QUELL’ OTTUSA GUERRA CONTRO I PRINCIPI DEMOCRATICI

L’articolo di Daniele Biacchessi “Giù le mani dal 25 aprile” sul suo blog Italia in controluce del 18 agosto, è letto in radio, ed è sull’intenzione di spostare il 25 aprile alla domenica successiva. Per sentirlo mi perdo un po’ di rassegna stampa di Massimo Bordin. Mi dispiace perché è la migliore, ma ne vale la pena. Altroché. In 15 righe il vicecaporedattore di Radio24 esprime la sintesi: “E’ come se si chiedesse agli americani di spostare di qualche giorno l’anniversario dell’indipendenza (4 luglio), come se si chiedesse ai francesi di posticipare il giorno della presa della Bastiglia (14 luglio)”. I francesi a un’ipotesi del genere sarebbero già in piazza con il drapeau tricolore, bleu, blanc, rouge, chi in canottiera, chi in chemise Lacoste, agguerriti come il coccodrillo simbolo della Polo di Renè, a cantare “Allons enfants de la Patrie, Le jour de gloire est arrivé. Contre nous, de la tyrannie…”. E speriamo solo a cantare, ma ne dubito. Gli italiani invece, presi in contropiede dalle preoccupazioni della manovra fiscale, intorpiditi dal caldo agostano maggiormente sofferto da masse di cittadini senza vere vacanze, facendo la spola tra spiagge libere e casa d’abitazione, tra il rudere in collina della nonna e il bicamere in periferia, sono statici. Siamo tutti immobili in attesa del peggio. Ma più che altro increduli. Troppo abituati alle regole del convivere democratico, non ci rendiamo conto che zolla dopo zolla ci stanno portando via la terra da sotto i piedi. Così ci rifilano il peggio di ogni possibile soluzione. Contando sulla nostra inerzia, chi governa mette in cantiere progetti di cambiamenti istituzionali, costituzionali, sociali, che non c’entrano nulla con il problema del debito pubblico e con la manovra fiscale, ma che per una strana alchimia perversa, dovendo predisporre l’antidoto al male, pensano che sia arrivato il momento della resa dei conti e preparano la pozione avvelenata. Perché per loro il male è la democrazia, per loro il male è “La sovranità che appartiene al popolo”, per loro il male è il decoro della persona che lavora e che quindi ha diritto ad uno statuto dei lavoratori. E’ lui il soggetto: il lavoratore. Ma questi assoggettati della politica illiberale non intendono mantenere l’uomo al centro della fruizione del diritto. Lo Statuto dev’essere, secondo costoro, “dei Lavori”. Sono i lavori a preoccuparli, perché si sforzeranno di “pensare” a come rendere tali lavori sempre più proficui per chi in essi investe e sempre più miserabili per chi lavora. Sicché non ci saranno limiti a diminuire le paghe, imitando Cina e Bangladesh, e osservando gli italiani nelle loro reazioni; nell’accettazione disperata di qualsiasi cosa purché si lavori: cococo – cocopro – a tempo determinatissimo – interinale, o ancora in nero. Scrutando come con la lente al microscopio la nostra trasformazione da italiani viziati dal diritto costituzionale in ibridi dalla pelle chiara ma lo standard comportamentale indo asiatico: poveri, precari, senza futuro, ma con la testa china ed il sorriso stampato per la gratitudine di esistere comunque. Anche con le pezze al culo. Li gratificherà molto la nostra trasformazione in cinesi. Senza offesa per gli orientali della repubblica popolare ma sono certa che questi autoritari gestori del precariato italico proveranno un senso di libidine profonda nell’immaginare di trasformarci tutti in cinesi. Con la globalizzazione si pensava di elevare verso l’alto la qualità della vita dei “senza diritti”, ed è accaduto che invece ci siamo noi livellati verso il basso. Ma l’asticella è continuamente spostata verso giù, sicché la soddisfazione massima potranno provarla quando ci vedranno strisciare per terra senza midollo né spina dorsale. Reclamano il diritto di licenziare.(AGI – Roma, 17 ago: Manovra: Crosetto, giusto poter licenziare liberamente) Ma c’è già il diritto di licenziare. Da che è nata la repubblica si licenzia per comportamenti scorretti del lavoratore. Si mettono gli operai in cassa integrazione quando la fabbrica è in crisi, si manda via chi è disonesto. Ed è paradossale che lo reclamino adesso. Quando c’è la crisi. E’ come se in un naufragio con tanti annegati, invece di salvare i pochi in canotto, si buttassero a mare tutti. E’ questo che vuol dire il diritto di licenziare: buttare a mare i pochi che mantengono in piedi l’economia facendo acquisti, magari con cambiali e prestiti perché hanno il posto fisso. Tutto ciò non ha senso. Lo avrebbe se dopo una sperimentazione ventennale dello pseudo-liberismo esasperato e ignorante l’Italia fosse fiorente. Non lo è. La maggior parte degli italiani non è mai stata così male. Abbiamo rubato i sogni ai giovani, possessori quando va bene dell’ultimo modello di telefonino acquistato con la paga precaria di un mese. Uno specchietto per allodole. Per negare a se stessi e agli altri di non aver nulla, oltre al diritto di mandare cento sms al giorno (ma a chi, al Padreterno?) con l’ultrasconto in offerta speciale. Nulla. Neanche più la voglia di cercare lavoro. Per entrare nel limbo degli inoccupati o dei disoccupati. E quanto siamo bravi in Italia ad aumentare le tipologie dei “non lavori”. Si intende cambiare lo Statuto. Non tanto per fare lo statuto “dei lavori” quanto quello dei “non lavori”. Dove il soggetto principale è il denaro, e i beneficiari quella piccola percentuale di straricchi. E’ un dato statistico Banca d’Italia che il 10 % delle famiglie italiane detiene circa il 45 % della ricchezza nazionale; ed è così da dieci anni a questa parte. Durante questo tempo il 90% della popolazione italiana si è accontentata di spartirsi il restante 55 percento della ricchezza prodotta. Certi illiberali di governo non apprezzano le cose dai contorni netti: la Festa del 21 aprile, lo Statuto dei lavoratori, la Costituzione italiana. Non amano niente di tutto questo gli ottusi. Troppo bene è scritta la nostra Carta fondamentale, compresa da tutti e chiara. Non va bene. Bisogna mettervi mano e renderla più confusa e incomprensibile. Dati i risultati, dato che il Paese è fermo, chi governa dovrebbe domandarsi se è meglio concentrare la ricchezza in poche mani e bloccare tutto o scegliere di re-distribuirla per incentivare i consumi gli investimenti, la produttività. Essere non-ottusi significa cercare la spinta propulsiva che si trova in quell’unica strada del bene pubblico, del mettere le persone, donne e uomini, al centro degli interessi di chi si occupa di gestire la cosa pubblica. Eppure è facile dedurre che il successo in economia va perseguito attraverso la ricerca della felicità di più gente possibile. La felicità interna lorda, il Fil dovrebbe essere l’obiettivo di chi governa. E’ un discorso di generosità, ma anche se volete di egoismo intelligente. Wanda Montanelli, 19 agosto 2011

