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LE PIETRE DELLA LAPIDAZIONE SUL MONDO

STONING IN (ON) THE WORLD

Dai casi che hanno fatto scalpore, come quelli di Safya Husseini e Amina Lawal in Nigeria fino alla condanna alla lapidazione di Sakineh Mohammadi Ashtiani in Iran, il percorso che riconduce “la pena antica” alla “pena nuova” non si è mai interrotto. Nelle pietrose contrade mediorientali la lapidazione costituisce una forma di linciaggio ed esecuzione sommaria di origini antiche. La Bibbia riferisce vari episodi di cui si ricorda, più comunemente, quello di Santo Stefano, lapidato per blasfemia, e la contestazione di Gesù, contro il diritto di chiunque ad eseguire una simile pena, a favore dell’adultera “ Chi di Voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei” – Giovanni 8:7-11 -. La lapidazione è di derivazione giudaica e ne troviamo traccia, per esempio, in Deuteronomio 22,23-25 o nei Cor. 24,4. Dalla terra sassosa di Palestina, dove la rabbia popolare si esprimeva attraverso il linciaggio e la lapidazione, alla presunta introduzione di questa barbarie nei califfati medinesi, successivi al Profeta Maometto da parte del califfo Umar (6m.644), testo di riferimento / Hadith, volume 8, Libro 82, numero 810), la lapidazione risulta essere non un rimasuglio del passato ma una pena in espansione diffusa dagli integralisti. In Iran, l’articolo 83 del codice Penale, chiamato legge dello Hodoud, prevede la pena di 100 frustate per coloro che, non essendo sposati, praticano sesso fuori dal matrimonio; per gli adulteri è prevista la pena per lapidazione. Se l’Iran ha reintrodotto la lapidazione nel 1983, a seguito della Rivoluzione Islamica sciita, all’estremo nord dell’isola di Sumatra, il Parlamento di Aceh ha approvato nel 2009 le nuove norme “a interpretazione” della legge islamica, che prevedono la morte per lapidazione per chi tradisce il marito o la moglie. In Arabia Saudita, dove non esiste un vero e proprio codice penale né un sistema giudiziario regolamentato, la situazione in concreto non è dissimile dal contesto tribale in cui i processi sono condotti in paesi come l’Afghanistan, lo Yemen, il Bangladesh, il Pakistan, la Somalia, il Sudan. I processi sono segreti, gli imputati non hanno diritto ad un avvocato né vengono informati della condanna alla quale non vi è possibilità di appello. In Arabia Saudita il Consiglio Giudiziario Supremo, i cui membri vengono nominati dal Re, “riesamina” i casi capitali ed è ritenuto responsabile dell’applicazione della shari’a. In Somalia, a causa della guerra civile, le strutture giudiziarie sono collassate fin dal 2000 e spesso i tribunali islamici, sorti a livello locale, sono fuori controllo statale e applicano pene come il taglio delle mani o dei piedi e anche la lapidazione. Idem per il Sudan dove la rete dei tribunali islamici , creata dal fondamentalista sudanese Hassan el Turabi, sfugge al controllo del governo centrale e sentenzia in piena indipendenza. Piccoli cenni questi che offrono un quadro chiaro che tradisce l’impossibilità di avere notizie dei casi di lapidazione che accadono in zone remote e lontane dalle grandi città. Affinché il caso iraniano di Sakineh Mohammadi Ashtiani non sia strumentalizzato per fini di carattere politico, con oscuri rovesci di interessi internazionali che vanno oltre la condanna dell’Iran per l’applicazione della lapidazione (tortura e pena di morte), ho voluto ricordare il corollario di paesi, nel mondo islamico, che nell’assenza di informazione più assoluta affiancano questa realtà. L’occidente è servito solo in minima parte dalla verità necessaria a capire quel che davvero muove le notizie. Le giuste campagne di sdegno internazionale verso la lapidazione lasciano spesso sul campo un nemico scomodo e non i colpevoli tutti. Ci sono però musulmani che sostengono che il Corano condanni apertamente la lapidazione e che la stessa non sia affatto una pena islamica. A tal proposito va ricordato un ex membro del Consiglio supremo della Magistratura in Iran, l’Ayatollah Dr. Seyed Mohammad Bojnourdi, il quale, intervistato, ha affermato che punizioni così crudeli danno un’immagine distorta dell’Islam (cosa che di fatto avviene) tanto da indebolirlo e da creare un effetto di riluttanza soprattutto fra i giovani. Credo che il punto chiave della situazione sia la violazione dei diritti umani. Sia la tortura che la pena di morte, applicate nella lapidazione, non possono ridursi ad un caso o ad una questione nazionale (ricordo anche che la maggior parte delle lapidazioni è subita da donne) ma