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Epurazioni, parole al vento, nuove prese in giro

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“Quasi al traguardo il giro d’Italia in “rosa” che ha visto protagoniste le donne dell’Italia dei Valori che ha portato all’elezione delle responsabili territoriali del coordinamento donne. Un viaggio attraverso le regioni che ha la tappa conclusiva a Vasto, sabato 13 settembre, con l’elezione della coordinatrice nazionale”. (leggi il resto*) Lancio originario d’agenzia: FESTA IDV: MONTANELLI, TANTE EPURAZIONI E SISTEMAZIONE DI MOGLI DI PARLAMENTARI NELLA NUOVA CONSULTA DONNE Roma, 13 set – “Come da previsioni, attraverso un sistema di riorganizzazione del partito che ricorda tanto vicende in voga un tempo in Bulgaria, c’è stata una vera e propria epurazione delle originarie componenti la Consulta Donne Idv”. A dichiararlo è Wanda Montanelli, già coordinatrice nazionale delle donne del partito, sospesa dall’ex pm a seguito delle “legittime richieste di concreta e reale applicazione dei principi costituzionali dell’art. 51, 3, e 2” e ad un’interrogazione sui fondi assegnati alle donne dalla legge 157/99 art. 3, per la promozione attiva delle donne alla politica. Pur indicate in bilancio, le somme non risultavano alla Montanelli, né alle altre donne della Consulta, essere state impiegate. “Per tutta risposta alla mia legittima richiesta di fare luce sulla questione – lamenta Montanelli – Antonio Di Pietro ha realizzato una “Consulta Donne alternativa”, sotto il pieno controllo e gestione da parte degli uomini di potere del partito e definita – secondo quanto mi è stato esposto e documentato da chi vi ha preso parte – attraverso meccanismi di pressione e acquisizione di tessere sui nomi di chi dovesse essere eletta. L’esito dell’operazione è stato, di fatto, la scomparsa della Consulta Donne originaria, soppiantata da una Consulta composta da affiliate, parenti amiche segretarie di parlamentari, coordinatori regionali e provinciali del partito. In Toscana, ad esempio, sono risultate elette al primo posto la moglie dell’onorevole Fabio Evangelisti, e al secondo la consorte del coordinatore Fedeli. In Sardegna la moglie del coordinatore provinciale Lino Mura mai iscritta a Idv, presentata dall’amico parlamentare Palomba. Nel Lazio idem con le persone sponsorizzate dal senatore Pedica. Per non parlare della coordinatrice nazionale, sen. Patrizia Bugnano, moglie del coordinatore Idv del Piemonte, o dei ruoli assegnati alla moglie di Di Pietro e alla tesoriera del partito, nota amica di famiglia. Una gestione “intimista” e familiare di un partito che usufruisce di fondi pubblici per molte decine di milioni di euro non è concepibile. Non abbiamo lottato per decine di anni, sfiancate di fatica, e fatto due scioperi della fame per far sistemare le amiche degli amici degli uomini di partito. Questa è una vera indecenza – accusa la Montanelli che dopo un recente sciopero della fame interrotto in seguito a ricovero urgente e alla richiesta di sospensione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si è rivolta al Tribunale di Milano per il riconoscimento del danno esistenziale – ho fiducia che a fronte di questo ulteriore aggravarsi della discriminazione femminile, tra l’altro perpetratasi anche con la chiusura repentina del sito internet delle Consulta donne, in barba all’art. 21 della Costituzione sul diritto di espressione e informazione, la magistratura possa renderci giustizia attraverso una sentenza esemplare che faccia scuola”. AGENZIA PUBBLICATA *ERA TUTTO PREVISTO il 15 luglio : scrivevo sulla “Teoria della Consulta ombra“: (…) si sta cercando di epurare la Consulta Donne esistente; per soppiantarla con persone che magari di recente appartenenza, o comunque non bene informate di come stanno i fatti, credono a vecchie parole e fresche chiacchiere. Dico loro che sono dieci anni che riceviamo le stesse promesse che oggi vengono reiterate al solo scopo di mettere una toppa sull’immensa voragine dei mancati diritti alle pari opportunità nell’Italia dei Valori. Le donne di questo partito sono ricche di volontà, capacità, talento, serietà, motivazione, passione civile. In cambio hanno ricevuto: offese, umiliazioni, desertificazione delle opportunità, emarginazione, allontanamento dai luoghi delle decisioni, divieto di esprimersi durante le pubbliche assemblee, collocazioni in posizioni di non eleggibilità nelle liste. Stenti, miseria e povertà di mezzi. Povertà di mezzi economici. Di questo si chiede conto. Con la certezza di avere ragione. Perché solo con la forza di prove documenti e testimoni si può affrontare una causa civile di tale portata, contro una gestione accentratrice, antidemocratica e privatistica di un partito. Si chiede conto di ogni azione fatta contro le donne e la democrazia paritaria. Anche di questa Consulta “B” , o “Consulta Ombra” che si tenta in fretta e furia di mettere in piedi. Sono uomini che la stanno facendo. Costruendo un luogo delle donne al posto di quello già esistente. Stendendo una passata di vernice bianca su affreschi di valore. Oggi: si contano (per adesso) n. 7 mogli (n. 2 in Toscana, n. 1 in Sardegna, n. 1 Piemonte, n. 2 ruoli nazionali); e salvo due regioni in cui ci sono donne già impegnate da antica data e un altro paio di casi gestiti con un minimo di democrazia, tutte le altre regioni sono divise equamente in propaggini (prolungamenti, diramazioni, longa manus) degli uomini di partito, cioè segretarie, amiche di famiglia, o del cuore, parenti, e annesse. Invito gli interessati a denunciarmi se quanto qui dichiarato non corrisponde al vero. I commenti del blog sono aperti ad altre notizie. Internet serve a questo: a dire la verità. Wanda Montanelli, 13 settembre 2008

