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NOI, COLPEVOLI D’INNOCENZA

Il mondo così com’è non ci piace, ma non è il nostro mondo. Neppure gli appelli delle donne Udi ed Onerpo e hanno fatto desistere il padre di Sanaa dai suoi propositi. Fossi il Giudice ne terrei conto.

Come potrebbe essere il mondo governato dalle donne? Intendo dire donne vere, abituate a far quadrare con sacrifici il bilancio di casa, ad educare i figli e trasmettere loro principi morali e valori di base, ad essere rigorose nel far rigare dritto chi a loro è affidato; ad esprimersi ed agire con azioni efficaci contro la violenza che le tocca da vicino come donne e come madri; a trattare l’ambiente e programmarne la decontaminazione per il senso del futuro in eredità ai propri figli. Le donne sanno essere severe e senza sconti quando è necessario, compiendo e pretendendo sacrifici per obiettivi comuni. Le donne non hanno ancora potuto dimostrare che cosa sanno fare perché i luoghi della politica spesso sono chiusi al talento femminile anche se si tende a negare questa verità che è sotto gli occhi di tutti. Ogni volta che si esprime l’auspicio di una società in cui le donne abbiano voce e potere decisionale si intende dire “anche” le donne. Ci si riferisce un desiderio di cooperazione tra gli aventi diritto. Non c’è nessuna conflittualità, né avversione agli uomini in quanto tali, che molto amiamo e rispettiamo quando a loro volta ci amano e ci rispettano. La domanda è invece “quanto onorano i nostri desideri i soggetti preposti alle scelte che ci riguardano?” Poco. Ci onorano poco e male. Lo vediamo dal modello dell’esistente che non regge più. Che cosa vogliamo esaminare per primo, i disastri ecologici, la corruzione dilagante, il precariato e il degrado della qualità della vita, l’abbassamento ai livelli minimi del senso morale collettivo? Che cosa possiamo aspettarci ancora di peggio e di più degradante dell’induzione in schiavitù di minori, di abusi e brutalità, di crescita di bisogni indotti da prototipi di superficialità e vuoto esistenziale. La violenza alle donne, ricorrente e impunita, anzi premiante per l’immediata popolarità dei malvagi, con primi piani in tiggì di prima e terza serata, inchieste con la lente di ingrandimento su soggetti che da un giorno all’altro possono addirittura lucrare su loro delitto e diventare personaggi degni di attenzione; con l’esaltazione dell’eroe negativo che prima o poi trova emuli per cattiveria, per noia, o per “esistere” in quanto rappresentato dalla tv. Sarebbe saggio l’oblio su certe efferatezze, invece vengono imposte all’attenzione pubblica. Questa violenza di cui tanto si parla e contro cui minimamente si agisce, pensate che noi donne non saremmo in grado di vincerla difendendoci in proprio? Avendo l’accesso ai luoghi delle decisioni, credete che non saremmo in grado di iniziare un corso diverso di prevenzione a garanzia e tutela dell’incolumità delle donne e punibilità dei violenti? Sapremmo, ne sono convinta, programmare la nostra difesa e tutelarci molto meglio di come ha fatto fino ad oggi chi ha il potere di farlo, ma si rivela incapace di agire con fermezza e raziocinio. Senza obblighi verso nessuno. Libere di scegliere. Affrancate dall’assoggettamento ai poteri forti. Svincolate dall’obbligo di anteporre alle deliberazioni le convenienze del mercato degli scambi occulti, le donne prediligono un progetto di vita che tuteli i diritti di tutti, dei meno protetti soprattutto; che guardi all’equilibrio delle risorse, alla salvaguardia del futuro con il rispetto della dignità umana e la fine dell’aggressione all’ambiente. La storia di Sanaa è solo l’ultimo tragico tassello di un domino concepito dall’uomo che continua a negare libertà di pensiero, di azione, di felicità a chi non si uniforma al modello maschile, qualunque esso sia. Proprio oggi il padre-assassino della ragazza ha ammesso di aver tentato di ucciderla già da una settimana. Dunque, neanche la staffetta contro la violenza alle donne, promossa da ONERPO e UDI e svoltasi nel centro di Pordenone tre giorni prima del delitto, gli ha fatto cambiare idea. Quasi sia un segno del destino, centinaia di donne vengono a sfilare nella tua città, chiedendo e invocando di non ricorrere alla violenza e tu non sai neppure fermarti per un istante a riflettere. Senza speranza. Fossi il Giudice chiamato a giudicarlo terrei conto anche di questo. E comunque, a parti invertite, non sarebbe mai successo. Nessuno può oggi affermare che le donne abbiano avuto una chance e non essere state capaci di ottenere il cambiamento che sognano. L’unica colpa che hanno le donne è l’innocenza; quella di non aver mai governato. Parafrasando il titolo di un film si può dire che sono “Colpevoli di innocenza”. 19 settembre 2009 Wanda Montanelli FILMATO: Noi colpevoli di innocenza

