poi deplorare il mancato soccorso una volta giunto in Paradiso. I tre canotti in aiuto non erano stati presi in considerazione, né era stata avvertita l’imminenza del pericolo. Forse la sopravvalutazione di sé implica anche il diritto di scelta del come salvarsi? Non è così, occorre stare attenti anche quando i problemi sono fuori dall’immediata circostanza, ed è curioso constatare, tornando al Titanic, come “i messaggi personali dei passeggeri” contavano più di ogni altra cosa. L’errore di poter credere di aver acquistato con i soldi l’incolumità, e quindi l’intangibilità del proprio benessere dalle incidenze esterne, in quel caso l’iceberg, è stato fatale.. Ma noi abbiamo ancora qualche speranza. Wanda Montanelli ( to be continued…)

Differentemente SOCIALE

Nonostante le caste anche musicali, c’è un piccolo segnale di cambiamento nel festival di Sanremo 2009 e altrove Signorina grandi firme a imitazione della moda anni 30 ma in contrasto con l’aria di imbarazzo, gli occhiali e labbra rosse come due papaveri incollati sul viso. Arisa ha vinto e ci siamo accorti che sarebbe successo quando nello straordinario duetto con Lelio Luttazzi il maestro ottantaseienne, in un’irresistibile alchimia di ritmo e sonorità swing, l’aveva accompagnata la sera prima al pianoforte, divertendosi e moltiplicando il nostro divertimento. Tra la politica in disamina di sé, il Pd che ripara il colpo degli ultimi risultati elettorali, gli accordi in itinere dei partiti extraparlamentari per trovare una piattaforma comune per le europee. Tra le notizie sulla violenza e le annunciate prese di posizione dei sindacati in quest’Italia in crisi, che non fa torto al resto del modo, osservare il Festival di Sanremo può essere un sano esercizio per misurare il grado di maturazione della nostra democrazia; in un particolare aspetto, forse anche futile, ma che è lo specchio di come ci si muove negli ambiti del guadagno e del prestigio per trovare sentieri liberi e percorribili o riscontrare consuete chiusure come avviene in circuiti più diversi. Come quelli politici, delle professioni, delle istituzioni, e dovunque esistano mira di conquiste appetibili ai giovani. Vediamo alla lente di ingrandimento una tra le protagoniste delle nuove proposte cercando di capire perché una impacciata ragazza ha vinto il festival di Sanremo, e osservandola schiudiamo uno spaccato sociale forse degno di attenzione. Vestita di nero, con la spallina calata giù, i capelli corti, gli abiti come le ‘signorine’ di Boccassile nelle Grandi firme pubblicate da Pitigrilli, in uno stile anni 30-40 già riproposto dal trio ‘sorelle Pappini’, nato nel 2004 con icona identica nell’abito scuro e il trucco acceso. Arisa, nome ben scelto al posto dell’originale Rosalba Pippa è timida senza infingimenti, e Paolo Bonolis ne ha esasperato la delizia comica osservandola come specie rara da proteggere, tra il sornione e il tenero-protettivo; convalidandone, in aggiunta al dixieland degli accordi musicali, il successo. Bisogna anche dire che la canzone “Serenità” è incantevole, e con la direzione d’orchestra di Federica Fornabaio ci ha concesso di poter intonare un ritornello tutti, vincitori e vinti, nell’esibizione finale e commossa di Arisa. Le note positive di questo Sanremo 2009 sono presto dette, nonostante la bufala iniziale di Mina che si è solo intravista in un video sapientemente costruito che accompagnava il suo lancio discografico. Non ci siamo rimasti troppo male perché lo sapevamo e adesso, fingendo di crederci, siamo pronti a firmare di aver visto Mina a Sanremo, per essere volenterosi e premianti nello sforzo costruttivo del direttore artistico che una volta tanto dopo decenni non ci ha annoiato. Il disincanto, la vena comica dissacratoria, l’assenza di formalità del conduttore hanno aiutato la gradevolezza così come il senso del ritmo e dei tempi dello spettacolo. Superato anche il fatto che non ci ricordiamo nessuna delle canzoni