IL VOTO AGLI STRANIERI, LA CITTADINANZA, I DIRITTI

Panorama incerto di fine estate

Veltroni propone, Fini dispone, Berlusconi smentisce. Sul voto agli immigrati c’è un gran parlare con qualche mugugno della Lega e i rilanci di Franceschini. L’argomento è di quelli che hanno funzione interlocutoria tra i “diamoci una mossa” di D’Alema nella situazione di stallo dei partiti di centrosinistra tutti un po’ in speranzosa attesa del lampo di genio che li porti a trovare cavalli vincenti e corse non truccate. La riforma della legge elettorale e l’interesse a porre uno sbarramento al 5% rende inquieti i piccoli, compreso Tonino Di Pietro non sicuro di fare di nuovo amplein come per le ultime politiche. Le amministrative prima e le europee poi sono ancora un’incognita e forse anche i Democratici stanno riconsiderando che può giovare al PD lasciare rientrare nella dignità della rappresentanza parlamentare i partiti di categoria sociale o di nicchia. Perché infierire? In Europa non ci sono motivazioni oggettive per fare scelte drastiche come quelle veltroniane delle ultime politiche. Il rispetto di preferenze cesellate forse a Strasburgo ce lo possiamo permettere. Lo ha dichiarato Polito sul Riformista di martedì scorso esortando a salvare il panda: “I partiti politici – ha scritto – non sono equiparabili agli statali fannulloni, né si possono tagliare come fossero enti inutili.L’elettorato ha il diritto di poter scegliere” In quest’inizio di settembre, sotto i riflettori della festa di Firenze che per la prima volta non si chiama più dell’Unità, il presidente della Camera ha dato una risposta di prudente apertura all’esortazione scritta da Veltroni sulla concessione del voto agli stranieri, coerentemente con quanto aveva già dichiarato nell’ottobre 2003 sui tempi ormai maturi per il diritto di voto amministrativo per gli immigrati. Anche a Fortezza da Basso Gianfranco Fini ha dichiarato che con i doveri di chi lavora e paga le tasse può rientrare il diritto di voto. Il Premier Berlusconi ha invece espresso parere contrario specificando che Fini riferiva una sua opinione in quanto il voto agli immigrati nel programma di governo non è previsto. Umberto Bossi, come prevedibile, ha troncato ogni possibile apertura sostenendo che il voto agli emigrati è una follia, e menzionando l’articolo 48 della Costituzione dove è stabilito che prima di essere elettori è necessario ottenere i diritti di cittadinanza. Perciò niente scorciatoie. Riguardo alla cittadinanza ci sono regole precise nel decreto di Giuliano Amato dell’aprile del 2007 pubblicato insieme alla “Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione”. Il Ministro dell’Interno rimandava, nel documento, ai nostri dettami costituzionali fondati sul rispetto della dignità umana ed ispirati ai principi di libertà ed eguaglianza. Ogni persona che si trova sul territorio italiano – è scritto nel testo – deve poter fruire dei diritti fondamentali, senza distinzione di sesso, etnia, religione, condizioni sociali. Al tempo stesso, ogni persona che vive in Italia deve rispettare i valori su cui poggia la società, i diritti degli altri, i doveri di solidarietà richiesti dalle leggi. Per ottenere la cittadinanza nei tempi previsti dalla legge occorre conoscere la lingua italiana, gli elementi essenziali della storia e della cultura nazionali, e condividere i principi che regolano la nostra società. Nel mese di agosto del 2006 era c’era stato lo sconcertante e crudele assassinio di Hina Salem, la ragazza pakistana uccisa dal padre perché intendeva occidentalizzarsi. La società civile italiana si era posta importanti quesiti sui comportamenti oppressori di talune culture nei confronti delle donne. Il ministro Amato dichiarò perciò che agli stranieri non basta chiedere l’adesione ai valori della Costituzione, ma bisogna che ci sia un’adesione anche a diritti fondamentali come il fatto che la donna si rispetta secondo regole che universali. Se questa opinione la maggioranza degli italiani è sicuramente d’accordo. Prima di essere riconosciuti cittadini italiani è necessario abolire ogni alibi culturale che possa creare zone franche dall’osservanza dei diritti universali. Sono condizione indispensabile per i diritti di cittadinanza il rispetto dell’individualità, della libera autodeterminazione femminile. L’abolizione assoluta di pratiche ancestrali come infibulazione, matrimoni combinati, e soggiogazioni a regole religiose, spesso frutto di errate interpretazioni di libri sacri, di superstizioni e comode e prevaricanti e affermazioni di egoismi. Wanda Montanelli, 7 settembre 2008

L’IGNOBILE STORIA DELLA PERSECUZIONE DI E.T.

