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20
Lug
- Wanda Montanelli
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Enrico Deaglio racconta, con un ritmo serratissimo, gli intrecci, le trame sotterranee e le svolte inaspettate del nostro racconto collettivo, mentre in sottofondo ci sono le canzoni, la moda, i film che hanno cambiato il volto del Paese.
Tutti sono concordi: non c’era mai stato niente come quel decennio, e quelli successivi non avrebbero potuto essere senza di loro. Gli anni sessanta, primo volume di una storia italiana che arriverà fino ai giorni nostri, vivono ancora adesso nella nostalgia e nel mito: nelle canzoni trasmesse alla radio, negli armadi o nelle cantine dove non ci si riesce a liberare di un eskimo o di una vecchia minigonna di pelle scamosciata, o nei cassetti dove ricompaiono gettoni del telefono, monete da dieci lire, biglietti di concerti, il congedo illimitato provvisorio, copertine di 45 e di 78 giri… La stragrande maggioranza degli italiani di oggi è nata dopo la guerra, tutti dunque, direttamente o dai racconti di chi c’era, sappiamo qualcosa di quel “decennio favoloso” che ci ha visto camminare insieme a Fellini, Visconti, Togliatti e Moro, Mina, Monica Vitti, Claudia Cardinale, Rita Pavone, Catherine Spaak; correre insieme ad Abebe Bikila e Gigi Riva, leggere insieme a Italo Calvino, Leonardo Sciascia, Natalia Ginzburg e Gabriel García Márquez. Mentre crescevamo, sono morti il campionissimo Fausto Coppi, il papa buono Roncalli, il presidente americano John Kennedy e suo fratello Bob; persone che avrebbero cambiato l’Italia come l’utopista Adriano Olivetti e l’industriale visionario Enrico Mattei. Sono morti anche il comandante Guevara, monaci buddhisti in Vietnam, il pastore Martin Luther King e Jan Palach, il prete con gli scarponi don Milani; altri crescevano senza essere visti, i Buscetta, i Sindona, “la linea della palma”. Ci facevano paura con la bomba e le guerre, ma ragazzi e ragazze incominciarono a dire “basta”, il cinema e la musica erano avanti (e di molto) sul mondo antico che ci governava, fatto di vecchi generali, vecchi politici, vecchi magistrati, vecchi professori, vecchi fascisti che trovarono, alla fine di quella favola, il modo di vendicarsi. E fecero scoppiare la bomba di Milano, con cui gli anni sessanta finirono. E non ci fu più l’innocenza. E dire che, prima, almeno per un attimo, tutto il futuro era sembrato possibile.
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Il grande giornalista ci presenta il lavoro di una vita: una storia d’Italia pop, istruttiva e appassionante, in un progetto editoriale ambizioso e bellissimo
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26
Gen
- admin
“L’uso massiccio del mezzo televisivo non ha effetti immediati sul pensiero ma produce nel lungo termine un effetto di “coltivazione” e provoca un cambiamento della percezione della realtà, facendo vivere lo spettatore in un mondo modellato su ciò che viene trasmesso nella televisione”
(George Gerbner 1919-2005 Annenberg School of Communications)
Nessuna novità rispetto alle esperienze passate di altri soggetti politici, se non la pervicace resistenza, dell’attuale Premier, nella trincea di lotta politica di un manipolo di uomini asserragliati contro l’esterno. Il mondo parallelo da confutare. Guerra di parole e guerra di immagini, interviste selezionate e messaggi autogestiti. E insieme alle notizie, si crea una nuova realtà mediatica ad usum delphini. Utilizzando un linguaggio “della gente”, un ragionamento tanto banale quanto efficace, di immediata presa emotiva. Da decenni l’effetto sperimentato sul pubblico risulta positivo considerando gli incoraggianti esiti, e si persevera nella scelta del linguaggio semplice in cui l’elettore si riflette. Il “passaggio dal paradigma della superiorità al paradigma del rispecchiamento”(1) è la formula testata da ripetere sempre e in ogni occasione, secondo Berlusconi, per stabilire un continuo rinnovo del patto fiduciario tra lui e i suoi elettori. Con un ricorso sistematico – come scrive Morcellini – ad uno stile appellativo che si rivolge alla “maggioranza degli italiani”, ai fruitori fedeli, “alla gente che non è stupida”. Con espressioni che stabilendo “quasi un’identità tra emittente e destinatario del messaggio, ottengono l’effetto di creare una circolarità comunicativa molto efficace”(2).