in gara, o quasi, tranne personalmente quella già citata di Arisa e la sofisticata e intelligente “Il bosco delle Fragole” di Tricarico, eliminata come sempre avviene per le migliori, il cui refrain irresistibile tornerà ad allietarci riconquistando i refrattari della prima ora, è chiaro il successo nelle cifre d’ascolto. Allora che cos’è il filo che ci ha tenuti collegati a Raiuno se non il segnale di un piccolo cambiamento del rendere parzialmente accessibile ciò che un tempo era un luogo solo aperto alle discografiche con mezzi di ingresso che ben conosciamo in termini di tariffe e/o scambi in partecipazioni di artisti: un giovane sconosciuto in cambio di un big, così ci si accordava. Oppure con una vera e propria tangente di entrata, un’altra di percorrenza, e il botto conclusivo per chi voleva investire nella vittoria finale. Sì anche questa volta la presenza di Maria De Filippi ha di certo dato un valore all’esibizione del vincitore Marco Carta che dalla sua scuola di cantanti televisivi proviene. Ma non è la stessa cosa. E’una sponsorizzazione lecita. Lo hanno votato in tanti non diciamo di no, e il terreno di coltura in cui in questi anni sono cresciuti i ragazzi che quel programma seguono, ha prodotto semini che si traducono in milioni di messaggi SMS di voto. Niente di male è una forma di scelta popolare anche questa. Tuttavia il piano della ricchezza dell’offerta formativa dovrebbe prevedere un’alternativa al programma della De Filippi, qualcosa di culturalmente diverso per i giovani, anche più arduo, ma impostato su altre basi oltre all’esercizio della vocalità e del comportamento estetico. Mario Luzzatto Fegiz su Corsera ha definito la canzone vincente il trionfo della banalità. Ma chi in questo mare naviga questi pesci piglia. L’assuefazione al gusto elevato deve avvenire con il mezzo di usufruizione più comune che è la tv, oltre alla scuola e alla famiglia che sono le altre agenzie preposte a trasmettere principi e sapere. Se invece ogni giorno si trasmettono fiere delle banalità, ecco che il bisogno di entusiasmarsi dell’audience si indirizza alla semplicicità mediocre che è qualcosa di diverso dalla semplicità raffinata e suggestiva. Tuttavia Amici è un modo legittimo di aprire nuovi percorsi, come SanremoLab, il concorso promosso dal Comune di Sanremo da cui proviene anche Arisa dopo aver frequentato il C.e.t , Centro Europeo di Toscolano (Umbria) di Mogol. SanremoWeb in aggiunta è una vera e propria innovazione con la prima edizione di concorso on line in cui Ania, una cantautrice napoletana presentando “Buongiorno gente” ha vinto l’accesso alla finale del sabato sera. Uno più uno più uno fanno tre. E’ qualcosa in confronto al nulla e alle forche caudine del vecchio sistema. Sappiamo di trucchi anche con i televoti, di apparati per acquistare i consensi musicali per chi ha somme da investire. Pazienza la perfezione non si trova così presto dopo anni di negoziazioni inenarrabili. Bonolis ha registrato suo malgrado delle eliminazioni non previste. Concediamo alla direzione artistica di aver reso più leggero, demitizzato con la vena comica il festival 2009; di aver avuto qualche buon intuito come la scelta del mentore ufficiale. Ma bastava fermarsi lì perché di padrini effettivi in aggiunta che poi hanno determinato la differenza se ne poteva fare a meno. Come molti sanno, numerosi degli artisti in gara nelle nuove proposte erano sponsorizzati da qualcuno di stretta appartenenza familiare o artistica: la figlia di Zucchero Fornaciari, la figlia di Canzian dei Pooh, la corista di Lucio Dalla, Sal Da Vinci spinto da Gigi D’Alessio autore del suo brano, e così via. Niente da dire su abilità vocali, studio e preparazione scenica, ma quanti oltre a quei dieci raccomandati hanno le stesse se non migliori capacità, e forse qualche originale creazione musicale, se non una vera e propria gavetta fatta calcando palcoscenici di terz’ordine magari andando nel tempo