STAFFETTA DI DONNE CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE (UDI-ONERPO)

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Sesso a gogò ricatti, intimidazioni. Roba da uomini mentre nelle retrovie le donne si occupano di iniziative concrete

Forse è tempo di interessarsi d’altro oltre che di tette a pagamento. Il silenzio delle donne di cui tanto si è scritto durante la calura estiva, non è un vero silenzio, ma una sordina d’obbligo che il sistema impone alla parte femminile del Paese, la più grande numericamente, la più povera di risorse e mezzi. La voce delle donne dà fastidio, anche quando è in toni caldi e persuasivi; anche quando usa argomentazioni civili per legittimamente difendersi da tutto ciò che l’aggredisce, la inquieta, costituisce pericolo per sé, la società, la famiglia, l’ambiente, la cultura. “Gli argomenti delle donne non interessano nessuno” qualcuno prova a dire, ma non è così. Perché un film ci piaccia dobbiamo vederlo, perché un libro ci affascini dobbiamo leggerlo, perché un quadro ci conquisti dobbiamo osservarlo. Quello di cui le donne vorrebbero parlare, bisogna conoscerlo, approfondirlo, pubblicarlo. Non solo nelle riviste femminili, o nelle poche tv tematiche, nei compartimenti stagni dei dipartimenti per le pari opportunità. Per carità utili, anzi indispensabili, ma dovesse esistere una vera democrazia aperta alla cittadinanza femminile non ci sarebbe bisogno dei settori per la parità. Oppure esserci per difendere gli uomini qualche volta vivaddio ! L’espressività e il talento femminili nelle rare occasioni in cui si può dimostrare dà risultati sorprendenti. Senza far la lista delle rare occasioni in cui ciò è successo, oserei sperare che qualche volta è accaduto perché nessuno ha posto volutamente limiti o ostacoli e non perché ci si è dimenticati di mettere in moto il meccanismo di esclusione: muto, sordo, invisibile, ma pazzescamente insormontabile e odioso. Non sono fantasie. Le donne, quando la competizione è corretta vincono. Quando si concorre a partire dallo stesso punto, si impongono in percentuale notevole. Sono più intelligenti e più brave? No. Sanno che il sistema non giustifica errori di donne che non hanno parti anatomiche in “co-gestione da carriera”, quindi si organizzano, si preparano, studiano, magari cercano di conoscere statistiche sulle domande d’esame e indagare sui testi preferiti dall’esaminatore. Non sono più brave. Si procurano borracce d’acqua essendo abituate ad attraversare il deserto. Eppure può accadere che gli uomini le temano. Fanno paura per la loro determinazione, la convinzione di avere qualche diritto. Come per esempio quello di scegliere di essere carine con chi le ispira a prescindere dal bisogno o dal tornaconto. Libertà di donne. Indipendenza vera. E’ la cosa che più spaventa gli uomini abituati a comprarle le donne. A comprarle con denaro, offerte di lavoro, o promesse di carriera. La sofferenza femminile è dovuta a questa incomprensione di fondo, al complesso che fa ritenere negativa la libertà femminile, poiché diventa impegnativo competere con intelligenza paritaria. E senza privare i gli uomini illuminati e veri della esistente considerazione che essi hanno di donne felici incontrate sul loro cammino, bisogna rilevare che l’esasperazione della incomprensione, la paura, i difficili condizionamenti sociali, portano alla violenza di cui in questi giorni non si fa che leggere e sapere. Ma più di tutti è deleteria la cattiveria dell’ignoranza. L’incultura. Donne violentate, uccise, rese schiave, vessate. “Si dovrebbe andare in piazza! Farsi sentire!” si scrive nei blog e in qualche quotidiano che d’estate ha pensato bene di