vanno ricondotte al perenne controllo di qualsiasi tipo di libertà e nel caso delle donne a qualsiasi tipo di emancipazione delle donne stesse. Parlare dei diritti delle donne nel mondo è la storia più lunga dell’umanità. La donna non ha diritti sia come madre che come sposa in moltissimi paesi e le conquiste occidentali appaiono quasi un miracolo, nonostante i problemi di discriminazione che tutti conosciamo anche in occidente. La vessazione continua, infatti, che il corpo femminile subisce attraverso la propaganda pubblicitaria “liberata” è spesso oggetto di contestazione e nel contempo non offre quell’immagine appunto “liberata” della donna soggetto dell’evoluzione umana. Il male di tutti i mali resta “lo stupro”, il signore indisturbato dei crimini contro l’umanità. L’elenco impressionante di donne stuprate, che l’era moderna veste anche di un abito bellico dalla sostanza antica e brutale comune solo all’uomo, esprime la radice malvagia di un’insana relazione tra i generi. Le pietre che uccidono sono espresse dunque anche dai sassi avvolti nelle mani di chiunque non ha il coraggio di lasciarle cadere in terra e riconciliarsi con l’umanità. Altre pietre uccidono con la stessa forza anche se non figurata colpendo la bellezza dell’infanzia e marcando lividamente l’anima di dolore e sofferenza. Dalla violenza sessuale alla lapidazione la strada a ritroso conduce dritti nella caverna. L’uomo della caverna sperimenta, non conosce, ha sentore del pericolo e colpisce per primo come può. L’uomo della caverna è la sintesi dell’incapacità a cogliere il messaggio di vita oltre la mera sopravvivenza fisica. Secoli di storia, intrisi di bellezza e malvagità, non hanno ancora permesso al destino umano di fare la differenza e di riappacificarsi con l’universo. Essere donna oggi è più pericoloso che essere soldato, in guerra come in pace”A pronunciare queste parole è il generale Patrick Cammaert, ex capo delle forze di peacekeeping dell’ONU, intendendo così lo stupro come strumento militarmente efficace, una sorta di arma bellica in grado di determinare tanti conflitti. Gli antichi e i nuovi drammi della storia umana devono essere sdoganati alla consapevolezza. Occorre lavorare ad un modello di “uomo nuovo”, un essere umano compassionevole e capace, un essere dal battito pulsante verso il vero e la gioia, un essere che si innalza al di sopra di tutto perché in grado di riconoscere le radici del suo male oscuro che lo rendono spesso peggiore di una qualsiasi bestia. La protesta globale contro l’abuso, la tortura e la pena di morte rappresenta il seme della riconciliazione con l’alito vitale. Le donne possono cambiare il corso della storia dell’umanità. I loro ventri generosi cullano la vita che verrà e che darà loro la forza di resistere all’ostinazione mortale di chi teme, più che mai, il confronto e il futuro. Come un Satana che aumenta la dose di malvagità davanti alla bellezza del bene così una parte di umanità scimmiotta il satanico sistema in difesa del potere. La verità è che sia l’uno che gli altri sono molto preoccupati. Hanno guardato nel futuro, hanno cercato accuratamente in “quel futuro”, ma di loro nessuna traccia. La natura elimina ciò che non serve e rafforza chi la sostiene. All’alba del nuovo mondo il “nuovo uomo” smetterà di soffrire e di far soffrire. Io ci credo e voi? Anna Rossi Responsabile Relazioni Esterne Onerpo Docente di Business English – Facoltà di Scienze Sociali- Roma Li, 06 settembre 2010 FIRMA L’APPELLO CONTRO LA LAPIDAZIONE

COSTITUZIONE DA BERE

(pensieri liberi di un politico “alla moda”)

E’ lei la colpevole. Non prende compensi. Non cambia vestiti a gusto di Pigmalione. Dà i numeri e li interpreta a suo modo. Se la crede, eccome se se la crede! Anziana com’è farebbe bene ad andare in pensione e lasciare il posto ad altre più avvenenti e moderne. Che dobbiamo farcene di lei? Bisogna assolutamente sostituirla. Sì, dobbiamo proprio farlo e interrompere quei suoi vaneggiamenti su diritti, doveri, dignità, lavoro. Ci ha stancato con i suoi numeri. Insomma dà proprio fastidio la cifra del suo impegno. Animo, leggerezza ci vuole! Cambiamento, globalizzazione e vita nuova! Per esempio in questi giorni il numero 41 che ritorna come un tormentone. Che vuol dire Lavoro sociale? Roba di altri tempi. Il lavoro è lavoro e basta. I lavoratori della Fiat di Pomigliano devono essere “inquadrati”, e scordarsi che il 41 sia tollerabile quando considera ancora attuabile la frase: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana…” Questa è pura follia! Se io ti dico