libero fare il barista per guadagnarsi la vita? Non mi si tacci di populismo, ma mi chiedo come sia possibili uscire dall’impianto irremovibile delle caste? Perché il figlio del fornaio non può fare il notaio e il figlio del notaio non fa il cameriere pagandosi gli studi per l’università? perché la gara, le gare, della vita non esistono per tutti con le medesime opportunità in partenza? Come si può credere di cambiare il mondo se poi sono sempre gli stessi ad occupare gli stessi posti? I medesimi, in ruoli istituzionali e i figli e i nipoti li ereditano. Nelle università si fanno concorsi ad usum delfini. Nei paesini piccoli o grandi si bandiscono concorsi dove il diploma previsto dal regolamento è l’unico che il figlio del sindaco possiede. Quando si rimescoleranno le carte? Dappertutto e soprattutto in politica? Se ritornando al mondo musicale possiamo rammentare che esisteva una scuola di cantautori genovese da cui un giorno emerse Luigi Tenco che pur grandissimo nella sua arte, non sopportò un sistema di appiattimento di scelte e sponsorizzazioni puramente commerciali. Aveva ragione. Non da uccidersi, ma aveva ragione se la canzone”Vedrai vedrai” riproposta ieri da Ornella Vanoni può da sola rappresentare la dignità d’esistenza del 59mo festival della canzone italiana. Luigi Tenco nel 1967, portava in gara “Ciao amore ciao”, che concluse nella tragedia la sua carriera d’autore. Oggi la scuola genovese, quella napoletana, quella del seminario romano di via Nomentana, sono finite. I talenti ci sono sempre però e dar loro una possibilità di sorgere alla luce del palcoscenico è un dovere di democrazia. Ma in ogni ambito, è un dovere democratico, non solo in quello dello spettacolo. Le opportunità spettano ad ognuno. Se una parola si può spendere in favore di qualcosa che si muove nel senso del cambiamento direi che anche Xfactor è una prima, seria e dura selezione di talenti. Con tutti i benefici dell’errore umano di scelta mi pare che Simona Ventura, Mara Maionchi, Marco Castaldi (Morgan ) facciano sue Raidue un rigoroso lavoro in cui per primi essi stessi credono. Per la prima volta si assiste ad una gara in diretta di provini che si possono superare perché si è bravi senza dover dare nulla in cambio, né soldi, né prestazioni sessuali, né concessioni di diritti Siae, né nulla. Evviva. Sono pochi, ma tangibili segni di mutamento. Ho repulsione per il sudiciume, ma credo doveroso intravedere un bambino vitale da non buttare via con l’acqua torbida.Un piccolo nascituro di informe volontà democratica lo vedo. Lo salverei. In attesa che altri nascano e crescano moltiplicandosi in nuove strade dei diritti alle pari opportunità. http://www.youtube.com/watch?v=2ppf4dmdDSA Wanda Montanelli 23 febbraio 2009

SCUOLA TELEVISIVA DI VIOLENZA E METODOLOGIA DEL DISPREZZO

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Come nella sindrome del maiale selvatico dei gururumba gli impulsi distruttivi giustificano la brutalità percepita come l’essere ‘posseduti’ da forze esterne

Il tabù è un luogo inavvicinabile, un divieto sacrale che ci tiene al di fuori da un territorio segreto. Trovarsi a giusta distanza da zone buie dell’esistenza può essere salutare. Si è voluto però rompere il divieto per permettere agli umani di entrare dovunque anche nei peggiori sogni di brutalità e mai concepita virulenza contro i propri simili a livello cosciente. L’immagine rivelata attraverso il mezzo più comune di divulgazione del sogno (cinema e tv) ha rotto il velo sotto al quale la infinita sequela delle possibili crudeltà umane restava sconosciuta. La scuola di violenza delle immagini mostrate agli uomini a partire dall’infanzia ha avuto ospitalità nei media di pronta fruizione, nel video che come un caminetto raccoglie intorno a sé il nucleo della famiglia, oppure il telespettatore single con patatine e sandwich per cena. E’ forse ripetitivo citare il saggio di Popper e Condry sulla cattiveria di