trovare un argomento insolito. Ma noi in piazza ci siamo! Chi lo sa? “Le donne dovrebbero organizzarsi! Come mai tacciono?” Ma siamo organizzate! Parliamo! Cerchiamo di far sapere le cose… Chi lo scrive? Contro la violenza sono innumerevoli le iniziative, ma poco se ne sa. Questa dell’Udi ha attraversato l’Italia. Dalla Sicilia alla Lombardia. Regioni, province, centri piccoli o grandi, migliaia di donne vanno da una luogo all’altro, da una piazza centrale ad una via periferica, da un teatro, a un centro estivo; di giorno di notte, dovunque per protestare contro la brutalità. Si chiama “Staffetta di donne contro la violenza alle donne!”. Ha per simbolo un’anfora che viene consegnata dalle porta-staffetta da sud a nord, dalle alpi alle Piramidi. E’ partita da Niscemi il 25 novembre 2008 dove è stata assassinata Lorena Cultraro, di 14 anni. Finirà a Brescia il 25 novembre 2009 dove è stata assassinata Hina Saleem di 20 anni. Migliaia le associazioni interessate. Ognuna con suo colore sociale o politico ma plurale nell’interesse comune in difesa delle innocenti. Un’iniziativa di donne per le donne che ha la dignità di essere rappresentata, anche se nessun partito vi si riconosce o può metterci il cappello. Per una volta c’è qualcuno che può interessarsi di una manifestazione sociale a prescindere? E’ una cosa di donne, donne, donne. Punto. Il 12 settembre la staffetta sarà a Pordenone. L’hanno organizzata un gruppo di volontarie, insieme alle due portabandiera Onerpo e Udi. Francesca Costa e Zanette Chiarotto, con Franca Giannini, e le ospiti Aura Nobolo, Santina Zannier, Alessandra Battellino, Maria De Stefano. Ci stanno lavorando da tempo. Ci mettono il cuore, il tempo e ogni risorsa disponibile. Andiamoci nel nostro interesse. Wanda Montanelli LA LOCANDINA E L’INVITO

RINASCERE NON E’ UN’OPPORTUNITA’ MA IL DOVERE DELL’ESSERE UMANO QUANDO TROPPO SI E’ PERDUTO

. . . “Alla politica si è sostituito il potere” (Concita De Gregorio da suo art. “Ribelliamoci come in Iran e in Birmania”). Vero, verissimo. Pochi si rendono conto che uno degli strumenti per controllare le masse è il sistema fiscale e l’attuale crisi finanziaria. Le donne ed i giovani sono le vittime “eccellenti” da sacrificare per rendere inoffensivo il punto di intolleranza che divide l’illusione di esseri liberi dalla certezza di non esserlo. Il silenzio delle donne italiane (e non mi riferisco alle poche consapevoli del procedimento dissolutorio della società “civile” che si sta perpretando a livello globale) non è un’anomalia ma la conseguenza psicologica dell’illusione di una democrazia inesistente. Le donne italiane tacciono perché è stata tolta loro anche la responsabilità morale di gestire il privato. Vessati economicamente i cittadini non possono godere una vita di reale benessere e trascorrono la maggior parte del tempo a far quadrare i conti. E’ importante che i cittadini non pensino e soprattutto che le donne non si evolvino. Le donne sono un elemento della popolazione sovversivo con l’ossessione di proteggere il futuro. Private dei beni essenziali (lavoro, famiglia, istruzione, informazione, etc.) saranno sempre più disposte ad accettare patti moralmente illeciti pur di sopravvivere. Nel mentre il silenzio. Credo che il tempo delle analisi sia scaduto. La rassegnazione che ci ha imposto il patriarcato per lunghi secoli ha lasciato il posto all’indifferenza. La cura all’apatia è una buona dose di disobbedienza civile. Solo la piazza può rallentare questa agonia e solo le donne possono protestare ed alzare la testa prima che il sistema le travolga definitivamente. La disoccupazione intellettuale di molte rappresentanti femminili non è giustificata se non dal profitto personale e va assolutamente individuata ed isolata. I movimenti femminili non hanno bisogno di una parte politica o sindacale nella quale riconoscersi ma devono conquistare tutti gli spazi scelleratamente concessi nel tentativo ingenuo di rivalersi in silenzio. Tali movimenti dovrebbero agire in piena autonomia e coesi nell’obiettivo di ridare voce alla questione femminile. Agitare le bandiere della libertà di lavoro o della tutela economica dei lavoratori è un’arma a doppio taglio che attraverso l’acquisizione di strumenti finanziari al servizio