NON E’ VERO CHE IL MARE NON BAGNA NAPOLI

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Da Valenzi a de Magistris un salto generazionale, forse davvero ultima speranza per Napoli

E’ una brutta immagine. Il film di Nicholas Meyer mi dava meno afflizione. The Day After del 1983 Sapevo che era finto. A Napoli oggi è tutto vero, purtroppo. Chi come me ha lasciato da molto tempo Napoli per cercare altrove sbocchi alla propria esistenza, spera che un giorno qualcuno compia il miracolo e che il senso di rifiuto che ci ha allontanato possa trasformarsi in nostalgia, o invidia per chi è rimasto. Ancora così non è. Abbelliamo i nostri ricordi con aneddoti dell’infanzia, storie di generosa umanità, memorie del palcoscenico aperto a qualsiasi improvvisazione ‘a braccio’ da commedia dell’Arte che nei vicoli di Napoli si rappresenta tutti i giorni. Ci beiamo del consunto dvd di ‘Natale in casa Cupiello’ progettando di andare a comprare bellissimi pastori a San Gregorio Armeno. La strada famosa per l’arte presepiale la incrociamo da Spaccanapoli l’insieme di sette vie che solca geometricamente il centro storico. Siamo lì domenica 19 giugno, al ritorno da Ischia, anticipato appositamente per mangiare la pizza. Non una pizza qualsiasi, ma “la pizza” di Michele a Forcella. Sul traghetto con i miei amici passiamo tempo a discutere se sia il caso di andare da Brandi, l’originale inventore della pizza in omaggio alla regina Margherita di Savoia. L’orario per fortuna non ci dà scelta. Alle quattro del pomeriggio solo Michele è sicuramente aperto. Esulto in silenzio perché sono anni che tentano di dirottarmi da Brandi senza riuscirci. Il Rettifilo dopo via Marina espone cumuli di immondizia e cassonetti bruciati. Ancora qualche residuo carbonizzato spande nell’aria un odore acre e un’immagine surreale. Da piazza Garibaldi percorriamo a piedi un lungo tratto di strada osservando i palazzi tardo ottocenteschi di corso Umberto. Pochissima gente per strada nella torrida giornata pre-estiva. I negozi tutti chiusi. Bancarelle nessuna. Neanche i nigeriani con le cinture taroccate. In via Cesare Sersale scorgiamo ancora saracinesche abbassate. Michele è chiuso. Accidenti avevamo dimenticato che fa riposo la domenica.“Iatevenne add’ o Trianon. E’ fernuto l’impasto!” raccomanda il proprietario della storica pizzeria Michele quando la chilometrica fila di avventori esaurisce le scorte di pasta fermentata. Però stavolta basta voltarsi per notare anche l’altra saracinesca abbassata. Oltre Forcella, proseguiamo per la stretta via Duomo. Una donna anziana magrissima vende poche sigarette su una cassa di legno di frutta. Dei rumeni bevono birra acquistata in un minimarket arabo. Il kebab è offerto da un cartello colorato al di fuori di una stretta porta. E’ una specie di basso e ci hanno fatto una bottega araba. Un giovane con la camicia aperta e una grossa catena al collo ci osserva: “Una pizzeria aperta?” gli chiedo e lui ci manda più su alla pizzeria del Presidente, “pecché Clintòn (con l’immancabile accento sulla seconda sillaba) “primma s’accatte e cravatte ‘e Marinella e po’ se magna a pizza ‘addo Presidente”. Avanziamo nel cuore di Napoli, dietro di noi quattro giovani procedono a passo veloce. Un altro ci viene incontro con il motorino. “Non cerchiamo il pericolo?”, mi dicono gli amici. Quattro giovani ci seguono. E’ l’ipotesi di uno scippo. “No, non succede niente a Forcella. Guardali negli occhi e ci