Quando manca il buon senso e l’autoironia di chi da piccolo leggeva Topolino Due sere fa Antonello Piroso su La7 ha ricordato l’odissea di un uomo onesto incappato in uno dei più grandi errori giudiziari dei nostri tempi. Non ho mai creduto nemmeno per un momento che Enzo Tortora potesse essere colpevole. Nel 1983 mi trovai in una trasmissione tv che andava in onda alle ore 19,00 su Raidue, “Tv30”, dove emerse una domanda sui suoi inizi di carriera (Campanile Sera del ’59 con Renato Tagliani e Mike Bongiorno). Dissi alcune parole in difesa del presentatore che si trovava in stato di detenzione. La trasmissione si registrava e si trasmetteva in differita dopo qualche ora. Mi accorsi però che prima di trasmetterla era stata tagliata la mia frase: “Spero che Enzo Tortora venga presto liberato perché è un galantuomo, un uomo per bene”. Chiamai gli autori del programma per protestare. “Perché avete censurato la mia frase su Tortora?”. “Perché è meglio che non entriamo in questa storia – mi risposero – La Rai non si può esporre con dichiarazioni innocentiste”. “E’ una mia opinione – replicai – di cui mi assumo ogni responsabilità. Voi non c’entrate”. Non ci fu modo di convincerli, ed era inutile replicare, tanto ormai la trasmissione era andata in onda. Il clima era quello. Non si parlava di Tortora. Si attendevano le prove della sua colpevolezza. Pochi ragionavano sull’assurdità delle storie da banda Bassotti e commissario Basettoni che venivano scritte su quotidiani e settimanali. Il patto di sangue con il taglio dei polsi, l’appartenenza alla camorra, i centrini fatti ad uncinetto che qualche camorrista aveva mandato per venderli a Portobello. Cose da ridere. Non è che mi ricordo tutto, so che allibivo a quel tempo per l’assurdità della tesi accusatorie. Come ci si poteva credere? Insomma eravamo cresciuti imparando a conoscere storie, vita e miracoli dei presentatori. Mike Bongiorno, Enza Sampò, Enzo Tortora. Come potevamo credere a baggianate del tipo dello spacciatore di droga. Un uomo ricco, elegante, lineare, composto, sereno. La tipologia del drogato è un’altra. Come si fa? Ce ne accorgiamo quando succede. È vero che ci sono, in tv alcuni personaggi, anche famosi, un po’ su di giri. Parlano fuori dalle righe, con un livello innaturale di concentrazione, e talvolta con performance che ci fanno venire dubbi sulla naturalezza dei comportamenti. Si vede se uno è impasticcato, o “fatto” di qualcosa. Tortora invece era un uomo sereno, per bene, rassicurante. Anche antipatico forse per alcuni, ma comunque onesto. Eppure in tanti si schierarono dalla pare dei colpevolisti. Mi irritavo quando dalla gente comune sentivo dire che se l’avevano incarcerato “qualcosa sotto sotto doveva esserci”. Ed erano estenuanti le discussioni per farli ragionare sulle contraddizioni, le illogicità delle accuse che peraltro venivano mosse da dei pentiti di bassa lega e senza riscontri oggettivi. Devo qui dire qualcosa su Vittorio Feltri. Raramente condivido le cose che scrive. Insomma siamo molto lontani come modo di pensare. Tuttavia nel 1985 apprezzai l’onestà intellettuale di questo giornalista in occasione del processo a Tortora. Era sulla Domenica del Corriere che lessi un suo articolo. Per tutti questi anni mi sono chiesta se rammentavo bene … mi pareva fosse la Domenica del Corriere. Oggi lo so di certo perché quell’articolo l’ho ritrovato (viva Internet http://www.rosanelpugno.it/rosanelpugno/node/7504) Feltri scriveva: ” […] quando il direttore del mio giornale, che è il Corriere della Sera mi notificò la decisione di inviarmi a Napoli non avevo alcuna idea se il papà di Portobello avesse più o meno combinato ciò che la Procura partenopea gli addebitava. E, francamente poco mi importava. Conoscevo Tortora, l’avevo incontrato due o tre volte: ma non si può certo affermare che la nostra fosse un amicizia. E, se devo essere sincero, mi era più antipatico che simpatico: trovavo odiosi i suoi toni affettati, certi atteggiamenti melliflui, il perbenismo ossessivo. Della vicenda giudiziaria due cose mi