La stretta relazione tra ciò che vediamo in televisione e l’idea che ci facciamo della realtà è un apparato concettuale attraverso cui si può arrivare a indirizzare il pensiero dei “fruitori semplici di tv”. Laddove per semplici si intende persone che non hanno né voglia, né tempo, né talvolta la condizione culturale di confrontare le informazioni e metabolizzarle dopo un’attenta analisi critica. Conformarsi agli argomenti del messaggio tv è meno impegnativo, più semplice e adeguato ai riferimenti sociali abituali. La Teoria della coltivazione di George Gerbner assegna, infatti, alla tv la funzione di “agente di socializzazione”, oltre che “principale costruttore di immagini e rappresentazioni mentali della realtà sociale” (3).
Le scelte, anche politiche, quindi i consensi elettorali, poggiano sul rapporto di conoscenza e di fiducia cresciuto con l’esposizione mediatica di un soggetto. Un’operazione politica può partire da opzioni preliminari sulla base di categorie e successivamente offrire la proposta di un’ottima raffigurazione soggettiva della categoria emersa come favorita. Le fiction, i telefilm, gli episodi ripetitivi inducono a preferire alcune particolari professioni, ed è provato che i telespettatori sovrastimano chi lavora come medico, avvocato, detective, proprio in virtù della ripetizione di successi dimostrati dalla finzione televisiva.
Coltivare consensi equivale a modellare la realtà puntando sugli effetti cumulativi di permeazione nelle coscienze, per cui nel lungo tempo la televisione porta lo spettatore a vivere in un mondo che “somiglia” a quello mostrato dal teleschermo. Le principali agenzie educative come la scuola e la famiglia, o i punti di riferimento tradizionali come la religione, divengono secondari nella visione dell’esistente dei fruitori di tv che vivono in un “mondo televisivo” che non coincide con quello reale.
La tesi fondamentale della teoria di Gerbner è che “il mezzo televisivo fornisce allo spettatore, dall’infanzia all’età adulta, una visione del mondo comune e condivisa, operando in tal senso nella direzione di una unificazione della realtà”, una omogeneizzazione culturale.
Per questo si parla di coltivazione e di “mainstream of our culture”, “principale corrente culturale” derivata dalla realtà rappresentata.
L’uso politico dei mezzi di comunicazione di massa demandato agli esperti non si limita a sistemi di divulgazione elettorale ufficiali quali le tribune politiche. La comunicazione fatta in campagna elettorale, anche quando sfacciatamente costituisce prevaricazione sul diritto all’informazione equilibrata, è meno pericolosa delle soap-opera, le trasmissioni scanzonate, i talk-show. Come tutto ciò che perdura nel tempo e costruisce procedimenti mentali atti a incidere sul modo di pensare di ogni persona. In effetti gli spettatori di fiction, o di programmi di leggero intrattenimento, meglio che nelle tribune politiche “imparano” un mondo che è diverso da quello reale. I forti consumatori di televisione (almeno 4 ore al giorno) attuano uno “spostamento di realtà” e risultano influenzati dai contenuti televisivi nella loro percezione del mondo, “determinando uno scarto, empiricamente rilevabile tra ‘television answer’ e ‘reality choice’, che può quantificare gli effetti di coltivazione indotti dalla Tv “(4).