del potere può rovesciare il senso di qualsiasi lotta. Avendo quindi formulato tutte le analisi oggettive possibili dobbiamo assolutamente escludere coloro che ci indicano terapie in funzione della diagnosi del Paese. Non esistono emergenze che non siano state create ad hoc se non quella di uscire dal silenzio-consenso ed entrare nell’urlo del rifiuto. Poiché il sistema attuale si è raffinato nel mascherare la tendenza autoritaria in autorevole, occorre fare attenzione al gioco di opposizioni mediatiche e di stampa funzionali al coordinamento di un nuovo ordine sociale. Questo di fatto sta accadendo attraverso la nomina di un organigramma che dall’economia e finanza alla pubblica amministrazione passando per la magistratura e finendo ai corpi militari conta un numero sempre crescente di asserviti alla demolizione del servizio sociale propriamente detto. Noi donne possiamo rompere il silenzio e uscire dalla sudditanza solo se da controllate ci controlleremo da sole (un po’ come fanno le banche). Dovremmo stabilire il prezzo di una decisione dopo aver smesso di lamentarci e di essere docili. Anche il tempo dello sdegno è scaduto e la prostituzione domestica e pubblica deve essere ingoiata dall’azione collettiva. Le soluzioni troveranno la loro materializzazione attraverso l’azione coordinata di leaders motivate dall’essenziale e prive di rancore. C’è bisogno di voci pulite e forti capaci di trascinare in piazza più della metà della popolazione. Coloro che affermano la liberazione femminile da una parte e dall’altra servono i responsabili di crimini contro l’umanità come la violenza globale contro le donne vanno isolati . Il ricatto della sopravvivenza può essere sconfitto solo attraverso il ripristino della dignità collettiva (visto che quella individuale è stata attaccata fino all’osso). Dobbiamo riprendere la corsa verso l’indipendenza inseguendo un solo obiettivo: l’indipendenza stessa. Certe che qualsiasi compromesso può divenire strumento (specie quello finanziario) di inibizione di qualsiasi forma di lotta dovremo restare vigili e ricominciare a contarci. Anna Rossi Resp. Relazioni Esterne O.N.E.R.P.O. 21 agosto2009

SIAMO SOLO MERCANZIA SULLO SCAFFALE

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La tv misogina che ci guarda con disprezzo. Il corpo delle donne in vendita per placare la sete di successo degli uomini. Fino a quando?

Passata un po’ d’acqua sotto i ponti riprendiamo il tema dell’odio verso le donne. Quello avvalorato dalla tv e da certi uomini politici in conflitto con l’elemento femminile. Disprezzo celato dietro una sipario di finto amore e rispetto. Chi ci odia e ci teme vuole per prima cosa addomesticarci, comprarci, o farci fuori. I latin lovers come Casanova e Don Giovanni passano da una conquista all’altra e secondo la psicanalisi hanno insicurezze nella sfera sessuale. La classica teoria freudiana sostiene che il seduttore si lancia in molteplici conquiste al fine di dimostrare la propria virilità, perché un uomo normale secondo la psicoanalisi non avrebbe bisogno di andare così lontano per dimostrare a se stesso che è virile. Altre considerazioni danno invece una intrigante spiegazione di teatralità nel funzionamento delle passioni casanoviane organizzate come rappresentazioni intellettuali della parola messa in scena insieme alle immagini, per indirizzare i sentimenti verso l’azione, alimentarla attraverso una scena mentale, un canovaccio per sedurre e stimolarne la fantasia erotica ma anche per comunicare efficacemente con gli altri, nel mondo nella società. E’ il mito del seduttore rivisto e paragonato ad altri come Ovidio, Garcia Lorca, Rodolfo Valentino, Rasputin, Gabriele D’Annunzio. Semplificando rammentiamo l’aforisma di Giacomo Casanova: “Le donne sono come le ciliegie: una attira l’altra”. Il tema delle donne viste come cibo, o merce, o oggetto del desiderio. Niente di nuovo sotto il sole nonostante il femminismo, la liberazione della donna, il progresso. Pochi i passi compiuti nella soggettivazione femminile, e da vent’anni a questa parte invece si è respinto ogni appello sociale per la crescita e l’emancipazione. Si è passati cioè dalla segregazione in casa delle donne all’imprigionamento in schemi asfissianti di donna-corpo, estratto