avevano colpito. E insospettito. Il fatto che il cosiddetto blitz, che aveva portato in galera lui e altri ottocento e passa imputati, fosse avvenuto una settimana prima delle votazioni politiche; e che gli agenti, pur di far riprendere Tortora dalle telecamere, con tanto di manette e di scorta, gli occhi smarriti e il volto pallido, lo avessero tenuto in questura sei o sette ore, in attesa della luminosità adatta alla massima resa delle immagini da mandare in onda. (…) A Napoli sono così arrivato con la certezza di avere a che fare, se non con un camorrista e uno spacciatore di droga, almeno con un uomo che ignorava la coerenza. E ho cominciato a esaminare le carte processuali con diffidenza. Ma benché non trascurassi neanche una virgola della intricata storia, non riuscivo a capire quali fossero concretamente gli elementi contro di lui: c’erano le dichiarazioni dei pentiti, d’accordo, ma nulla di più. (…). Molti dicono che bisogna attendere la sentenza completa per criticare il tribunale. Ma che cosa può esserci scritto nel verdetto più di quanto si è udito in aula? Semmai è da respingere una legge, e una prassi, che legittima condanne senza prove; una legge che dà a un Panico o a un Melluso licenza di scegliersi una vittima e di stritolarla, sostituendosi, non solo al giudice, ma addirittura al boia. (…). La corporazione voleva a larga maggioranza la condanna di Tortora, neanche si trattasse di una conquista per la categoria. Ma perché tanto accanimento? Ho avuto l’impressione di uno scoppio di irrazionalità, di una specie di tifo cieco analogo a quello degli stadi, alimentato, per giunta, dall’antipatia dell’imputato e dal suo modo ora goffo ora insolente, di difendersi. Un collega lo odiava perché con la Tv aveva strappato un facile successo, e scordava che, se il successo fosse facile, l’avrebbe avuto anche lui. Ha inciso anche la sua popolarità: troppa per essere perdonata da chi non ne ha affatto. Ed ora che il presentatore era a terra, il piacere di sferrargli delle pedate era voluttuoso. Durante la lettura della sentenza ho visto cose turpi. Il nome di Tortora tardava a essere pronunciato. Che fra i colpevoli non ci sia? I giornalisti si interrogavano con lo sguardo, increduli, delusi, amareggiati. Parecchi avevano scommesso sulla condanna, avevano investito articoli ed articoli e temevano di essere sconfessati. Uno si volta e, allargando le braccia mi sussurra: vedrai che l’hanno assolto, mi toccherà andare in giro coi baffi finti. Ma la sua disperazione, e non solo la sua, è durata poco: “Tortora Enzo… dieci anni di reclusione e 50 milioni di multa” ha detto il presidente Sansone. Qualcuno ha stretto i pugni dalla felicità, altri hanno sorriso, sia pure con moderazione, dato il momento. Era come se la loro squadra avesse segnato in trasferta. E alla sera, ho saputo, hanno brindato: alla faccia di Tortora”. Non dovrà mai più ripetersi l’accanimento come quello consumato contro Enzo Tortora. Le sue figlie non hanno avuto ancora oggi né giustizia, né risarcimenti. Rispetto la magistratura, ma come in tutte le professioni credo che chi sbaglia debba pagare. Almeno dimostrare che l’errore è avvenuto in buona fede. La vicenda di Tortora è assurda. Il tempo passa e tanti particolari si dimenticano, poi per fortuna qualcuno pensa a riproporre la storia al grande pubblico ed ai molti giovani ignari di cosa è accaduto. “L’uomo muore di crepacuore” è la frase scritta da Giorgio Bocca per commentare la morte di Enzo Tortora avvenuta il 20 maggio 1998. L’ha riletta Antonello Piroso, particolarmente coinvolto e commosso nel suo monologo. Ha citato il libro “Applausi e sputi. Le due vite di Enzo Tortora”, di Vittorio Pezzuto. Lo leggerò per non dimenticare il calvario di un uomo per bene. Può capitare ad ognuno di noi quello che gli è accaduto se manca il buon senso e… Mickey-Mouse o no, la distinzione delle chiacchiere dai fatti. 3 settembre 2007 Wanda Montanelli http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=omnibus&video=16317

CHI HA DETTO CHE L’ITALIA E’ TERRA DI NESSUNO?