In termini semplici avviene che la rappresentazione del sociale presente nell’universo televisivo non è assorbita in maniera selettiva, non è scelta e scartata nelle parti meno rispondenti alla realtà, e gli stimoli o in messaggi in essa contenuti producono risposte sulla base di “quel” mondo rappresentato.
La coltivazione delle coscienze, quindi le azioni che le persone producono dopo anni di questo sottoporsi ad una particolare riproduzione della realtà, è ciò che maggiormente ci deve preoccupare.
Cosa può interporsi tra l’influenza dei media e il soggetto fruitore?
Secondo le due principali scuole di pensiero da una parte c’è la convinzione che i media sono onnipotenti e in grado quindi di manipolare facilmente il comportamento dei soggetti fruitori, e dall’altra l’opinione che esistono comunque delle variabili che filtrano potere dei media.
Secondo Wolf, e McQuail, (1992, 1994) gli effetti dei media sono in qualche modo “mediati” dalla fruizione “attiva” dell’ audience con una “influenza negoziata dei media” attraverso le relazioni interpersonali del contesto sociale di appartenenza (neolazarsfeldismo) (5).
Se viene trasferita in ambito sociale e politico per un preciso scopo, la manipolazione delle coscienze può essere solo il risultato di un’attività perdurante negli anni, per modificare la quale si dovrebbe operare per altrettanti anni avendo gli stessi mezzi a disposizione. Il lavoro sulle immagini, la valutazione sui meriti, gli stati d’animo, definiscono alcuni principi di base che costituiscono il patrimonio culturale, educativo, valoriale dei soggetti sovraesposti al messaggio tv. In conseguenza del quale moduli comportamentali si diffondono, azioni si compiono, scelte di vita in bene o in male vengono assunte.
E’ vero che quello che noi siamo germoglia – secondo Wolf e McQuail – da ciò che leggiamo, dalla stima dei vicini di casa, dall’affetto della famiglia o da circostanze casuali. Esiste però, oltre a tutto questo, il rapporto fitto con la tv e con i mezzi di comunicazione dai quali derivano convinzioni sulla realtà rappresentata. Ciò che una volta era il personale universo quotidiano, viene soppiantato da nuovi rapporti amicali, a senso unico verso modelli televisivi.
La credibilità dell’intrattenitore, la reiterazione del messaggio, l’apparente candore disinteressato di affermazioni a favore di una causa, sono potenti impulsi di indirizzo del consenso. Le quattro parole dette da Iva Zanicchi alla vigilia delle politiche nel 2001, durante un talk-show, riferendosi a Berlusconi candidato premier: “Lasciatelo provare poveruomo!” hanno reso più consensi di innumerevoli tribune o cartelli. Certo la risposta tangibile è venuta da soggetti “coltivati”, cresciuti secondo un esempio televisivo di riferimento, un paradigma di rispecchiamento. Sulla base di un modello che secondo la teoria della coltivazione “non riflette ciò che ogni individuo fruisce in televisione, ma ciò che ampie comunità assorbono durante lunghi periodi di tempo”.
Ci sono schiere di donne affezionatesi a Berlusconi da quando le telenovelas sono entrate nella loro vita. Gabriele Romagnoli scrive su di Diario, nel 2001, che direttore di un diffuso quotidiano, molti anni fa, prima della “discesa in campo”, andò a trovare Berlusconi nella sua villa di Arcore per chiedergli: “Cavaliere, ha mai pensato a candidarsi a sindaco di Milano?”. L’altro tacque e attraverso l’interfono disse: “Portatemi le lettere di oggi”. Un maggiordomo entrò con un sacco pieno di posta. “La media è diecimila al giorno – disse il Cavaliere – Sono tutte donne, mi scrivono per ringraziarmi, dicono che, da quando ho imposto le trasmissioni tv anche al mattino, ho cambiato la loro vita. Capisce? Io cambio la vita delle persone e lei pensa che dovrei candidarmi per Milano?”(6).