che ho bisogno di mettere le pari opportunità tra i cinesi, i polacchi e gli italiani, tu che fai, mi metti davanti i fini sociali? Ma i fini d’impresa? Questi contano. I tempi son cambiati. C’è concorrenza, c’è! E basta con questi egoismi. La globalizzazione non è forse un livellamento planetario dei diritti sociali? Mica vi illudevate di livellare i cinesi e gli indiani verso l’alto? E’ al contrario che si fa! Di che vi lamentate? Non si pretende infine di dare le frustate come nei call center! Noi non diamo frustate cambiamo i diritti fondamentali alle origini. Perché se c’è da lavorare è questo che conta. Si lavora sempre. Di notte, di giorno, e poche chiacchiere. Facciamola finita con il diritto di sciopero… A ordine si obbedisce. Punto. O volere o volare. Se no si va in Asia, in India, a produrre con costi cinesi e ricavi europei! Anche questo è diritto d’impresa. Di che dignità parli lavoratore? La fabbrica è la tua famiglia, il datore di lavoro vuole il tuo bene. L’utilità sociale è nella ricchezza. La mia, che quando guadagno, guadagno io, quando perdo, perdiamo noi. Così è una vera condivisione del rischio! Ve lo condividete tra tutti voi salariati, non siete contenti? Mal comune mezzo gaudio. Come pure l’art. 3. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Ma che cavolata! Come si può pensare che un leader di successo possa essere trattato come uno qualsiasi. E’ comunista la femmina che porta avanti questi numeri! Il numero 18 poi “ (…) Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”. Ma che pirlata! Le associazioni devono essere segrete se no che gusto c’è? Il problema è invece che di segreto resta ben poco e con le intercettazioni scoprono i fatti da tenere nascosti. Roba che il popolo non può capire ed è per il loro bene che è meglio non dare ansie su come si spendono i quattrini pubblici, chi guadagna chi perde, chi fa favori chi li prende. La gente non può capire ed è meglio non far sapere. Senza intercettazioni non si sarebbe mai saputo che Scajola era stato, suo malgrado, beneficiato di una casa con 900 mila euro. In fondo son fatti suoi. La casa è un diritto anche per un ministro, o no? L’avete sentita quella femmina quando si fissa con il numero 21? E il ventuno di qua il ventuno di là. Ma cos’avevano bevuto i padri costituenti quando hanno scritto il testo: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Col cavolo! Regolamentiamo invece. Legge bavaglio la chiamano. Esagitati. Comunisti due volte. Io ho l’esigenza di cambiare soprattutto qui. Non si permetteranno più intercettazioni che rompono il nostro progetto di leadership e mettono in discussione tutto. C’è, adesso, troppo spazio ai facinorosi, e a strampalate idee di parità di trattamento tra uomini e donne, bianchi, neri, agnostici, religiosi… Il numero 51 è quello che non si sa che cosa reclami: “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini…”. Che presunzione! Ma siamo matti? Altro numero bizzarro è il 37: ”La donna lavoratrice ha diritto alle stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. “Ma se vanno in pensione prima! Son strane ‘ste donne. Come si fa a farle guadagnare uguale. Costano di meno perché poi devono andare a casa a fare il resto. Non è che poi pagandole troppo si esaltano e a casa non fanno il loro dovere: lavare, stirare, cucinare, far da badanti!”. Che incoerenza. Tutte vogliono andare in pensione prima e l’unica che non riusciamo a mandar via è lei. Questa qui che dà i numeri da sessant’anni e rompe l’equilibrio. Il mio. Il problema che ci son troppi che la difendono anche dal mio schieramento. Non capiscono che un’azienda è un’azienda e il pensiero unico di colui che comanda è quello vincente. Se potessi fare a modo io, come sempre ho fatto, avrei già risolto. L’avrei cambiata e buona notte! L’avrei anzi “sostituita” con un’altra. Così si fa, e così molti di noi fanno, anche dallo schieramento opposto. Specie in politica dove occorre stare attenti a chi ci può dare confronti sulle idee. A donna adulta si sostituisce donna giovane, meglio se minorenne. A donna competente, si sostituisce donna libera e anagraficamente allettante. Cosa crede di essere questa signora Costituzione? Insostituibile? Non è femmina anche lei? Allora è rimpiazzabile come tutte le femmine. Così seria, autorevole, prestigiosa, altera. Democratica dicono. Ma facciamola finita! Ce l’ho io in mente che cosa è la libertà della democrazia. La democrazia è quella situazione in cui niente è inamovibile quando c’è di mezzo il vantaggio di chi comanda. Quello che mi occorre è una