dalla costola dell’uomo per farlo nascere a suo modello rispondente a fantasie irreali. L’oggetto-donna si è trasformato in questi ultimi tempi. Non ha tratti espressivi, né genuinità, né segni caratteristici anche dovuti all’età, al dolore, alla vitalità innata, ad un sorriso autentico. L’oggetto-donna si è trasformato secondo il desiderio maschile e la sua fantasia erotica come oggetto di piacere. Bambole di gomma fatte di carne umana. Quale più alto contributo è stato mai concesso al genere maschile? Nessuno obbliga nessuno. Le donne però instradate verso modelli di successo, plasmate secondo paradigmi televisivi sono oggi al punto di aver perso l’identità estetica, ma anche spesso quella interiore e profonda per rivolgersi ad ottenere un diritto solo attraverso l’avvenenza fisica. Il documentario “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo ha registrato e commentato ore di trasmissioni realizzando una maratona- tv da cui la donna esce umiliata e plastificata non tanto nei glutei e labbroni seriali, quanto nell’inconsistente indipendenza dalla volontà maschile di renderla manufatto di consumo. Da qui la frase l'”utilizzatore finale” che esprime compiutamente la mercificazione del corpo delle donne, pur nella consapevolezza che il sistema va esaminato sapendo che i capi-politici padroni di donne asservite sono numericamente superiori all’unità di cui si parla in questi giorni riferendosi all’attuale capo del governo. La puntata l’Infedele di Gad Lerner sulle veline in politica ha raggiunto il record di ascolti dopo aver trasmesso uno spezzone del video della Zanardo. Il programma derivava dallo scalpore suscitato per l’indignazione di Veronica Lario e la sua frase “ciarpame senza pudore”, riferita alle veline candidate per le europee del giugno 2009. Qualche giorno prima il workshop di Fare Futuro, la fondazione presieduta da Gianfranco Fini, analizzava il ruolo femminile in politica con Sofia Ventura, Linda Lanzillotta, Catia Polidori , Donata Francescato, la sottoscritta, ed altre ospiti parlamentari o studiose di settore. Conseguentemente La Repubblica, pubblicava la critica all’uso spregiudicato del corpo delle donne e l’altolà della fondazione di Fini. Chi tratta così le donne non le ama di certo, ma le oggettivizza perché ne teme l’autonomia, e avendo ormai compreso che non sarà troppo lontano il tempo i cui il femminile entrerà nei luoghi di potere, preferisce cominciare ad inserirvi donne marchiate dal proprio contrassegno di maschio possessore e gestore all’infinito. Un po’ come la pipì dei gatti all’angolo di casa per delimitare il terreno in cui comandano. Un po’ come dire “queste donne sono mie propaggini, le conosco, le ho avute alla mia tavola e nel mio letto. Loro sono me stesso e la mia volontà impressa al femminile. Governerò sempre io anche attraverso loro”. Non si offendano le donne. Loro sanno e accettano consapevoli il gioco. Ciarpame senza pudore? Probabilmente sì, ma anche ragazze scaltre e forse consapevoli che altre strade non sono percorribili. Evitano a se stesse esperimenti di ardui percorsi pieni di ostacoli, muri invalicabili e soffitti di vetro. Non le giustifico, le spiego. Scelgono scorciatoie puntando su un azzardo di sesso e intimità con l’uomo potente che concederà loro un ruolo istituzionale, imprenditoriale o politico come un cadeau di ringraziamento per le belle ore passate insieme. Quando tutto va bene è così. Ci ritroviamo (senza nulla togliere all’esiguo numero di donne che tra tante meritevoli che fanno militanza politica, sono riuscite a conquistare ruoli importanti), con parlamentari e governanti propaggini di una stessa politica stantia e occlusa alla libertà di scelta femminile. Temiamo la ricattabilità del comandante-politico che può ricevere sempre nuove richieste da soddisfare dalle sue ganze, oppure coercizioni da chi nell’entourage familiare o amicale è a conoscenza della storia di sesso e politica. Non è un discorso morale questo, ma un riassunto pragmatico. La domanda che segue: Non avremmo diritto al meglio possibile nei posti di governo? Paolo Guzzanti parla di mignottocrazia. Cosa facciamo? Insegniamo ai giovani che è inutile impegnarsi e studiare ma bisogna entrare nell’ordine di idee di essere corpi e