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Da nord a sud, da molti anni e sotto ogni governo imperversa la cultura del crimine facile. Una volta i malviventi si nascondevano, una volta cercavano posti isolati e occasioni senza rischio. Ora sono sfacciati. Dipende da noi dare “la percezione di pericolosità” nell’infrangere la legge e le regole morali. Anche da noi donne se ce lo concedono.

E’ un fattore di cultura. L’assimilazione di notizie sul paese di bengodi per i criminali pare senza freni. E in questo ognuno di noi è complice. Sembra che si stia spargendo la voce che l’Italia è terra di nessuno. Un posto dove chi vuole si accomoda, si impone, infrange le leggi, stupra le donne, rapisce i bambini, accoltella la fidanzata o il vicino di casa per motivi banali, e tutto è compiuto impunemente. Non solo. La percezione di impunità è arrivata al punto tale che i crimini si compiono in pubblico, tra la gente, in pieno giorno, nelle piazze, sulle spiagge, sotto il portoni chiusi o aperti non importa. Che immagine hanno degli italiani i criminali nostrani e stranieri? Che idea si son fatti della nostra capacità di reagire? Tengo a chiarire che in quello che scriverò non c’entrano il razzismo o le ideologie. Cerco di fare un’analisi del buon senso. Come qualsiasi persona oggi fa, essendo preoccupata per la sfrontatezza e la sfacciataggine dei criminali. Ragioniamo. Perché questo succede? E cosa possiamo e dobbiamo fare perché l’arroganza criminale abbia fine? Non è strano che in pieno sole, sulla spiaggia Faber beach di Ostia Lido, stabilimento balneare del litorale laziale in cui è impossibile nascondere qualcosa, tra campi da beach volley, attrezzature per sport acquatici, bar all’aperto, e un asciugamani steso ad ogni metro, qualcuno rapisca una bambina? Il posto è vicinissimo a casa mia. Il Faber Beach mi piace perché grazie al sistema in concessione comunale qualcuno tiene pulita la spiaggia. Questo credo aggiunga servizi utili, oltre che opportunità di lavoro per tanti ragazzi, occupati a dare un volto nuovo ad una zona di Ostia una volta piuttosto degradata. Quando anni fa notai che si ponevano a dimora palmizi laddove fino ad un po’ di tempo prima c’erano cartacce e siringhe di drogati, ho pensato che fosse ora. Dare in concessione a cooperative di ragazzi un tratto di spiaggia pubblico toglieva all’amministrazione l’onere di mantenere pulito e sicuro un tratto di mare e spiaggia. Hanno iniziato con una baracchetta, poche sdraio, e… grande intuizione, un bel po’ di piante e fiori. Ho scritto che mi piace Faber beach, non ho detto che ci vado, ed il motivo è uno solo. E’ impossibile passare inosservati. Ti trovi, sì al mare, ma nel centro della città, con la strada confinante, i palazzi di fronte, a poca distanza dal presidio medico S. Agostino, a un metro dai negozi e con la sabbia delimitata da un muretto basso, oltre il quale c’è l’asfalto su cui autobus vanno e vengono pieni di viaggiatori che osservano cosa fa la gente in spiaggia. Come si fa in un posto così a rapire un bambino? Giorni fa una mamma lasciava la spiaggia tra “La Buca Beach” e “Faber” quando un uomo le ha strappato dalle mani la bimba per darsi poi immediatamente alla fuga. Era un algerino un po’ alticcio catturato dagli stessi bagnanti e mancato al linciaggio per poco grazie all’intervento della polizia lidense che lo ha arrestato. E’ vero, i bagnanti hanno reagito, ma non è questo il punto. Il punto è: “Chi ha messo in testa ai malviventi che in Italia si può fare azioni criminali senza rischi anche il pieno giorno? Chi ha così allentato i freni inibitori?“. Qualche birra bevuta in più? Credo che il punto sia la “percezione del non rischio”. Non sarà la considerazione che siamo mollicci, disattenti, che ci facciamo gli affari nostri e non aiutiamo il prossimo? Che la Polizia può contare su pochi componenti, che le leggi ci sono ma se pure ti arrestano esci dopo poco? Cosa è? Cosa fa pensare loro di farla franca? Forse il fatto che la fanno franca davvero? Torre Annunziata a Napoli, Ponte Galeria a Roma. Donne stuprate e aggredite dal branco, da un ragazzo napoletano di sedici anni in Campania, da due stranieri nel Lazio dove una coppia di ciclisti olandesi aveva deciso di pernottare in una tenda