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Il coraggio di cambiare

Caro Bersani, tra tante missive che riceverai, questa è un invito come altri a fare scelte giuste in un periodo convulso pur nell’apparente stasi istituzionale. “Il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare” diceva Don Abbondio. Ma tu che sei tutt’altro che il prete codardo di Manzoni, dovrai trovare tutto il coraggio che necessita per prende atto del cambiamento in atto nella politica italiana. Così come è stato fatto per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, per il Presidente degli italiani è ora indispensabile un’altra incisiva prova di rinnovamento. Rodotà sicuramente non rappresenta il nuovo, data la sua intensa storia politica e culturale, tuttavia può rappresentare il campo nuovo nel quale impostare il cammino. Rappresenta un rispecchiamento del meglio possibile per gran parte degli italiani. Soprattutto nell’accettazione di nuovi meccanismi di scelta.

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LA GIUSTIZIA GIUSTA CHE SERVE A DAVIDE

. A gran voce si chiede una giustizia tempestiva e il primo requisito di giustizia giusta è proprio la celerità dell’esito finale perché se la sentenza arriva quando i contendenti sono passati a miglior vita o sono troppo anziani e rincitrulliti per capire che il giudice gli ha dato ragione non ha più senso. La macchina farraginosa che porta avanti lentamente le istanze dei cittadini derubati di un diritto deve modernizzarsi e su questo si può essere tutti d’accordo. Serve perciò “uno scatto d’efficienza” e servono “scelte coraggiose” ha detto di recente il nostro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Pier Camillo D’Avigo, Consigliere della Corte di Cassazione i cui interventi sui mali della giustizia sono di una concisione e un’arguzia pregevoli, dichiara che in tema di giustizia il reato più odioso è quello che offende i più deboli. Alla domanda: “Allora sei di sinistra?” risponde: “L’etica del cavaliere medioevale di soccorrere i deboli e gli orfani, era di sinistra?”. La confusione che si crea nell’etichettare soggetti pubblici che svolgono la loro funzione con bravura e correttezza in “azioni di destra” o “di sinistra” non porta giovamento a Davide. Davide è l’uomo onesto che si affida, quando non riesce a trovare affermati i propri diritti, ad una magistratura che non intende colorare di rosso, di bianco o di nero. Un’istituzione super partes proprio in virtù dell’art.3 della Costituzione. E allora siccome Davide non ha altri mezzi per trovare conforto e ristoro se non l’affidarsi ad un soggetto “terzo”, superiore a se stesso e al proprio antagonista riguardo alla questione che ostacola il suo pieno diritto di cittadinanza, risulta di fondamentale importanza mantenere la sua fiducia nella magistratura. L’eccessiva lunghezza delle cause fa perdere tasselli importanti nello spazio vitale di ognuno. Il che si può riferire a procedimenti civili, ma ancor più a reati penali che incidono in maniera devastante nell’esistenza umana. Quindi non c’è maggior danno in tema di giustizia che il perdersi in diatribe politiche, o in inseguimenti su norme che riguardano pochi. Specie se questi pochi hanno nulla a che fare con Davide, ma piuttosto sono dei “super Golia” con un multistrato di protezione dato dal proprio status, che spesso è economico, sociale, politico, istituzionale, e di “potere” manifesto o occulto in quantità enormi di intrecci pubblici. “Leggi ad personam” è la locuzione più inflazionata di questi tempi. Se vogliamo dirla semplicemente si tratta di leggi personalizzate a proprio uso e consumo. Come se tutto l’imponente apparato dei due Parlamenti, le 945 cariche istituzionali di Camera e Senato, le Commissioni, il Sistema civile li abbia architettati e Iddio li tenga in vita per una o poche persone. “Tutti travagghiarono e ficero a iggio” dice un vecchio motto siciliano per schernire la pretesa di mobilitare l’intesse generale a favore di un solo soggetto. Il che è evidentemente al fuori a ogni buon senso, talmente avulso dalla saggezza da apparire poco intelligente. Ma c’è invece un’intelligenza scellerata, o un bisogno estremo di autotutela che muove e concentra