Tag Archives: Claudio De Conto
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10
Ott
- admin
La gente si aspetta risultati veri per penare di meno. Cose concrete della vita di tutti i giorni che sembrano a portata di mano ma sfuggono via portate dal vento insieme alle chiacchiere che la nostra classe politica ci amministra. Tanto bravi tutti a parlare e litigare quanto incapaci di portare a casa quello che la popolazione disagiata desidera. Cosa? Lavoro, stipendio, casa, scuola, mezzo di trasporto, spesa alimentare, abito, salute, ecc.
Se l’utopia un tempo era una carriera di prima ballerina alla Scala, oggi è utopico un posto di lavoro, una casa, un reddito per vivere. Non si chiede assistenza, ma un vero diritto ad una seria attività come prevede la nostra carta costituzionale. Si chiama lavoro. L’impegno cioè a svolgere un’attività fisica o intellettuale in cambio di uno stipendio dignitoso. Questo e non altro.
Sto parlando dei nostri concittadini della fascia “non privilegiata” che l’assistenza sono consapevoli di doverla lasciare a chi ne ha diritto per elezione in quanto appartenente a una rango superiore. L’assistenza in questi ultimi tempi è concessa a chi le “cose tangibili” le ottiene per il proprio status di capitalista a prescindere dai frutti del capitale. E’ una sorta di socialismo per i ricchi e capitalismo per i poveri, è un impianto complessivo delle scelte che premia sempre e comunque chi il mantello per l’inverno ce l’ha già. E’ una scellerata politica economica che favorisce la concentrazione del capitale verso pochi soggetti sociali e il dissanguamento incessante verso tutti gli altri.
L’accusa è al sistema di capitalismo clientelare che da troppo tempo ormai socializza le perdite e privatizza i profitti. Di esempi ne abbiamo negli Stati Uniti, come in Europa, con salvataggi compiuti nel corso degli anni come il commissariamento dei colossi del credito ipotecario Fannie Mae e Freddie Mac, o della Bear Ste-arns. Da noi è l’Alitalia il caso tra i più eclatanti di socializzazione delle perdite. Ma numerosi sono gli esempi di azzardo morale, moral hazard cioè il sistema mentis che permette ad un soggetto di correre rischi avventati perché si considera esonerato dalle conseguenze del rischio stesso. E’ un ombrello grande quanto un pianeta rispetto alla cifra necessaria a non far morire di fame la famiglia di un cassintegrato. “Questi soggetti fanno i soldi sui disastri che loro stessi hanno creato” afferma Joseph Stiglitz, premio Nobel e docente di Economia alla Columbia University. E la domanda che i comuni mortali hanno in mente è: se una banca o una società prossima al fallimento diventa redditizia grazie ad una gestione pubblica perché restituirla agli incapaci che l’hanno fatta fallire? Il rigore logico non dovrebbe portare a socializzare i profitti dal momento che quei profitti derivano dalle tasche dei cittadini?
Non di ipotesi ideologica si tratta, ma di considerazione pragmatica. Chi il capitale sa farlo fruttare liberamente senza chiedere nulla al pubblico merita di intascare i profitti, altrimenti i profitti devono essere restituiti al pubblico.
Viviamo in una società privata del futuro, in cui banche e holding finanziarie accumulano guadagni, mentre i comuni mortali vivono giornate buie senza schiarite. Dal Rapporto sui diritto globali 2010 emerge che nel 2009 le famiglie italiane si sono indebitate di media per 21.270 euro per ogni cittadino. Per i lavoratori dipendenti il debito annuo è di 15.900 euro, di cui il 79,4% per la casa e il resto per consumi diversi.
Pensare che un tempo gli italiani erano un popolo di risparmiatori e di lavoratori, ma adesso non sono più né l’uno né l’altro e non per loro colpa. Il popolo di risparmiatori si è disperso nel rincorrere le spese superiori alle attese di guadagno. E la “fortuna” di avere un lavoro, le rare volte che capita, non salva dall’impoverimento. Il fenomeno del “working poor”, citato nello stesso rapporto, fornisce i dati sulla soglia di povertà relativa di 13,6 milioni di lavoratori con meno di 1.300 euro netti al mese.
Il reddito familiare perso tra il 2002 e il 2008 è di 1.599 euro tra gli operai e di1.681 euro tra gli impiegati. Ma non basta perché gli aumenti dei prezzi, della disoccupazione e il livellamento verso il basso dei salari hanno aggravato l’emergenza casa. Entro il 2011, si prevede che 150.000 famiglie italiane saranno sfrattate.
A fronte di questi impoverimenti si apre la distanza tra ceti sociali fino al punto che c’è chi guadagna smodatamente e senza alcun imbarazzo nei confronti dei disperati alle prese con rate di mutuo in mora, il distacco della corrente o lo stop all’erogazione del metano, sicché gli sfiancati dalle difficoltà del vivere perdono anche l’ultima chance di attaccarsi alla canna del gas.