menti in vendita? Saremo un giorno governati solo da mignotte e mignotti? La propaganda di tale metodo per far carriera, in politica, o i altri campi come lo spettacolo, è dilagante, specie in tv, e nei media in generale. La vicenda della famiglia Lo Cicero ne rende in chiave parossistica il significato. La figlia del signor Lo Cicero vuol fare l’ingegnere? Disgrazia! Non sa la stupida che per far carriera deve imparare a sculettare e ambire a un posto di velina o di sgallettata in un qualche show? “Siamo solo mercanzia sullo scaffale” dice Shirley MacLaine alle amiche per lamentare le avances ricevute dagli uomini che vorrebbero portarsela a letto. Nel film “Tutte le ragazze lo sanno” (titolo originale Ask Any Girl di Charles Walters, 1959) l’ingenua ragazza venuta dalla provincia riesce a sposare David Niven suo datore di lavoro solo dopo averlo convinto a considerarla merce da promozionare con i metodi dell’agenzia pubblicitaria di cui lui è direttore. Meg (Shirley MacLaine) intendeva però conquistare Evan (Gig Young), il fratello del suo capo, e lavorando sulle sue preferenze in fatto di donne (colore di capelli, voce, passi, atteggiamenti, trucco, abbigliamento) si adegua ad essere una femmina costruita a misura del gusto particolare di un uomo. La reversibilità delle sue trasformazioni porta ad un lieto fine nel film. Oggi però nulla è reversibile perché le donne si trasformano chirurgicamente in maniera definitiva. La subordinazione è pesante e grandi sono le ripercussioni sociali incentivate da questa tv che odia le donne; quelle vere, quelle adulte, quelle che hanno dei contenuti a prescindere dal loro aspetto. “L’obbiettivo è interrogarci e interrogare sulle ragioni di questa cancellazione – scrive la Zanardo – un vero ” pogrom” di cui siamo tutti spettatori silenziosi.. […]. L’immagine femminile con cui l’uomo ha interpretato la donna e’ stata una sua invenzione…” Bisogna cambiare. Partendo anche dal raccontarci le storie di papi quotidiani . La politica dei giorni nostri ne mostra e ne dimostra altri di papi, forse più furbi di Berlusconi. La storia personale di ogni donna è dimostrativa di quante volte ci può essere capitato di perdere un lavoro o un’occasione per non essere disposte a venderci. Anche nelle piccole conquiste di normale quotidianità, perché alcuni uomini sono convinti che i diritti delle donne si concedono solo dietro pagamento di contributi in natura. Tutte abbiamo subito le avances di qualche papi, no? Ognuna di noi ne avrebbe di storie da raccontare; io rammento un episodio a lieto fine (umoristico ormai) accaduto a Laura, mia cugina che trovato un posto da commessa in un grande magazzino all’ingrosso in corso Umberto a Napoli veniva invitata dal capo a prender parte all’accoglienza dei commercianti che erano lì per acquisti. La richiesta era però che Laura li ricevesse in reggiseno e slip per far loro vedere la qualità dei prodotti. Lei rifiutò e fu licenziata. Aveva vent’anni e quel tempo si era minorenni fino a ventuno. Mio zio, papà di Laura, poteva scegliere di denunciare il fatto, ma preferì recarsi ai magazzini per chiedere con voce imperiosa di parlare con il direttore. Questi uscì dal suo ufficio gli chiese cosa desiderasse. Mio zio tirò fuori dalle tasche un reggiseno e una mutandina, mentre diceva: “Voglio parlare con sua moglie!”. Il direttore allarmato replicò: “Perché”?. “Perché – rispose – li ho comprati oggi ma non sono convinto che stanno bene addosso! Faccia venire qui sua moglie che se li prova così mi convince!”. Il direttore se ne tornò nel suo ufficio e si chiuse dentro. Lo zio uscì dai grandi magazzini solo dopo aver raccontato l’episodio del licenziamento di Laura a tutti i clienti del grande magazzino. Una piccola grande soddisfazione che si menzionò in famiglia per rallegrarsi ogni volta che le ragazze di casa lamentavano di non riuscire a trovare un lavoro. Una volta c’era la consolazione della dignità personale, familiare, sociale. Era lontana da quel mondo la tv che umilia le donne e fa apologia dello spregio trasmettendo una realtà tanto dannosa quanto falsata. Wanda Montanelli

EUROPEE: NO DONNE NO PARTY

Le magnifiche sette anche questa volta mancano all’appello. Non si festeggia, Di Pietro ci ha deluso di nuovo.