su un prato antistante un casale. Anche lì c’è l’errore di fondo di fermarsi a dormire dentro una canadese. Mi illudo. Mi piacerebbe sapere che una coppia che gira il mondo in bicicletta possa dormire sui nostri prati. Non è così. Ma anche nel caso dei rumeni cosa gli ha fatto credere che nessuno avrebbe aiutato i campeggiatori per tutto il tempo della loro aggressione? Passano macchine e camion poco distante da lì. C’è un programma su Rai Tre “Amore criminale”, presentato il lunedì sera dalla brava Camila Raznovich. L’aspetto che sconcerta di più, oltre all’efferatezza dei crimini, è che per ogni storia si ha la certezza che si sarebbe potuto intervenire non una, ma decine di volte, per porre fine alle persecuzioni nei confronti della vittima. Per impedire il crimine. Al fidanzato che accoltella la sua ragazza. Diritto di proprietà coniugato a quello di impunità, che gli dice la testa ? Che uno può assassinare la sua donna e non pagare il conto alla giustizia? Cosa è che gli fa credere di farla franca? Forse il fatto che non se ne trova uno di colpevole? Tra tutti i femminicidi chi ha pagato? Una volta esistevano il rimorso, i sensi di colpa, il bisogno di confessare. Oggi esiste il gioco perverso di dimostrarsi più furbi degli inquirenti e non pagare. Alla Casa Internazionale delle Donne di Roma c’è un’intera parete con effigi di donne assassinate il cui aguzzino resta sconosciuto. L’argomento è continuamente dibattuto dalle associazioni femminili e l’Udi sta organizzando le staffette contro la violenza in ogni luogo d’Italia. La volontà di trovare ferme soluzioni a questo gravissimo problema ci contraddistingue per tanti propositi messi in atto. Ma se fossimo di più nei luoghi delle decisioni avremmo accorciato le distanze e migliorato la nostra qualità di vita. Vorremo poter dire noi donne qualcosa sulla sicurezza. Avanzare proposte. Credo che un gruppo di studio sulla sicurezza delle città con la presenza di donne a metterci buon senso e risoluzione potrebbe funzionare. Vorremmo poter organizzare la nostra autodifesa. Con corsi di prevenzione rivolti alle donne e con l’impostazione di una vera campagna culturale, difficile da esprimersi in poche parole ma con l’obiettivo di cambiare la mentalità dei criminali, a partire dal fatto che possono scegliere di non esserlo fino all’attimo prima di compiere il delitto. In aggiunta a questo c’è la necessità di diffondere la cultura dell’inesorabilità “del prezzo da pagare” quando si decide di essere infami. L’efficienza della legge sullo Stalking, la cultura del rispetto inviolabile di ogni essere umano, per il suo diritto a vivere e decidere di se stesso senza sopraffazione alcuna. La scuola, la famiglia, devono trasmettere concetti morali parallelamente a tutto il virtuale che ci circonda: tv, spot pubblicitari, commedie comiche, soap opera, giochi a quiz, videogame, tutto. Tutto deve concorrere a mettere semi di buon senso nella vita di ogni persona; a infondere l’idea che c’è un’opzione di salvezza in fondo al viale grigio dell’incertezza. Chance che è in mano nostra come l’asso nel poker. Il problema è culturale di informazione corretta, persuasione attraverso i mezzi di comunicazione individuali e di massa. Conoscere se stessi, le persone che abbiamo accanto. Rifuggire dal pericolo, e, trovandolo implacabilmente davanti, avere imparato che esistono alcune opzioni per non morire. Conoscere l’autodifesa, avere a portata di mano mezzi e strumenti per chiedere aiuto, contare sui fulminei interventi della forza pubblica. Non lasciare zone buie e scoperte da sorveglianza, e quando l’occhio umano non arriva… affidarsi al grande fratello. Che ce lo abbiamo a fare? Solo per farci controllare se paghiamo o no le tasse? Basta dare un’occhiata ai nostri scontrini per stabilire dove trascorriamo il tempo ora dopo ora. Il telefonino è il nostro controllore quotidiano, il video dell’Ufficio postale ci riprende, ma che ci importa se non abbiamo nulla da nascondere. Utilizziamo allora il grande fratello per trarne vantaggi e sicurezza. Il problema è di messaggi mediatici. E’ di lavorare di psicologia sulla mentalità e la deterrenza alla delinquenzialità. Si sono vinte le elezioni per la “percezione” di insicurezza. Si può sconfiggere il crimine divulgando “percezioni di civiltà” e di legalità che sempre hanno un conto e un bilancio da cui nessuno è esente. Per infondere ideali di libertà rigore e bellezza, e immagini dei prati liberi di casa nostra nel filmato finale di una vita migliore. 26 agosto 2008 Wanda Montanelli