certe azioni. Certo il permetterle non si addebita solo a chi le compie, semmai anche a chi certi codici di sistema ha inventato. Poiché abusare del privilegio non è novità di moderna realizzazione, ma esisteva, come esistevano gli spazi “vuoti”, talvolta predisposti, in cui s’è annidata la sfrontata crescita del beneficio personale. Alla faccia di Davide che sta in fila ad attender il suo turno, e non vede l’ora di essere chiamato dal suo giudice per dire, magari con un piccolo inchino e il cappello in mano: “Chiedo giustizia”. Ma la patologia del caso italiano da che dipende? I giudici sono fannulloni? Risponde sul tema D’Avigo per dire “Abbiamo la più alta produttività d’Europa, probabilmente del mondo. La giustizia è lenta per molte ragioni, ma la più importante di tutti è che ci sono troppi processi”. E ancora: “L’Italia spende per la giustizia quello che spende la Gran Bretagna, dove fanno 300 mila processi penali l’anno. Noi ne facciamo tre milioni. Abbiamo ogni anno più cause civili nuove di Francia, Spagna, Gran Bretagna messe insieme”. Spesso reati piccoli portano le cause fino alla Cassazione, come il mancato pagamento di un biglietto del tram o la banale lite tra condomini per chi debba pagare le spese d’elettricità dell’ascensore. Uno dei motivi che induce al ricorrere in Appello in materia penale è la inesistenza del rischio di vedersi aumentata la pena. Si dilungano le cause all’infinito anche per la volontà dell’avvocato di non arrivare a conclusione. Ad alcuni soggetti conviene perdere tempo per una serie di motivi, tra cui la prescrizione, e il legale può trovare decine di escamotage per far rimandare l’udienza. Per esempio l’assenza del legale di parte in udienza è pretesto di rinvio, mentre sarebbe facile stabilire che chi non si presenta deve mandare un sostituto in grado di seguire la causa perché comunque il procedimento non può avere rinvii per motivi artificiosi. Insomma occorre raziocinio e volontà. Leggi adeguate, che non sono fatte dai magistrati, ma talvolta “malfatte” dai legislatori. Servono leggi di facile lettura e interpretazione. Servono mezzi, ma soprattutto l’impegno verso la semplificazione e l’uso del digitale; la notifica e la firma elettronica; la mediazione obbligatoria e veloce delle controversie minimali; nuovi modelli organizzativi del lavoro; misure alternative alla detenzione di chi con comportamenti asociali non può che giovarsi del suo impegno rieducativo nei confronti dei bisogni altrui. Le carceri scoppiano. I radicali che con Rita Bernardini seguono la questione con puntualità e visite ripetute negli istituti di pena fanno sapere che dal 1o gennaio 2000 ad oggi nelle carceri italiane sono morti 1.688 detenuti, di cui 586 per suicidio. Ma anche su questo grave problema sembra che si sia fatto poco o nulla. Alcune nuove carceri sono state edificate ma non sono mai state aperte. Quanto alle semplificazione delle procedure alcune regioni italiane in accordo con il Cnipa (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) e il Ministero della Giustizia, hanno attivato un protocollo d’intesa per l’erogazione di servizi on line a uffici giudiziari, come la cancelleria telematica, la rete dei giudici di pace, la gestione trasparente dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. Per ridurre il carico burocratico, risparmiare tempo e denaro, semplificare le procedure e dare giustizia. Una giustizia che funziona per tutti alla stessa maniera, come l’art. 3 prevede: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali dinnanzi alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali“. Il Presidente Napolitano, convinto del contenuto di democrazia di tale articolo, esprimendo le sue perplessità sul “lodo Alfano” che lo coinvolge nell’edificare uno scudo per le alte cariche dello Stato, rinvia in alcune dichiarazioni al contrasto che si creerebbe tra il lodo e l’art.90 che già prevede da sessant’anni: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”. Il che per lui può bastare, ma anche per tutti gli italiani che confidano nella democrazia. “…nell’esercizio delle sue funzioni”, è lì la differenza. Roma 24 ottobre 2010 Wanda Montanelli

SANTORO, PERCHE’ TACERE SUL RESTO?