quella maestra bugiarda e inaffidabile che appioppa ai bambini scene di violenza alternate a pubblicità di giocattoli, o improbabili animali canterini. Si conferma con l’assuefazione al ‘medium’ anche una fase di “abituazione” ad un paradigma composto da modalità di sopraffazione inevitabile quanto quotidiana, senza che si spieghino i motivi della violenza. Come nella morfologia della Fiaba di Vladimir Propp dove le storie da lui studiate presentano vicende diverse ma seguono uno schema narrativo sempre uguale; e non si capisce, se non per il pedissequo conformarsi allo schema, come mai ad esempio la matrigna e le pessime sorellastre infieriscono così tanto su Cenerentola. Altro, dalla fiaba scritta e narrata, è invece la esposizione televisiva dove un giorno è iniziata la scuola di violenza. Metodologia dei vari sistemi di uccisione dell’essere umano, uomo o donna che siano, seguendo anche qui schemi uguali ma sempre più sofisticati nell’espletamento del dettaglio sanguinolento. Scuola di alta macelleria sulle infinite modalità di profanazione del corpo allo scopo di mostrare la brutalità gratuita in sempre differenti circostanze di perpetrarla. E il corpo diventa povera cosa, meno che nulla, nelle mani dell’omicida che senza conati di vomito può fare a pezzi un altro essere come lui umano. Per chi è cresciuto con i telefilm di Rin Tin Tin , e i fumetti del Grande Blek e Donald Duck, il massimo della sopportabilità può essere Psycho di Hitchcock , ancora censurabile per la fase dell’accoltellamento. Se non si riesce a guardare oltre perché dotati di sano rispetto dell’integrità del corpo è giusto che sia così. L’area tabù deve esistere. Se l’inconscio ne eleva intenzionalmente i confini manifestando sentimenti di ripulsa, di paura, o di disgusto di fronte a immagini in cui si rompe non solo l’integrità del corpo, ma anche il sentimento di rispetto che ad ogni corpo è dovuto, siamo dentro le regole morali. Se invece si resta impassibili di fronte ad dolore e alla crudeltà c’è da farsi qualche domanda. E’ inquietante restare freddi come lo è provare piacere sadico. Ma andiamo più in là e domandiamoci che tipo di emozioni provano i protagonisti di cattiverie, atti di bullismo, o azioni che non hanno nemmeno la minima motivazione per essere stati compiuti. Che facevano alle quattro di mattina ancora per strada quei ragazzi che hanno bruciato un uomo di nazionalità indiana? Il vuoto delle loro esistenze senza capo e senza coda è come un contenitore mai riempito di principi. Li immagino abbandonati a se stessi davanti al video della tv o della playstation, con l’unico compito, in lunghe ore della loro giornata, di cercare di non annoiarsi. Senza doveri precisi e “consegne” per meritarsi pane companatico e accessori. Si annoiavano i ragazzi. “Non è razzismo – hanno tenuto a spiegare gli inquirenti – ma che significa? Vuol essere per caso una giustificazione? La salvezza nel vuoto a perdere? Assurdità nell’assurdità. Peccato che nessuno abbia insegnato loro sin dall’infanzia che il modo migliore per non annoiarsi è essere utili agli altri e a se stessi. Impegnarsi. Se il giorno dopo quei malvagi avessero avuto l’obbligo di recarsi a scuola o a lavorare sarebbero andati a letto alcune ore prima senza far danni in giro. Invece hanno usato un uomo come diversivo alla loro inutile vita. Senza principi, né ideologie, né educazione alcuna. Chi non crede nella sacralità della vita umana, più semplicemente dovrebbe concepire il senso di inviolabilità del corpo. Per un sana conoscenza della chimica dei corpi, o una minima cognizione scientifica su come è l’uomo, quante cellule diverse ha, il dna che lo compone, la meraviglia matematica dell’intelligenza che lo costruisce e muove. L’indiano fatto bruciare da questi alieni nostrani cresciuti a pane e nutella consumato mentre in video si esibivano apologie di stupri e trafitture di membra è una persona unica e irripetibile e mai nessuno, fosse