SESSO FORTE A PECHINO PER LE OLIMPIADI 2008: AUSPICI PER IL NUOVO CORSO IN SOCIETA’

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Grazie a Valentina Vezzali, Giulia Quintavalle, Federica Pellegrini, Tai Aguero Emozioni per il medagliere gonfio delle azzurre rosa. Ancora una volta i colori per distinguere ma è solo per non ripetere le parole donna e uomo che nulla aggiungono o tolgono al valore individuale. Si voleva che gli atleti rinunciassero a Pechino. Rispettiamo tutti i pareri, ma giustamente l’inerzia della politica in tema di diritti umani non deve ripercuotersi sul mondo sportivo. A ognuno il suo compito. Quello degli atleti è di dimostrare il valore dell’impegno e portare a casa il risultato. Meno male che il medagliere è anche d’oro in questa umida estate dalle cattive notizie. La crisi giorgiana con l’occupazione di Gori da parte delle forze armate russe, il clima da guerra fredda tra Mosca e Washington che si ripete come nel passato; Bush, che chiede a Mosca di fermare l’escalation di violenza drammatica e brutale, e Putin che non ne vuol sapere Il premier Berlusconi parla con lui dalla Sardegna per convincerlo ad accettare la proposta di ritiro dalla Georgia formulata dal G7. Questa crisi è la più grave tra Russia e Stati Uniti dalla fine della Guerra Fredda ad oggi. Ma questioni più quotidiane ci danno pensiero in un paese del precariato vissuto erroneamente come ormai ineluttabile, mentre è errore e concausa della crisi economica. Capire che l’investimento sul futuro di ogni lavoratore è il motore principale del rilancio di acquisti e produzione è a questo punto fondamentale, perché se pure è vero che nel nostro Paese c’è una percentuale di vendita di telefonini al primo posto in Europa, è altrettanto vero che l’effimero che costa mezzo stipendio da precario gratifica quel tanto che basta per giustificare il fatto che si lavori. Nel tema di solitudine e incomunicabilità caro a Pavese il Lavoro che stanca e l’alienazione sono concetti esistenziali di sofferenza in cui è arduo il compito di capire e aiutare. La diretta conseguenza della crisi al precariato e al precipitarsi del potere di acquisto nella maggioranza degli italiani non è invece un concetto filosofico di difficile comprensione. La globalizzazione degli stipendi ha fatto sì che si globalizzasse la povertà. Invece di avvicinare il terzo mondo a noi, ci stiamo avvicinando noi ai loro livelli di paghe al minimo, ricatti sui posti di lavoro, e quel che è più tragico, all’altissima percentuale di morti nei cantieri. Contro lo stillicidio delle morti bianche le organizzazioni sindacali Fim, Fiom e Uilm dei lavoratori metalmeccanici proclamano scioperi e proteste Di fronte al ripetersi delle tragedie, il presidente della Repubblica Napolitano esorta con forza a mettere in atto azioni concrete al di là delle parole. Ma le notizie si susseguono: carpentieri, vignaioli, metalmeccanici, danno il loro contributo in vite umane a questa società dell’opulenza per settori ristretti che si arricchiscono sempre di più, distanziandosi dal grande mare del disagio che quotidianamente le persone affrontano: rate di mutuo pressoché raddoppiate, vacanze fatte in casa alla Totò, qualche giornata all’Idroscalo o nelle poche spiagge libere rimaste, con la frittata e la bottiglia d’acqua nel portavivande caricato in auto insieme all’ombrellone. Ma va bene così., perché il carovita rende problematica l’incombenza di far la spesa. L’allarme Istat sull’inflazione a luglio la notifica al 4,1%, punta massima dal ’96. Forse possiamo considerare fortunati quelli che hanno i venti euro di benzina per andare dal centro di Roma alle spiagge litoranee, o da Napoli a Licola, perché molti rinunciano anche al pendolarismo vacanziero. Ci meravigliamo poi se in un’estate così ci sentiamo più vivi se quattro magnifiche ragazze ci regalano emozioni e lezioni di coraggio? Trascrivo dalla Stampa l’articolo di Massimo Gramellini di oggi 12 agosto 2008: “Prendano nota i