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La lente d’ingrandimento di AnnoZero ancora incentrata sugli aspetti pruriginosi del femminile in politica. A quando un’inchiesta seria e approfondita sulla mortificazione dell’impegno delle donne? Quando si dice una verità bisogna dirla tutta: troppo comodo dirla a metà dimenticando la parte che non ci piace.

Mi domando con rammarico perché Michele Santoro nel suo programma AnnoZero e in altri precedenti non abbia mai affrontato a fondo i tema dell’uso strumentale delle donne in politica di cui la D’Addario è solo una faccia della medaglia. Ad iniziare dal titolo “No Giampi, no party, viaggio nel sistema Tarantini”. Inviterei il Michele nazionale a leggere il mio post EUROPEE: NO DONNE NO PARTY del 14 giugno di quest’anno che guarda caso nasce dallo stesso problema di come si candidano le donne per le Europee e per le carriere di ogni genere, approfondito poi nel workshop di Fare Futuro, e finito male in famiglia Berlusconi per l’ indignazione di Veronica Lario. Contatti con la redazione del programma ne abbiamo avuti, ma sempre si è preferito non sviscerare tutto l’aspetto delle mortificazioni femminili che il più delle volte o si vendono, o hanno un protettore alle spalle, o non fanno neppure un passo avanti. Di storie di donne che hanno militato per anni credendo di poter incidere nel cambiamento della società con la forza delle proprie idee, l’impegno e la dirittura morale ce ne sono a centinaia. Il fatto è che nessuno le racconta perché non servono al medagliere di lotta politica di fazione. Si parla della vicenda della sottoscritta soprattutto in blog e siti liberi, su qualche quotidiano, ma in sordina perché le rivendicazioni di una donna guerriera mettono paura, specie se sono finite in tribunale citando il disprezzo degli articoli 3,2, e 51 della Costituzione; specie se si parla dell’impoverimento già congenito dell’economia femminile ulteriormente aggravato dall’appropriarsi di fondi destinati per legge alla “promozione delle donne alla politica” (Legge157/99, art.3), se si dice che mogli e amanti anche in altri partiti hanno la strada spianata per muovere passi agevolati come con il girello per bambini. Una causa per danno esistenziale, una richiesta risarcitoria globale di un milione e seicentomila euro, 170 testimoni citati tra cui noti uomini politici e attivisti, due scioperi della fame fino a 42 giorni con l’intervento del presidente Giorgio Napolitano; una stampa estera che ha divulgato la faccenda dal Canada alla Spagna, a tutta l’America Latina. (STAMPA ESTERA). Tutto questo non interessa Michele Santoro che dalla redazione una volta ci ha fatto sapere che ringrazia molto per i contributi documentali che puntualmente riceve dal Comitato che mi sostiene, un’altra volta mi fa chiamare da una loro redattrice per chiedermi di poter invitare delle “giovani attiviste”, che possano parlare in trasmissione della vita interna di partito, e poi quando fornisco loro nomi cognomi e relativi contatti telefonici, prima le contattano e le invitano, poi con un sms annullano la partecipazione (è comunque roba di alcuni mesi fa) per motivi, credo, pretestuosi. Forse non era piaciuta la canzone che le attiviste avrebbero cantato. Forse si preferisce un tono monocorde che replichi note che ormai tutti sappiamo a memoria. Concludo affermando che ritengo essere Michele Santoro uno dei più capaci professionisti della televisione. Maggiormente questo mi addolora. Offro a lui e a chi mi legge una fotografia in misura ridotta dell’altra faccia della medaglia, che volendo si può conoscere meglio e fare un vero servizio giornalistico politico e sociale. Wanda Montanelli