bella Costituzioncina, giovane-giovane. Qualcosa da conformare alle mie esigenze, da usare a piacimento, pagare e mollare quando non serve più. E’ questo il concetto di gentil sesso che mi piace. Diciamo la verità, la Costituzione mi piacerebbe libera, modificabile, assoggettata, emancipata e remunerabile. Come una escort, come una delle tante belle ragazze premiate con candidature e assessorati. Ripensandoci mi sovviene come sono sempre stato generoso con le donne! In tante mi sono grate. Lo sarebbe anche lei se non si desse troppe arie. Troppo ancorata al passato. Pessima femmina. Non fa per me. Il sistema funziona così. Lei se ne andrà. Non la cambierò solo parzialmente. La “sostituirò” con una giovane, pronta, libera e sottomessa. Intelligente, mica no. Perché a me le donne piace valorizzarle. Un po’ zoccola, un po’ sorella, un po’ madre un po’ amica. Una da mettere sotto. Vivace e spiritosa, leggera e rinfrescante, carina e dissentante. Una bellissima nuova “Costituzione da bere”. Wanda Montanelli

IL TAMBURINI VENETO

I soldi delle tangenti aumentano i costi pubblici e rubano il futuro agli italiani Dove vanno i nostri soldi? Ad arricchire patrimoni di gente che s’è data alla politica per arraffare a piene mani valori, posizioni di potere, ruoli istituzionali, incarichi di consulenza, tangenti. Ladri di beni pubblici, ladri di futuro. Ladri di polli dice Berlusconi e concordo in questa valutazione soltanto riguardo alla povertà morale di furfanti paragonabili a miseri malviventi che si buttano a trafugare tutto ciò che capita. In verità il conto economico in questa Italia così frodata è alto, non si tratta solo di pennuti, ed è alto anche perché si ruba in troppi. Una volta si prendevano tangenti per finanziare partiti, ed era uno solo per ogni fazione che in genere se ne occupava. Oggi che le ideologie sembrano finite, c’è la privatizzazione dello scambio di favori pubblici. Ognuno ruba per sé, per la famiglia, i figli, i parenti vicini e lontani, e così facendo questo flusso di benefici ad uso privato non ha mai fine. Si può moltiplicare per migliaia di possibilità di accesso al denaro pubblico, catene di devianze, aumenti incalcolabili di costi di appalti; saturazione di ogni possibile intervento, consulenza, posto di lavoro, incarico politico, chance artistica, concorso. Questi fanno tana su tutto e chiudono ogni possibilità di accesso al resto del mondo. Sprangano le porte a candidati con le carte giuste per concorrere a questo o quell’incarico, oppure a imprenditori che potrebbero offrire interventi “sani” a prezzi competitivi e invece restano al di fuori delle cricche che hanno voce in capitolo in piccoli, medi e grandi appalti. Tutto. Mettono le loro manacce su tutto. E quando si sono accorti che le donne con le loro lotte hanno ottenuto un po’ di attenzione sul diritto alle pari opportunità, si sono beffati delle legittime istanze femminili ed hanno salutato come ulteriore colpo di fortuna la questione delle quote rosa. Come se le donne non avessero portato avanti lotte decennali per dare un senso agli articoli 3, 2, 51 della Costituzione ma invece lo avessero fatto per trovare collocazioni alle loro propaggini di sesso femminile. Hanno così tinto di turchino anche le quote rosa e senza neanche un minimo di decoro sono andati a cercare tra le loro amanti, sorelle, mogli e affiliate, soggetti disponibili ad occupare anche gli spazi creatisi in sostegno alle pari opportunità. Così ogni tassello del puzzle è incollato da loro stessi. Loro che con prevaricanti quote celesti occupano l’80-90 per cento dei ruoli decisionali si attivano perché “non sia mai” che qualche spazio non sia riempito da derivazioni di sé che ne assicurino il controllo. Il danno e la beffa in tasca alle femministe. In disprezzo delle donne autonome e con idee che non siano le loro. Questo sistema ha fatto sì che le briciole rimaste non risolvono i problemi del paese. Il governo risanante delle donne è ancora lontano. La coperta si fa cortissima e restano all’aria tanti vitali settori della vita pubblica come scuola, sanità, ricerca, imprenditoria. L’ingordigia di chi ha troppo e non considera le situazioni disperate di tanti italiani sia dipendenti precari che piccoli imprenditori. Ma a questi ingordi non interessa. Fingono di darsi una mossa per gli altri ma sin dal primo giorno del loro mandato pensano ad acchiappare tutto l’acchiappabile. A parte le loro vite dorate, tutto resta provvisorio. Non si investe nella crescita perciò sono ladri del futuro. Un gruppo di fisici italiani, impegnati in