I sacrifici (non dico a lacrime e sangue ma semplici economie dettate da un soprassalto di decenza) sono istituti che certa gente sa ben allontanare da sé, un po’ per egoismo, un po’ per questione di classe (assenza di). Per fare qualche esempio possiamo citare Carlo Puri Negri, ex vicepresidente esecutivo di Pirelli Re, che ha incassato 14 milioni di euro nonostante la società abbia chiuso l’anno con un passivo di 104 milioni. Claudio De Conto, ex direttore generale di Pirelli, con l’introito di 7,3 milioni. Tra chi non si fa mancare niente troviamo, con 5,6 milioni, Marco Tronchetti Provera presidente di Pirelli. Sergio Marchionne e Luca Cordero di Montezemolo entrambi remunerati dalla Fiat, rispettivamente con 4 milioni e 782 mila euro l’uno, cinque milioni e 177 mila euro l’altro.
Gli elenchi riempirebbero pagine e pagine ma chiudiamola qui specificando che con il compenso di 100 top manager delle banche si potrebbero pagare i salari di 10.000 lavoratori.
IL PRAGMATISMO DI CUI GLI ITALIANI HANNO BISOGNO
Come se ne esce?
Evitando gli scontri tra fazioni sembra avvicinarsi il tempo di condividere con le donne la gestione della cosa pubblica. Le donne che impegnate nelle istituzioni non si dilungano in polemiche di principio, ma affrontano in modo pragmatico le questioni per risolverle in tempi rapidi e in una prospettiva attenta ai bisogni delle persone. Da indagini su comportamento delle deputate in Europa risulta che l’approccio femminile alla politica è caratterizzato dall’attenzione all’individuo e ai suoi tempi e modi d’essere. Appare chiaro che le donne sono più democratiche, aperte ai cambiamenti e molto sensibili agli interessi degli elettori.
Non conviene, a chi è abbarbicato ai posti di potere, fare l’esperimento clou. Provare cioè come le donne riescono a risolvere gli annosi problemi che loro, per interessi di bottega o inettitudine, lasciano marcire. Se i cittadini, una volte messe alla prova le donne nelle istituzioni apicali, dovessero trovarsi tanto bene da confermarle al potere decisionale, costoro avrebbero chiuso e andrebbero a casa intorbidati dalle chiacchiere di cui hanno ammorbato il clima.
Tra le possibilità concrete di perseguire il bene comune un’idea da ben valutare potrebbe essere il modello di Big Society, del 44enne Phillip Blond. La sua idea è criticata come un possibile progetto di taglio al Welfare State, ma se ben regolato il piano potrebbe creare nuove opportunità di lavoro appaltando ai cittadini i servizi. E’ chiaro che non di privatizzazione si tratterebbe, ma di concessione vincolata al rispetto dei diritti di chi vi è coinvolto. In Italia il sistema delle cooperative già funziona da molti anni. Una supervisione delle istituzioni e soprattutto accordi di conferimento del servizio che prevedano l’annullamento del contratto in caso di manifesta incapacità o mancato rispetto delle regole sui contratti di lavoro o altre irregolarità, sarebbe il necessario contrappeso prima di imbarcarsi in un sistema che potrebbe essere vincente o deleterio a seconda di come lo si imposta dall’inizio.
Di buone idee ve ne sono. Basterebbe avere l’interesse a realizzarle, chiaramente interesse “pubblico” per migliorare la qualità della vita degli italiani. Un’idea rivoluzionaria: “Tassare chi specula” è la campagna condotta dall’Unità. Si tratta della Ftt, Financial Transaction Tax (la tassa sulle transazioni finanziarie), dell’importo minimale che va dallo 0,01 allo 0,05% che approvata sarebbe una risorsa per superare gli effetti della crisi che ancora incombe.
Il premier Berlusconi la definisce ridicola, Nicolas Sarkozy l’ha promossa in sede Onu, le lobby finanziarie la osteggiano. Ma non sembra così ridicola se l’Austrian Institute for Economic Research fa sapere che la tassa applicata a livello globale potrebbe garantire un gettito fra i 500 e i 1000 miliardi di dollari l’anno, e applicata nei soli Paesi dell’Unione europea la Ftt frutterebbe circa 200 miliardi di euro.
Il dibattito aperto negli Stati Uniti dagli economisti Paul Krugman e Joseph Stiglitz, è sostenuto dal presidente Barack Obama che però deve andarci cauto considerando i contraccolpi nelle elezioni di mid term.
La minuscola tassa mette paura a chi gioca con la speculazione e giocando si diverte solo lui mentre tutto il resto va in malora. A Bruxelles i socialdemocratici tedeschi e austriaci pensano di raccogliere un milione di firme in base a quanto previsto dall’Art. 11 del Trattato di Lisbona per invitare la Commissione europea a presentare una proposta. L’obiettivo è chiaro: chiedere al prossimo G20, previsto per novembre a Seul, l’introduzione di Ftt.
In Italia già dalla scorsa primavera è iniziata la “Campagna 005”. Sul relativo sito si può aderire e lasciare un commento.
Roma 10 – 10 – 10
Wanda Montanelli