Era tanto tempo fa, la coltivazione era solo agli inizi. Ma tecniche sempre più marcate sono state messe in atto in circa vent’anni per migliorare il terreno di crescita nella possibilità di manipolazione delle coscienze.
Puntare per esempio sulla paura di un ipotetico nemico è uno dei cardini della teoria della coltivazione. Ripetere che pericolosi avversari sono in agguato per farci del male, paga. Per esempio i comunisti. Quelli di ieri e quelli di oggi, che – ancora peggiori nella ingannevole patina di uomini di mondo – tramano progetti eversivi, pur passeggiando nel borgo innevato di Saint Moritz, mistificati sotto sconvenienti sciarpe di cachemire.
La paura dello straniero, l’extracomunitario, il violento che viene da lontano, è stato oggetto di campagna elettorale del Pdl con annessa Lega, che ha dato risultati anche oltre ogni previsione. Scrive Gerardina Roberti: “Nel caso della violenza si verifica un differenziale di coltivazione: il soggetto fortemente esposto svilupperà la convinzione che nella realtà si sperimenti un elevato livello di violenza e che egli abbia consistenti probabilità di rimanerne vittima”(7).
Leva importantissima, inoltre, della ripulsa nei confronti di una non meglio identificata “sinistra” è l’affabilità contrapposta allo snobismo, il linguaggio amicale contro il detestabile e altezzoso modo enunciativo dell’intellighenzia comunista. Il soggetto livellatore del gap invece parla come mangia, scherza, sfotte, ride, è il primo a dare la mano e a sorridere, sembra buono, sembra generoso, sembra vicino e tangibile.
L’enorme potere di costruzione della realtà da parte dei media può “sostituire alla verità una realtà mediata dalla propria visione distorta e semplificata. E’ in tal senso che i media, e in particolare la Tv, coltivano – secondo Gerbner – rappresentazioni del mondo stereotipate, appiattite. L’individuo sarebbe così coltivato dalla televisione e tenderebbe ad assumere schemi di atteggiamento/comportamento dettati da essa. Ne consegue che l’individuo non soddisfa affatto il proprio bisogno originario (di interpretazione del reale), ma un bisogno di affabulazione (di sostituzione del reale con il verosimile)”. Un “effetto cumulativo di dipendenza”, che Geraldina Roberti, ritiene parta dalla riflessione sui media come agenti di socializzazione e, confidando sul fattore tempo, determini l’effetto condizionante.
La realtà oggettiva, senza possibili alterazioni, con la evidenziazione della propria intrinseca verità “viene indicata come il bias, ossia il trattamento equilibrato o meno dei differenti fronti di opinione su un argomento specifico” (8).
“Richard S. Salant, presidente della CBS News, disse in proposito: “I nostri giornalisti non fanno le notizie dal loro punto di vista: Le fanno da nessun punto di vista”(9). Tuttavia l’analisi di come il concetto di obiettività varia in relazione ai telegiornali ed alla natura soggettiva delle notizie, porta a considerare che il sommarsi di più versioni di uno stesso accadimento è uno strumento per soggettivarne la comprensione con il minor danno da condizionamento unilaterale.
Gianni Statera ritiene in proposito che “se si può definire operativamente il concetto di ‘imparzialità’ è difficile pretendere di fare lo stesso con un concetto propriamente filosofico come quello di ‘obiettività’. Non solo, infatti, i dati, gli eventi, gli ‘oggetti’ non parlano da sé, ma anzi di regola acquistano senso solo se inseriti in un quadro di riferimento cognitivo a caratterizzare il quale intervengono weltanschauungen dominanti, influenze socioculturali, ambientali, connesse alla subcultura prevalente nell’istituzione in cui si opera”(10).
Torniamo in conseguenza alla circolarità comunicativa, “alla strategia che stabilisce quasi un’identità tra emittente e destinatario del messaggio, che è – secondo Mario Morcellini – uno degli espedienti con cui Berlusconi è riuscito ad agganciare istanze proprie di quella parte dell’elettorato di cui è il naturale esponente – la media e piccola imprenditoria – alle istanze generali della nazione”(11).