progetti di ricerca internazionali con il Cern in Europa e il Fermilab negli Stati Uniti, in seguito al DDL 144-quater approvato il 15 ottobre alla Camera e alla legge 133/08, ha dovuto scrivere un’istanza rivolta ai membri di Camera e Senato perché 600 ricercatori e tecnici dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare rischiano di dover abbandonare la ricerca. Troppi sono gli studiosi di talento costretti ad andarsene dall’Italia o condurre una vita da precari. Tra loro Fabrizio Tamburini astronomo che vive con poco più di mille euro al mese e con contratto provvisorio dovuto a finanziamenti di alcune banche-sponsor. Questo geniale scienziato invitato al Celsius Symposium 2010 in Svezia, riesce a portare avanti le sue ricerche resistendo ancora a non fuggire via come gli altri nostri scienziati esuli all’estero. Ricercatore del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova, collabora con i professori Barbieri, Bianchini e Romanato e, partendo dalle premesse poste da Ettore Majorana, è lo scopritore in campo elettromagnetico delle vorticità ottiche, (o momento angolare orbitale della luce) che permetteranno di potenziare la capacità di dettaglio visivo del telescopio e del microscopio, con applicazioni non solo astronomiche, ma anche mediche. La sua è una tecnologia rivoluzionaria che se applicata alle onde radio, potrà contenere in una sola frequenza fino a 100 canali al posto degli attuali 5. Le sue ricerche svolte in collaborazione con il professor Bo Thidé dell’Università di Uppsala hanno suscitato l’attenzione della comunità scientifica internazionale perché tra l’altro permetterà, grazie alla nuova tecnologia di vedere buchi neri rotanti, una sorta di cilindri d’accesso a viaggi nel tempo fino a oggi mai osservati. La cosa strana è che tra i colleghi scienziati internazionali il Tamburini veneto è l’unico ad avere la paga da precario e scherzando in un’intervista risponde a chi gli augura il premio Nobel che è meglio il Superenalotto. Ma con tante contaminazioni, vista l’esperienza del lotto, siamo sicuri che il Superenalotto sogno-gioco degli italiani non sia truccato come gran parte dei luoghi dove scorre il denaro? Wanda Montanelli, 15 maggio 2010

L’EGOISMO NUCLEARE

Secondo Carlo Rubbia il nucleare in Italia non risolverebbe il problema dei costi energetici, e allora perché si intende farlo? Chi ci guadagna nonostante le funeste esperienze evidenti e documentate? Siamo in balìa di vecchi egocentrici che giocano con il mondo come fosse roba loro. Entrano nella vita di tutti, si appropriano di luoghi, menti, intelligenze, destini. Derubano il futuro di chi oggi è giovane, o ancora dovrà nascere. Questa sindrome di Dio che li fa stare nel passato, nel presente, nel futuro e in ogni luogo è indice di un irriducibile soggettivismo. Si aiutano con i mezzi di comunicazione di massa in funzione di moltiplicatori di consensi, per arginare le obiezioni, e persuadere reiterando slogan sulla bontà del loro operato. Sono vecchi carrancani che satolli di un benessere avaro e circoscritto a loro stessi, o tutt’al più alle famiglie e agli amici-sudditi, non guardano al di là del periodo temporale che interessa la propria esistenza. Quanti anni ancora gli restano da vivere? Venti, trenta, cento? Bene. Che tutto funzioni ancora finché esisteranno loro stessi. Dopodiché il diluvio. Finisca pure il mondo. Chi si scompone per gli altri che verranno? Costoro sono vecchi dentro. La loro mente è corta, il progetto di vita è teso a monopolizzare l’accaparrabile oggi. La loro felicità è nel dominare adesso subito con la percezione di ubiquità. Del futuro non sanno che farsene perché loro non ci saranno e non essendoci il mondo può finire. Non credono in Dio non in quanto atei o agnostici, ma perché son convinti di essere loro stessi produzione ed effusione di onnipotenza divina a cui tutto è permesso. Se così non fosse non si capirebbe perché si è ritornati a riproporre il nucleare. Sono trascorsi 23 anni dal referendum abrogativo delle norme sulla realizzazione delle centrali nucleari. Si intende ritornare alla produzione atomica contro anche gli stessi governatori regionali che la rifiutano nei territori che governano. Il principio che dovrebbe muovere qualsiasi costruzione che ha grande impatto sulla vita di persone e ambiente può essere solo basato sulla certezza di aver pronto il rimedio in caso di guasti. Invece si fabbrica senza prevedere possibilità di malfunzionamenti e quindi accertarsi di possedere l’antidoto alle eventuali anomalie. Di questi giorni è il disastro