I deputati Idv per l’Europa sono in maggioranza uomini come per il Parlamento italiano e sempre in coerenza con il conformismo elettorale che emargina le donne E’ rimasta tristemente all’angolo del frigo la bottiglia di Chardonnay pronta per brindare all’elezione delle sette speciali donne ostentate in campagna elettorale da Di Pietro. Temo che resterà lì a lungo fino a perdere le qualità organolettiche che permettono ad un vino bianco di essere bevibile negli anni. C’era scritto sull’etichetta “Per brindare alle donne elette”, ma temo che per il tintinnare dei calici dovrà passare ancora troppo tempo e, piuttosto che un bianco deperibile, nei tempi lunghi ci conveniva scegliere una bottiglia di Barbera o di Barbaresco che reggono meglio il passare dei lustri. Temo che gli anni del ravvedimento siano molto in là da venire. Forse un cambio della guardia o un miracolo permetteranno una democrazia compiuta all’interno di Idv, e fino ad allora si tratterà soltanto di grazia ricevuta. Leggo le dichiarazioni di Pia Locatelli, presidente dell’Internazionale socialista donne, sulla misoginia degli italiani per il numero esiguo delle 12 elette su 72 parlamentari italiani alle europee quest’anno. Lei, come tante altre donne competenti di politica e di problemi sociali, potrebbe essere in Europa a far un buon lavoro se non ci fosse stato l’infame sbarramento. A che serviva in Europa cancellare la volontà di milioni di votanti che preferiscono scegliere programmi e modalità di vita non massificate? Non c’è nemmeno la scusa che si debba governare per cui serve stabilità; è una sgarberia, un calcio in faccia a tutti coloro che nonostante l’oscuramento mediatico dei piccoli partiti hanno deciso di dare il voto a chi li ispira di più per fiducia e progettualità. Tanti i partiti restati fuori dal Parlamento. Si è annullata la volontà di milioni di elettori. Trovo sia una prepotenza, un’azione che va contro le regole più elementari della democrazia. E’ come se in un condominio, scusate l’esempio semplificato, composto da due soggetti: un costruttore che ha i millesimi di metà palazzina e l’altro, un palazzinaro che ha un terzo degli appartamenti, venisse impedito a tutti i proprietari singoli o di quote minori di partecipare alle decisioni condominiali. Sarebbe assurdo costringere questi ultimi ad assoggettarsi ai voleri della maggioranza condominiale senza nemmeno poter partecipare all’assemblea per capire i motivi delle decisioni, suggerire possibili alternative, o magari tentare di impedire di essere lesi nei propri diritti. E’ chiaro che in fase di votazione vincerebbe la maggioranza, ma la democrazia prevede per lo meno l’ascolto delle minoranze. Torniamo alle elette, poche pochissime, e come poteva essere altrimenti se non se ne sono viste in campagna elettorale?. Sonia Alfano ha attinto alla sua bisaccia di consensi per l’impegno sociale svolto in questi ultimi anni. L’azione vampirizzante si estrinseca ogni volta su una doppia pista. Usando la struttura, la casa comune, quindi il logo che simboleggia l’impegno decennale di attivisti che hanno creduto ad un programma ed uno statuto di partito si fanno eleggere “altri” che non si sa bene come la pensino, che non sono iscritti, che apertamente dichiarano che non hanno intenzione di farsi la tessera e che spesso fuggono alla prima occasione per altri lidi. Suggerirei di rivedere il post “Fazzoletti di carta, taxi e baobab” dove il concetto è ben spiegato. Questa volta s’è aggiunta una presa in giro attraverso un’agenzia pre-elettorale di partito che Di Pietro, evidentemente preoccupato per la citazione in giudizio per discriminazione femminile presso il Tribunale di Milano ha lanciato chiamandomi in causa, usando il mio numero magico per offuscare i contorni della vicenda ed esorcizzare i sensi di colpa.”Non sono un ducetto e nemmeno un maschilista, ecco la prova”, era scritto sull’agenzia Dire del 16 aprile 09. Decisamente io di prove di ravvedimento non ne ho trovate. Questi sono gli eletti in Europa 2009: Pino Arlacchi, Luigi de Magistris, Vincenzo Iovine, Niccolò Rinaldi, Giommaria Uggias, Gianni Vattimo e Sonia Alfano. Sei uomini e una donna, nemmeno di partito. E’ Il solito gioco in disprezzo dei dirigenti e delle dirigenti di tra cui ADP avrebbe dovuto scegliere le candidature. In casa propria cioè, non a casa del diavolo. Il risultato invece è molto diverso e lontano dalle premesse per cui si era messa in fresco la bottiglia di spumante (vedi: “Eurobrindisi“) Le dichiarazioni di Antonio Di Pietro solo per un attimo ci hanno di nuovo illuso. Le frasi promettenti hanno fatto inalberare molte delle attiviste che da anni si impegnano seriamente nel partito con capacità, abnegazione, preparazione, idee. Le vere magnifiche insomma. Diciamo la verità poi… sette è il numero simbolico che indica ogni volta un quantum accettabile. Un numero dignitoso di donne eleggibili e ancora oggi