Il linguaggio di Berlusconi riesce a costituire “il segno di una volontà tranquillizzante” che non comporta “alcuno sforzo di decodificazione da parte del ricettore del messaggio (…). ‘L’io credo’, l’anafora ossessiva di contenuto fideistico con cui Berlusconi inizia quasi ogni enunciato dei suoi discorsi è uno degli elementi rivelatori di una geografia linguistica che si articola su scelte lessicali ed espressive molto omogenee e ripetitive, che definiscono un microcosmo comunicativo enfatico e apodittico, nell’ambito del quale si organizza un sistema di valori espressi secondo un sistema ben preciso” (12).
Le strategie di marketing politico di Berlusconi sono concordate con gli esperti pubblicitari e comunicatori di cui si avvale da sempre. Lui stesso dichiara che la tecnica di promozione è la medesima sia per lanciare un libro che una forza politica.
L’intercettare i bisogni degli italiani implica anche una ulteriore possibilità, quella cioè, di ricorrere alle profezie che i ricercatori della scuola di Palo Alto in California ritengono più che utilizzata in politica. La profezia dell’evento, cioè, che provoca la sua realizzazione. Il “Self fulfilling prophecies” coniato da Robert K.Merton, (13) è commentato, nell’ipotesi di causa-effetto da annuncio, in un’intervista su “Repubblica” del senatore Norberto Bobbio per esprimere, già anni fa, una seria preoccupazione riguardo alla situazione politica italiana: ”Lo stesso emettere delle profezie provoca – o così si spera – la realizzazione delle profezie stesse. Di fatto – dice Bobbio – gli strumenti di comunicazione possono favorire questo prodigio: dando per certo che qualcosa accadrà si aiuta un po’ a farla accadere” (14).
L’adeguamento al desiderio profetizzato, la conferma dell’esistente contro la paura del diverso, il senso di inadeguatezza, il timore del peggio, conduce ad apprezzare l’universo virtuale che tranquillizza e pertanto va difeso a spada tratta. Non si fa altro in fondo che accogliere una eloquenza consolatoria facile e riconoscibile per proteggersi da un mondo che è visto come altro da sé. Considerato comunque ostile, anche se fosse l’unico reale.
Wanda Montanelli, 25 gennaio 2011
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(1) Giuseppe Antonelli, Sull’italiano dei politici nella Seconda Repubblica (in L’italiano oltre frontiera, atti del V Convegno Internazionale [Lovanio, 22-25 aprile 1998], a cura di Serge Vanvolsem et alii, Leuven University Press – Cesati, Lovanio-Firenze, 2000);
(2) Mario Morcellini, “Elezioni di tv”, pag. 177, Costa & Nolan 1995;
(3) George Gerbner 1919-2005 Annenberg School of Communications)
(4) Geraldina Roberti, docente Univ. Di Siena, Ritorno ai Powerfun media, Gli effetti a lungo termine, 2004-2005
(5) Mauro Wolf, Gli effetti sociali dei media, Milano, Bompiani, 1992
(6) Gabriele Romagnoli A qualcuno piace Silvio, , Diario pag. 26, 30 marzo 2001, editoriale Diario S.r.l., Milano
(7) Geraldina Roberti, docente Univ. Di Siena, Ritorno ai Powerfun media, Gli effetti a lungo termine, 2004-2005
(8) David L. Altheide, “Creare la realtà”, pag 18, Eri 1985
(9) ibidem
(10) Gianni Statera, Introduzione a David L. Altheide, “Creare la realtà”, pag. 7, Eri 1985;
(11) Mario Morcellini, “Elezioni di tv”, Costa & Nolan pag. 178, 1995;
(12) Ivi, pag . 179;
(13) Robert K.Merton, Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna 1959
(14) Mario Morcellini, Cit, pag 184;