che distrugge le coste della Louisiana. Definito dal presidente Barack Obama sciagura nazionale è dovuto alla piattaforma della BP Deepwater Horizon. Un guasto imprevisto ha lasciato ingegneri esperti inebetiti per non saper tamponare la falla. La società pagherà i danni, ma in tema di danni ambientali non tutto è ricomponibile. Si tratta di eventi senza rimedio e ciò che è distrutto resta tale. Così come nel nucleare dove sarebbe impresa gigantesca descrivere tutti gli oltraggi senza ritorno ad uomini e natura. Si può accennare tra tanti esempi che un milione di persone in tutto il mondo sono morte a causa dell’esposizione alle radiazioni liberate dal disastro nucleare di Chernobyl del 1986. Un nuovo libro Alexey Yablokov della New York Academy of Sciences, pubblicato in occasione del 24° anniversario dell’incidente si intitola: “Chernobyl: conseguenze della catastrofe su persone ed ambiente”. Dovrebbe poter bastare la conoscenza sulla durata dell’uranio che in 50 anni sarà finito se non si faranno altre centrali atomiche, e molto prima se la malaugurata idea di farne altre dovesse trovare applicazione. Ma anche l’antieconomicità dei costi dovrebbe indurre a più intelligenti scelte. Soprattutto il problema insormontabile delle scorie radioattive è talmente evidente che non prenderlo in considerazione rinvia a ciò che spiego all’inizio di questo scritto. Certa gente non vede al di là della propria quotidiana esistenza tra beni e privilegi. Nessuno può negare che le scorie a bassa e media attività restano pericolose per circa trecento anni e che quelle ad alta attività conservano fino a 250mila anni la propria carica mortale. Tutti sanno che le centrali di 31 nazioni già oggi producono migliaia di tonnellate di scorie soggette a casi imprevedibili come terremoti e alluvioni che nel lungo tempo, pur auspicando una buona tenuta delle strutture che le contengono, non sono né sicuramente conservate, né è garantito che non vadano a contaminare luoghi e persone. Un esempio a noi vicino è quello di Latina dove pur chiusa la centrale dal i 1º dicembre 1987, infiltrazioni di acqua di falda nei sotterranei che accolgono i contenitori di stoccaggio nucleare hanno provocato la fuoriuscita di ingenti quantità di materiale radioattivo come Cesio 137, Cesio 134 e cobalto 60. La moria di grossi pesci e bufale, le malformazioni fetali di bambini, piante e animali, sono state e sono tutt’ora oggetto di pubblicazioni e ricerche che danno un panorama angosciante sui fatti malsani che derivano dalla incontrollabilità della materia nucleare. Gli studi scientifici, sono innumerevoli. Rammento che nel ’99 in occasione della pubblicazione di Fortuna Fasano, un mio libro di narrativa a sfondo ambientalista, interpellavo frequentemente Carlo Marcantonio Tibaldi, l’avvocato sindaco di Castelforte che per tutta la vita si è battuto contro l’ignoranza dei danni provocati dal nucleare nella sua regione. Mi diede due dei suoi libri pubblicati: “L’inquinamento da radionuclidi nelle acque del Lazio meridionale”, editore Il Golfo, 1985, e “Lettere ai Giudici sulla centrale atomica del Garigliano” (del Centro Storico culturale Andrea Mattei SS.Cosma e Damiano). I dati divulgati sull’alta incidenza di leucemie, aborti, feti malformati; ma anche animali con due teste e pulcini a tre zampe, si ricavano da fatti documentati e inconfutabili. Ora in zona Sessa Aurunca, Castelforte, Minturno, la popolazione ha ripreso a manifestare contro ogni ulteriore centrale atomica. Già non riescono a disfarsi delle scorie di quella vecchia il cui smantellamento era previsto per il 2030 e i cui costi sono abnormi, figuriamoci se non vedono come un maledetto accanimento il riproporre il nucleare in zona. Ad oggi l’addio al nucleare è costato una cifra colossale. Nel 2001 erano previsti 3,3 miliardi ma in realtà siamo già ad un prelievo dalle bollette elettriche in cifre rivalutate di oltre 9 miliardi e 523 milioni di euro. La nota curiosa è che persino l’uranio usato nel 1942 da Enrico Fermi è ancora da sistemare definitivamente. Nel nostro paese tutto ciò che oggi riguarda il nucleare fa capo alla Società Gestione Impianti Nucleari S.p.S. (SOGIN) istituita nel 1999. Presidente della SOGIN è il generale Carlo Jean che, nel febbraio 2003, ha così quantificato i rifiuti radioattivi presenti in Italia: “50.000 metri cubi (mc) di scorie radioattive a bassa e media radioattività, circa 8.000 mc di scorie radioattive ad alta radioattività, 62 tonnellate di combustibile irraggiato, oltre a ospedali, acciaierie, impianti petrolchimici e così