catastrofisti, i lagnosi, gli assuefatti al peggio. Ciò che distingue i fuoriclasse dagli atleti normali è che nell’istante in cui stanno per perdere essi estraggono dal cuore la magia che li farà vincere. Ma ciò che distingue anche il meno atletico degli umani da una patata lessa è sempre la capacità di rimontare…”. Ecco, pubblichiamo come augurio generalizzato al sociale ed al politico-istituzionale queste parole. Si parla in fondo di donne, i miracoli possono accadere. Sì è vero, anche per gli uomini, ma per la parte femminile sarebbe un doppio miracolo dati i presupposti. Francesca Costa scrive su questo Blog a proposito di un qualcosa che sta cambiando nello sport : “(…) La spinta è venuta dal CIO (Comitato Olimpico Internazionale), che ha il suo Gruppo dalla I Conferenza su Donna e Sport a Losanna nel 1996 e che, in Anita De Franz, membro di Giunta, ha trovato un elemento catalizzatore di iniziative a favore delle pari opportunità.. (…). La donna risulta spesso criptata – continua Francesca nel suo testo – all’interno di categorie solitamente riportate “al maschile”, neutro-universale, esattamente come succede alla Storia dalla “esse” maiuscola, che si trova a ricercare l’immagine della donna in categorie funzionali alla storia politica, per definizione maschili. In esse, la donna, se compare, è sempre moglie, o madre o figlia di qualcuno, e la sua immagine è spesso ritratta nelle funzioni che le sono attribuite come tradizionali, nascita, matrimonio, morte”. A questa ricerca è seguito l’invito del CIO ad impiegare entro il 2005 il 20% di donne nei quadri sportivi di tutte le nazioni che ne fanno parte. Lo scopo era che dovunque come in Italia potessero crescere la sensibilità nei confronti della donna sportiva e della sua storia, di conseguenza dei suoi archivi della memoria. Le donne – conclude Francesca – non sono una specie all’interno di un’altra specie, bensì frammento di umanità a cui apparteniamo tutti/e uomini e donne indistintamente. L’emozione e l’auspicio per nuovi corsi storici in cui si comprenda meglio la forza delle donne ci derivano anche dall’articolo della Stampa: “Sono contento di essere un connazionale di Valentina Vezzali – scrive Massimo Gramellini – perché ieri mi ha fatto piangere…, e prosegue con lo stresso incipit per Federica Pellegrini e Tai Aguero di cui spiega lo sconquasso emotivo per una madre che le stava morendo in una patria lontana mentre lei era all’Olimpiade. Trovo significative per i nostri convincimenti in tema di donne queste parole: “Sono contento di essere un connazionale di Giulia Quintavalle perché ieri mi ha fatto ridere. E’ successo quando la prima judoka italiana a vincere l’oro in un’Olimpiade si è messa a ballare l’inno di Mameli, saltellando sul podio con la medaglia che le sbatteva da una parte all’altra del collo come un pendolo. Fino a metà mattina ignoravo la sua esistenza. Poi l’ho vista dentro un kimono azzurro, contorcersi sul tatami dopo una botta al gomito. Le telecamere avevano inquadrato il gomito e io avevo pensato: questa si ritira. Dopo però le avevano inquadrato gli occhi. Erano di bragia e ho immediatamente cambiato pensiero: questa il gomito piuttosto se lo mangia, ma non scenderà da quel tappeto finché le altre non la buttano fuori a calci. Infatti le ha buttate fuori lei…” Gli occhi di bragia…Non ho visto quella scena, ma ce l’ho davanti come un film. Gramellini si appassiona e trasmette immagini con parole appropriate; e come dargli torto quando cita Kipling? “Valentina, Giulia, Federica, Tai. Sono contento di essere un connazionale, maschio, di quattro femmine così. Femmine con dei valori che non sono soltanto quelli quotati (sempre meno) in Borsa. Femmine che non si lamentano e non si rassegnano. E non lamentandosi e non rassegnandosi, indicano a noi, maschi e femmine, la strada. Ricordate la poesia If di Kipling? “Se saprai assistere alla distruzione di ciò per cui hai dato la vita e, chino, ricominciare con i frantumi rimasti. Se saprai forzare il tuo cuore e i tuoi tendini affinché ti servano anche se sono già sfiniti, tuo sarà il mondo e quanto esso contiene. E quel che più conta tu sarai finalmente un uomo”. Ma ieri ho capito che Kipling intendeva dire: “una donna”. 12 agosto 2008, Wanda Montanelli