vedi il mare”. “Ma se sono con gli occhi neri”. “Non hai letto Proust” rispondo. Se a Napoli togli il mare spegni anche la luce negli occhi dei suoi abitanti. Quando mi capitò di leggere “Il mare non bagna Napoli” di Anna Maria Ortese, provai lo stesso senso di spegnimento dei rumori, delle voci e della musica. Come nella domenica pomeriggio davanti ai cassonetti bruciati e il Corso semideserto. A quel tempo esprimevo la mia passione politica attraverso le canzoni, e nel 1983 all’elezione del sindaco Valenzi composi il brano “Non è vero che il mare non bagna Napoli”. Maurizio Valenzi era considerato un sindaco galantuomo semplice e leale, un campione dei valori della libertà e uguaglianza. Il primo sindaco comunista, ed io salutai la sua elezione come un evento estremamente positivo. La sinistra che inseguo è un po’ a modo mio, quindi non da comunista, ma da attenta osservatrice dei mali di Napoli, mi piacque quel sindaco tunisino-livornese di cui tutti parlavano bene. “No, non è vero che il mare non bagna Napoli / che la speranza col vento non soffia più. No, non è vero che dentro son tutti morti / se tocchi il fondo qualcosa ti spinge su…” E poi da quando andavo all’asilo ogni tanto sentivo qualcuno dire nel pieno dell’ esasperazione: “Adda venì baffone!” Chi fosse baffone non era dato di sapere, perché la spiegazione più accettabile, tra tante strampalate che mi venivano dette, era che un giorno qualcuno con i baffi sarebbe arrivato a mettere le cose a posto, ed aiutare i poveracci che penano la vita. Beh, de Magistris non ha i baffi. Nemmeno è comunista. Che dire? Potrebbe avere la luce negli occhi come i ragazzi di Forcella, e come la bambina apparsa a Gilberte Swann, lungo il sentiero dei biancospini nella Recherche. Noi che vediamo il mare dove non c’è, e gli occhi del colore che ci piace immaginare, non ci rassegniamo. L‘elezione di de Magistris, con un salto generazionale, è forse l’ultima speranza di Napoli. Dovrebbe capirlo anche chi fa grezzo ostruzionismo per questioni di potere fine a se stesso. L’analisi degli interessi incrociati che auspicano il fallimento del Sindaco venuto da lontano è su tutti i giornali, da qualsiasi parte la si osservi. Pensando a costoro mi viene in mente un imbecille che un paio di anni fa buttava rifiuti e liquami nella Grotta Azzurra. Faceva karakiri. Come adesso i camorristi o gli oppositori di regime. Certe volte mi chiedo dove credono di poter andare questi guastatori quando avranno avvelenato tutto? Di contro leggo: “de Magistris per ora può avvalersi del completo sostegno della cittadinanza che, compatta, si è dichiarata solidale con il suo sindaco. Infatti, in molte zone della città sono sorti comitati autonomi di raccolta differenziata e molti disoccupati si stanno adoperando per ripulire le spiagge e il lungomare. Si sta diffondendo rapido il porta a porta, che in alcuni quartieri raggiunge una percentuale di riuscita pari al 65%. Nel futuro progettuale del Sindaco c’è la necessità di costruire un impianto di compostaggio che renda Napoli e la Campania completamente autonome e indipendenti, e libere dai rifiuti per strada”. Allora ritrovo il mio testo: “Dopo il contagio, la gente si immunizzò Lungo il letargo e grave la malattia/ ma la speranza col vento poi ritornò”. Giugno 2011, anno della Rinascita. http://www.vogliounasinistramodomio.net/contenitore/cantautori/ Wanda Montanelli

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