via che producono circa 500 tonnellate di rifiuti radioattivi ogni anno”. Secondo il premio Nobel Rubbia, il nucleare il Italia non risolverebbe il problema dei costi energetici e si può prevederlo solo in tempi molto lunghi. Si pensa che il nucleare possa ridurre il costo dell’energia, ma questo, a parere dello scienziato, non è vero. Allora perché si intende farlo? Chi ci guadagna nonostante le funeste esperienze evidenti e visibili a tutti? Sembra che le regioni si stiano tutte attrezzando per respingerlo. I presidenti non lo vogliono, i sindaci neppure, la gente ha votato “Sì” alla proposta di abrogazione del Referendum. Possono Soltanto Berlusconi, Sarkozy e la Confindustria dominare tutti? Anche il Presidente francese deve fare i conti con il dissenso. Ha in casa migliaia di associazioni contro il nucleare, di cui 842 sono confederate in “Sortir du Nucléaire”, e a chi obietta che dobbiamo avere il nucleare in casa perché gli Stati a noi vicini ce l’hanno, è bene rispondere che soprattutto chi si è trovato vicinissimo alle centrali in tutti i disastri atomici non ha avuto scampo. E se invece di andare dietro ai cattivi esempi cominciassimo a seguire quelli buoni di esempi? Carlo Rubbia dichiara che il futuro non sta nel nucleare ma nel solare. E’lui uno dei nostri maggiori referenti in materia. Il suo parere conterà qualcosa o vale di più la sapienza del ministro Claudio Scajola? Leggo nel suo curriculum che è docente di Storia dell’arte e laureato in Giurisprudenza, che c’entra con le competenze sull’atomo? Chi non sa deve invece guardarsi intorno per copiare da quelli che fanno meglio di noi. Abbiamo esperienze nel mondo di energia pulita basta volerle riconoscere. Ad Amburgo per esempio, sembra una favola, ma hanno tratto vantaggio ‘ecologico’ dall’immondizia di Napoli. Il recente servizio Raitre di Riccardo Iacona “Sole, vento, alberi” ha ben raccontato lo straordinario modello della Solar Valley in Germania dove con l’energia pulita si sono creati 750 mila posti di lavoro e ricavato il 16 per cento del fabbisogno elettrico senza usare il petrolio e per giunta diminuendo del 18 per cento l’emissione di gas serra. L’invito è alle persone di ogni età a sentirsi giovani dentro, perché questo li porterà a immaginare il futuro e cominciare a pensare alla bellezza di un mondo vivibile, e perché no, migliorato, a disposizione di chi verrà dopo di noi. Roma, 3 maggio 2010, Wanda Montanelli

LE DIFFICOLTA’ DELL’INTEGRAZIONE

L’accoglienza delle culture

di Laura Tussi L’Occidente sta affrontando l’arrivo di cittadini provenienti da luoghi diversi del nostro pianeta, che chiedono di restare per lavorare e per condividere un benessere economico, sociale, politico, dove il susseguirsi delle migrazioni, prima di nostri connazionali provenienti dal sud d’Italia e, attualmente, di cittadini che giungono dal Marocco, dalla ex Jugoslavia, dalle Filippine, dalla Cina, ha contribuito in modalità determinante a portare ricchezza economica e culturale. La convivenza tra culture e popoli diversi non costituisce solamente uno scambio pacifico e sereno, perché il mondo trasuda anche violenze e ingiustizia, dove la povertà e la ricchezza sono giustapposte in un connubio di delinquenza e criminalità, per cui alcuni sono costretti a vivere in condizioni di estrema indigenza e l’arroganza e la volgarità umiliano i più deboli con contrasti e scontri anche violenti. Il fenomeno migratorio nel nostro Paese risulta consistente e strutturale e con urgenza si dovrebbero disporre tutti gli strumenti necessari per affrontare e gestire non solo l’ingresso di molteplicità di immigrati, ma soprattutto la loro permanenza, garantendo civile e dignitosa accoglienza e reali possibilità di integrazione, anche se, in realtà, le istituzioni stanno operando con strumenti poco efficaci e gli immigrati sono lasciati in una pericolosa ed ingiusta condizione di incertezza sui propri diritti e doveri. Il tema della multiculturalità si propone di favorire la conoscenza e il rispetto reciproco delle culture e offrire garanzie e strumenti per mantenere vivi i differenti patrimoni culturali. Il contatto con la diversità, anche se tra molte circostanze difficili, genera voglia di conoscere e sollecita maggiore attenzione e rispetto per le altre culture, ma certamente la costituzione di una società multiculturale sembrerebbe ancora un ambizioso obiettivo, in quanto si prospetta difficile la convivenza tra culture diverse e differenti gruppi etnici, evitando il rischio di pericolose reazioni di intolleranza. La ricerca della difesa