si è voluto alterare la realtà con dichiarazioni basate sul niente, poiché, come si poteva facilmente prevedere, i risultati sono quelli che leggiamo sulle pubblicazioni ufficiali. Sonia Alfano c’è la fatta, ma possiamo valutare che ha dato del suo. C’è stata una posizione di sufficiente visibilità di Sonia in lista, cosa invece negata a tutte le altre donne che non avevamo in partenza alcuna opportunità di farcela. La formula è semplice. Gli elettori votano i candidati conosciuti precedentemente alla candidatura o per quello che si riesce ad apprezzare di loro in campagna elettorale. Di donne in talk show se ne sono viste quasi per niente. Non so come sia possibile farsi votare se nessuno vede e conosce le candidate. Presumo che sia una presa in giro. Debora Serracchiani, l’accattivante avvocata neo parlamentare di Udine emersa da un’assemblea dei circoli Pd, ha avuto un meritato successo che si è reso possibile da una serie di partecipazioni in programmi di elevato ascolto. L’hanno invitata Daria Bignardi in “Era Glaciale” (Rai2), Lilly Gruber in “Otto e mezzo” (La7), Floris a “Ballarò” (Raitre). Debora è piaciuta, e in Friuli ha superato Berlusconi con 73.910 preferenze contro le 64.286 del premier. Così si fa. Le donne vanno rese conosciute in tutta la loro splendida esistenza talentuosa. Molte di coloro che fanno politica sono brave e meriterebbero di essere sostenute e votate. Mi pare però che le liste di Idv avevano come capofila uomini, tra l’altro nemmeno di partito, a parte Di Pietro e Leoluca Orlando. Le candidate, altro che chiacchiere, erano in posizioni di lista di nessuna visibilità. In tv non ci son state e la stampa, compiuto il dovere di pubblicare le liste ufficiali, non può fare di più. Come avremmo potuto apprezzarle e votarle? In compenso abbiamo visto De Magistris in tutte le salse e in tutte le tv. Santoro non sembra anche lui fare un buon lavoro nella divulgazione democratica e nel senso delle pari opportunità se invita Di Pietro e De Magistris, dimenticando le candidate donne. Come lui molti altri programmi ben volentieri si assuefanno al sistema machista e limitante il talento femminile. Salvo poi gridare al miracolo quando una fresca, brava, intelligente ragazza conquista tutti con il sorriso e le cose che dice. Lo squilibrio tra i sessi continuerà ancora a lungo se consideriamo l’opportunità femminile come un prodigio a cui per una serie fortuita di combinazioni si da’ spazio. Un miracolo appunto, o una grazia ricevuta per motivi e finalità non propriamente sociali. A meno che non si consideri socialmente rilevante l’intrattenimento privato del leader politico di turno. Beppe Grillo ha usato, nella sua audizione in Senato, parole dirette e crude com’è nel suo stile. Io uso espressioni più morbide per aggiungere, da ottimista conoscitrice del campo, che molte parlamentari meritano lo scranno conquistato perché hanno fatto sacrifici e gavetta. Perciò tengo a far sì che non passi il messaggio che per riuscire a fare un legittimo percorso politico istituzionale si debba passare almeno una notte tra le lenzuola del capo. Non è così. Non deve essere così. In Politica come per le altre professioni artistiche, culturali, imprenditoriale la donna non è merce di scambio. Insegniamo alle ragazze ed ai ragazzi a farcela con impegno e talento. Poi a letto andiamo con chi ci pare per il puro piacere di farlo o per amore. Libere e liberi. Creiamo i presupposti perché la società accolga i progetti e le ambizioni di chi merita. Anche per questo contiamo molto sulla sentenza della nostra causa pilota. Come per una legge di contrappasso un giudice dovrà riequilibrare il sistema distorto e antidemocratico dell’attività partitica. La via giudiziaria alla conquista del diritto di cittadinanza istituzional-politica delle donne. A partire dai fondi loro destinati con l’art. 3 della legge 157/99 finalizzati alla “partecipazione attiva delle donne alla politica”, e proseguendo in tutte le dimostrate occasioni di esclusione femminile: dalle segreterie apicali di partito alle liste in posizioni di eleggibilità, al disprezzo del patto statutario che prevede pari opportunità. Oggi il 16% di elette è meno della metà dell’obbiettivo di un terzo che era data come soglia minima indicata dall’Europa per il riequilibrio donne-uomini all’europarlamento. Vergogniamoci, non c’è niente da festeggiare. No donne no party. Rimandiamo alla prossima occasione. Molte di voi anche fuori della politica mi chiedono di poter gioire insieme per il giorno del giudizio di fine causa. Conserverò la bottiglia di Chardonnay e ne ordinerò tante altre perché quel giorno saremo in molte a festeggiare l’inizio di una strada senza muri di gomma. Apriremo una pista. Un percorso previsto dagli articoli 3 e 51 della Costituzione che i recalcitranti saranno costretti a rileggere insieme alle motivazioni della sentenza. Roma 14 giugno 2009, Wanda Montanelli