anche l’uomo più potente del mondo, potrà rimediare al male che gli è stato fatto. Non è stato ben spiegato ai violenti che la vita non è un supporto digitale o un film di celluloide che possa essere riavvolto. Determinate cellule epiteliali, di una persona che si chiama Sing Navte ed ha un Dna, un colore, uno status e una storia, a meno che non si faccia un clone, “non sono ripetibili”. Un doppione, un clone poi non sarebbe altro che un involucro-fotocopia privo dello stesso senso compiuto. Nessuno ha insegnato loro che la vita è spietata e che il rovesciamento di marcia delle cattive azioni non si può fare come nei videogiochi. In questo hanno fallito le più importanti agenzie educative come scuola e famiglia. Di contro è dall’istruzione di violenza della tv generalista-generalizzante che fioriscono soggetti feroci quanto poco intelligenti nell’incapacità di mediare gli input ricevuti. Va riconosciuta a tali soggetti l’appartenenza ad un ruolo sociale che è uno schema comportamentale tipico, osservabile in un contesto di sottospecie umana così esaltata in filmati di infima qualità da restare nell’immaginario. Un modello da riprodurre. Come gli schemi della fiaba che non spiegano i motivi, ma giustificano la brutalità perché appresa e assimilata quali automi piuttosto che esseri dotati di discernimento. Scegliamo però: o ammettiamo di avere segatura nella testa o ci assumiamo la responsabilità delle nostre azioni. La sociologia trova sempre una causa scatenante e giustificante. L’analisi psicologica* spiega piuttosto come in questi casi “Il modello sociale che questi soggetti vogliono dare nella rappresentazione di sé autorizza condotte altrimenti inaccettabili e sfrutta il carattere passivo normalmente attribuito alle forti emozioni aggressive, al fine di sottrarsi alla responsabilità per l’azione compiuta”. L’individuo si ‘disappropria’ così dell’azione, e lo stato emozionale vissuto come un evento oggettivo e non soggettivo, cioè una cosa che non è prodotta dalla mente ma che ‘capita’, porta a commettere nefandezze. Si costituisce perciò un’attenuante che potremmo comparare a quella dei gururumba della Nuova Guinea e al forte impulso detto “sindrome del maiale selvatico” (ahaDe idzi Be) che induce a comportarsi come suini rabbiosi e aggirarsi furibondi aggredendo gli astanti, facendo man bassa di oggetti anche di poco valore e devastando i luoghi. A questo proposito si può rilevare come sia singolare l’ipotesi che possa costituire un’attenuante, nei casi di violenza, l’uso di sostanze psicotiche, droghe o alcool quando tale uso non sia preordinato alla commissione del reato. Poiché chi va in giro sotto l’effetto di sostanze stupefacenti ha in preventivo la possibilità di gesti incontrollati, questo dovrebbe costituire semmai un’aggravante. Perché un conto è ubriacarsi o drogarsi dentro le mura della propria abitazione, un conto è farlo per poi andare per strada a espletare esercizio di violenza. E’ evidente nel secondo caso il comportamento antisociale unito al disprezzo assoluto della vita altrui. Ho scritto di violenza in senso generale. Quella che tanto imperversa in questi tempi è la violenza contro le donne. Se ne parla, si fanno convegni, manifestazioni e incontri come quelle dell’Udi che con un numero elevatissimo di donne riunite in associazioni ha messo in cantiere un anno intero di percorsi ed eventi.. La “Staffetta delle donne contro la violenza” è visibile in questi siti: http://www.udinazionale.org/; http://www.onerpo.it/tutte-le-notizie/87-udi-onerpo-e-affi-insieme-l8-marzo-per-la-staffetta-contro-la-violenza.html . La legge contro lo stalking, i comportamenti talvolta prevedibili degli stalker sono tuttavia un capitolo da conoscere capire e indagare bene. Ad un prossimo appuntamento qui sul blog ne vedremo insieme gli aspetti critici e le soluzioni anche di altri Paesi. 5 febbraio 2009, Wanda Montanelli *M. Marraffa, Ian Hacking, P.L. Newman, P. Ekman