delle diversità culturali, linguistiche, di censo, di sesso, etniche ed altro, come indicato nelle costituzioni della maggior parte degli Stati democratici è una causa legittima, nella motivazione a perfezionare la tutela delle diversità e del multiculturalismo che è fortemente radicata nella storia dei diritti umani dalla rivoluzione francese, riconoscendo ad ogni persona pari dignità e il diritto di vivere liberamente secondo la propria ragione. Le diversità etniche sono considerate motivo di arricchimento anche da una visione sociale ed economicista della comunità, dove l’arricchimento appunto è concepito come crescita valoriale per cui le diversità costituiscono fattori di evoluzione economica, sociale e culturale. Di fronte alla realtà immigratoria nel nostro Paese che si presenta in tutte le sue complessità, si prospetta l’urgenza di diffondere maggiori informazioni, di aprirsi alle nuove culture, come primo approccio verso una società multietnica e multilaterale, tramite un interscambio relazionale che possa arricchire e divenire un antidoto efficace all’intolleranza, all’emarginazione e al razzismo. Il rispetto di tali differenze storiche, economiche e di civiltà sarà effettuabile costruendo un terreno sociale e comunitario scevro di pregiudizi, luoghi comuni e stereotipi, creando le premesse per l’accettazione e la valorizzazione cosciente delle inevitabili e imprescindibili differenze tra esseri umani. Le scelte educative determinano il futuro di una comunità, dove la qualità delle persone costituisce una questione centrale del domani, nei problemi posti dall’introduzione della tecnologia, in tutti i campi dell’attività umana, dallo sviluppo economico disomogeneo e selvaggio, dal degrado ambientale, conseguente alla dissennata incentivazione dei consumi, con l’accentuarsi dell’ingiustizia sociale e dei conflitti, che pongono le nuove generazioni in una condizione determinante per il futuro di tutte le persone. L’educazione all’accoglienza, all’accettazione del diverso, all’antirazzismo, al rifiuto della discriminazione costituiscono il cardine indispensabile su cui si modificherà una società che riesca a coniugare la pacifica convivenza e il rispetto reciproco, attraverso la ricerca di soluzioni adeguate per arginare gli squilibri contemporanei. Risulta necessario porre grande attenzione al mondo della scuola, luogo istituzionale dove viene esercitata l’azione educativa delle comunità in modo organico e direttivo, alla famiglia e ai massmedia che contribuiscono alla coscientizzazione verso i problemi sociali. La necessità di elaborare una pedagogia interculturale è sorta in seguito all’ingresso nella scuola di persone appartenenti ad altri paesi. Il gioco tra autoctoni, immigrati, istituzioni e massmedia è complesso e si presenta facile il passaggio dall’accettazione al rifiuto, dall’indifferenza all’insofferenza, in quanto una profonda instabilità è propria delle relazioni umane e sociali, comportando una forte carica emotiva, ma anche innovativa. Il gioco simbolico ed emotivo è ancora più instabile e mutevole nel rapporto con l’immigrato e proprio per questo motivo l’instabilità e la volubilità dell’individuo e del gruppo sociale necessitano di trovare un supporto nelle istituzioni, che devono essere in grado di esprimere norme stabili e certe, frutto di un’approfondita conoscenza delle realtà attuali. L’Italia acquisisce tardivamente la coscienza di essere Paese meta di flussi migratori e solo negli anni ‘80 le amministrazioni pubbliche affrontano il problema dell’inserimento sociale dei migranti e la conseguente educazione dei loro figli. Il contenuto delle circolari ministeriali proclama ufficialmente che l’obiettivo primario dell’educazione interculturale si delinea come promozione della capacità di convivenza costruttiva in un tessuto sociale multiforme, che comporta l’accettazione e il rispetto del diverso e il riconoscimento dell’identità culturale nella ricerca quotidiana del dialogo, della comprensione e della collaborazione, in una prospettiva di arricchimento reciproco, nel valore della diversità generale come concetto da difendere e comprendere nel doppio versante dell’educazione interculturale, nell’affrontare e analizzare il problema degli studenti appartenenti a provenienze diverse e nella necessità che anche la scuola elabori le strategie capaci di affrontare i grandi mutamenti che caratterizzano la nostra epoca, in un policromo mosaico di popolazioni, lingue, culture, progetti, rappresentazioni reciproche di scambi e conflitti, interazioni e dialoghi.